Conversazione con Willem Dafoe al Lucca Film Festival 2017

Willem Dafoe al Lucca Film Festival 2017 – 07/04/2017 – Teatro del Giglio

LUCCA – Non ci sono più le mezze stagioni! Alt, non è uno dei tanti status facebookiani che invadono le nostre bacheche in ogni momento della giornata, bensì uno sfogo che mi è balenato in testa dopo aver assistito all’intervento di Willem Dafoe al Lucca Film Festival 2017. Lo ammetto, ero prevenuto. Ero altamente convinto che il pubblico avrebbe subissato l’attore del Wisconsin di domande sulla sua partecipazione alla famosa trilogia di Spider-Man di Sam Raimi, essendo questo il periodo nel quale il cinecomics è il genere più frequentato da un cinema, quello hollywoodiano, sempre più standardizzato e poco coraggioso. Errore più grande non potevo farlo; l’ora e mezza trascorsa da Willem Dafoe assieme a Gianluca Pulsoni (giornalista de Il manifesto) ed Emanuele Vietina (Direttore del Lucca Comics & Games) è stata costellata di domande variegate, improntate sul rapporto tra cinema e teatro, sulla sua carriera passata, futura e su altri argomenti interessanti, ma come vi dicevo, nessuna domanda in riferimento al genere fumettistico. C’è chi avrà gioito, c’è chi si sarà strappato le vesti, resta il fatto che…non ci sono più le mezze stagioni.


Dafoe si è soffermato inizialmente sulle differenze tra cinema e teatro e sulle modalità di come la recitazione vada indirizzata per ognuno dei due mezzi artistici. Come ha giustamente ricordato Gianluca Pulsoni, Vittorio Gassman sosteneva che la differenza tra cinema e teatro è che nel primo bisogna essere, mentre nel secondo bisogna recitare. Dafoe, con tutto il rispetto possibile, smentisce la differenziazione citata di Gassman proponendo la sua visione riguardante la recitazione: «noi come attori conosciamo bene quelle che sono le differenze del mezzo con cui ci andiamo ad esprimere, e quindi “l’essere” in teatro è altrettanto importante soprattutto dal punto di vista interiore. Tutte le sere che andiamo in scena ci confrontiamo con la recitazione e eleviamo il nostro spirito interiore. Nel cinema, invece, c’è più flessibilità. Quindi parlando di cinema direi che si può usare il termine “catturare”, mentre nel teatro quello di “far rivivere”». Un altro confronto effettuato da Dafoe è stato quello tra digitale e analogico. La pratica dell’uso del digitale, ha spiegato Dafoe, annulla l’autodisciplina di un attore perché sa che la reiterazione delle scene non farà sprecare metri di pellicola (e quindi soldi) al regista e alla produzione, ma solo il tempo.


Come dicevo in precedenza, molte sono state le domande indirizzate all’analisi della carriera dell’attore americano. Ho ascoltato con attenzione e curiosità i suoi giudizi su registi e attori come Michael Cimino – con cui Dafoe aveva lavorato per I cancelli del cielo, e poi, dopo un litigio tra i due, fu licenziato – come Walter Hill che volle Dafoe in Strade di fuoco perché lo vide in The Loveless di Kathryn Bigelow proponendogli di fare il medesimo ruolo ma in un contesto completamente diverso. Altri nomi di rilievo che sono stati fatti sono quelli di Paul Schrader («persona molto formale che raramente mi rivolgeva la parola, ma solo perché facevo un buon lavoro»), Martin Scorsese e Lars Von Trier. Ha lodato l’ormai stracitata Isabelle Huppert e ha ricordato con piacere il lavoro con Gene Hackman – definito da Dafoe un gigante – durante le riprese Mississippi Burning di Alan Parker.

Una domanda del pubblico ha toccato il tasto della censura nel mondo del cinema hollywoodiano contemporaneo. Dafoe ha risposto con polso e ha affrontato il vero nodo della questione: «sulla censura non ho molto da dire perché non penso che attualmente si censurino i film e la cosa inoltre non mi tocca da vicino. Invece mi preoccupa molto di più il discorso della distribuzione. Ritengo che la censura possa presentarsi sotto molteplici vesti e noi dobbiamo sempre restare vigili. La censura vera è quella che riguarda la commercializzazione. Il cinema è un’arte popolare ma la televisione sta determinando sempre più la direzione in cui sta andando l’industria cinematografica; sempre con più forza vengono creati dei prodotti che corrispondono alle richieste del pubblico e sono fatti su misura su di loro». Tutto vero, tutto condivisibile, peccato che Willem Dafoe sia stato protagonista proprio della trilogia di Spider-Man e entro il prossimo anno uscirà in sala con ben tre lavori creati proprio ad hoc per una fetta di pubblico che vuole solo quella tipologia di prodotto, film “fan service” che rispondono al nome di Justice League (i vari superoi della DC Comics messi insieme dal solito Zack Synder), Aquaman e Death Note. Film che fanno parte di pianificazioni di stampo industriale multinazionale e non da chi vuole attuare un compromesso tra arte e intrattenimento. Che dire? I classici, e affascinanti, paradossi dell’attore.

Infine, se provate a buttare l’occhio su pagine Facebook ufficiali di film in uscita, noterete che quando viene presentato un trailer o una scena casuale di un film in lingua italiana, non mancano commenti relativi alla qualità del doppiaggio. E il doppiaggio è stato uno dei tanti argomenti affrontati della mattinata lucchese: «tutte le volte che sento il termine doppiatore mi vengono i brividi perché doppiare un film ammazza il cinema».

 

Tomas Ticciati
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