LUCCA – In una calda mattinata lucchese, ecco sbarcare al Lucca Film Festival 2016 il padre degli zombie moderni: George Andrew Romero. L’attesa era molta e alle 12 in punto il maestro Romero è entrato nella sala stampa del Complesso San Micheletto, accompagnato dal direttore del Festival Nicola Borrelli, dal sindaco Alessandro Tambellini, dal direttore della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Marcello Bertocchini, dal giornalista Paolo Zelati (che è anche il curatore della mostra al Palazzo Ducale e della retrospettiva completa che verrà proiettata durante i giorni del Festival) e dal direttore generale di Banca Carismi Alberto Silvano Piacentini; da non dimenticare l’essenziale contributo dell’interprete Tessa Wiechmann.
Data la sintesi, la capacità di andare subito al nocciolo della questione, l’allure forse meno ipnotica di quella di Friedkin ma più schietta e amabilmente innocente, George Romero ha risposto a molte domande fatte dagli inviati delle varie testate accorse ad ascoltarlo.
La conversazione è cominciata trattando temi importanti sia per il regista Romero sia per l’uomo Romero. Il maestro, nonostante una formazione cattolica, ha lasciato la chiesa in età molto giovane ed è sicuramente da far risalire a quel periodo la nascita delle sue fantasie su quello che poteva avvenire dopo la morte. Ha poi subito precisato, cominciando a parlare della sua poetica, che «i miei film non sono tanto sulla vita dopo la morte, quanto sulle persone e sugli individui che non capiscono quello che sta accadendo intorno a loro; gli zombie sono una costante, sappiamo benissimo cosa ci possiamo aspettare da loro ma siamo noi umani che non siamo pronti ad averli nella nostra vita».
Romero si è dichiarato un grande fan del fumetto (Creepshow lo sta a dimostrare) e da questa passione è scaturita la sua voglia di cimentarsi nelle sceneggiature di graphic-novels come The Death of Death ed Empire of The Dead, il primo uscito per DC Comics, il secondo per Marvel. Riguardo a questa tipologia di scrittura, Romero ha asserito che «è più semplice rispetto ai film perché non devo dirigere e non devo occuparmi del budget. La cosa negativa è che non ti dà la stessa soddisfazione di girare un film. Nel fumetto ho collaborato con tre artisti diversi su 15 numeri, e appena cominciavo a conoscere uno degli artisti mi veniva cambiato. Tuttavia è una cosa che mi diverte molto fare».
George Romero è stato ed è ancora il regista più politico tra i maestri del New Horror americano. La sua esalogia dei morti viventi è uno dei documenti più rari e preziosi sull’evoluzione della società americana dalla fine degli anni ’60 ai giorni nostri. Trattando questo argomento, il cineasta nativo del Bronx ha parlato di come La notte dei morti viventi non aveva la pretesa di nascere come un film sul razzismo – per chi non lo avesse visto, l’ultima scena ci mostra l’unico sopravvissuto, l’attore afroamericano Duane Jones, essere ucciso dai colpi di alcuni vigilantes – bensì un film che mostrava che «mentre là fuori stava succedendo qualcosa di straordinario, le persone all’interno della casa erano lì che si scannavano sul bucato e su chi doveva stare al piano alto o al piano basso, bloccati nella loro stupidità quotidiana. È diventato un film sulla razza inconsapevolmente perché durante il viaggio verso New York, con la copia della pellicola stampata, io e Russell Streiner, abbiamo sentito per radio l’annuncio dell’omicidio di Martin Luther King». Romero ha parlato poi di cose intime, come la sua paura di bombe e terrorismo, di Donald Trump («non del suo parrucchino, ma di ciò che c’è sotto») e di tutto l’ambiente politico americano che è diventato un circo. Ha un po’ spiazzato l’audience quando si è mostrato abbastanza indulgente sull’attuale era dei social-media: «Col mondo dei social-media, che giudico essere lievemente pericoloso, abbiamo aperto una porta che consente agli individui di esporre i loro pensieri ed i loro punti di vista; in realtà le persone sono molto meno zombie oggi di quanto lo fossero negli anni ’80 o ’90, anni nei quali l’opinione pubblica era costituita da mandrie che seguivano ogni cosa senza senso critico».
Concludendo con le risposte inerenti al cinema, che poi avremo modo di approfondire con la masterclass di sabato mattina, Romero ha parlato di cinema indipendente, del suo rapporto con le major nel passato, di cinema video-ludico e di serie-tv legate al mondo dei morti viventi. Secondo lui, il cinema indipendente è l’unica via per farsi produrre un certo tipo di pellicola («l’idea e i finanziamenti non vanno mai mano nella mano») e ha accennato ai suoi anni bui in cui era a contatto con gli studios. Riguardo agli attuali zombie, Romero ha apprezzato la graphic-novel di The Walking Dead, uscita nel 2003 e ha ammirato anche la prima stagione della serie TV soprattutto per la presenza registica e produttiva di Frank Darabont ma poi è diventata come una telenovela portata avanti solamente per racimolare più soldi possibili, «the talking dead» è stata scherzosamente ribattezzata da lui e da Paolo Zelati.
Tomas Ticciati
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