La due giorni lucchese del maestro di Chicago: tra premi, masterclass e confessioni private
Domenica 3 aprile – Lunedì 4 aprile
LUCCA – Gli incontri delle prime due giornate della 12^ edizione del Lucca Film Festival sono state dedicate al maestro William Friedkin. Nella serata di domenica 3 aprile, nell’antica sala del Cinema Moderno, è stata consegnata al regista l’onorificenza alla carriera ed è stata proiettata la versione restaurata della sua opera preferita: Sorcerer – Il salario della paura. Mentre la mattinata del lunedì ha visto protagonista “Hurricane Billy” in una scoppiettante masterclass al Cinema Centrale in compagnia dei critici cinematografici Daniela Catelli e Gabriele Rizza.
Il premio alla carriera – Cinema Moderno
L’apertura ufficiale del Lucca Film Festival 2016 è avvenuta nel pomeriggio di domenica 3 aprile alle 15. Proprio a quell’ora è stato proiettato Il braccio violento della legge, insuperabile film poliziesco firmato William Friedkin e premiato con il premio Oscar nel 1972. L’evento clou della giornata era però quello che vedeva il regista americano ricevere il premio alla carriera, premio che negli scorsi anni è stato assegnato a cineasti del calibro di David Lynch, John Boorman, Terry Gilliam e David Cronenberg. La serata è stata aperta dal direttore e fondatore del festival, Nicola Borrelli, che ha invitato il regista salire sul palco dopo che il sindaco Alessandro Tambellini e il direttore della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Marcello Bertocchini hanno salutato il numeroso pubblico accorso al Cinema Moderno.
Friedkin, classe 1935, nel suo discorso di ringraziamento, si è soffermato sull’amore che prova verso il capoluogo toscano, amore facilitato dalla figura di Giacomo Puccini. È giusto ricordare che Friedkin ha diretto “Il Trittico” in quel di Los Angeles, nel 2008, e nella serata ha ribadito che si sente molto fiero di aver diretto Suor Angelica, l’opera che maggiormente gli è entrata nel cuore. Parlando di città italiane che conosce bene, ha definito Roma come un luogo che ti urla in faccia e Lucca come una città che ti sussurra all’orecchio.
Successivamente è stato consegnato il premio alla carriera – un’opera dell’artista russo Alexey Morosov – e il regista è tornato a parlare di cinema insieme a Daniela Catelli per introdurre Il salario della paura, in una versione restaurata e presentata in lingua originale. «Questo è il mio preferito di tutti quelli che ho fatto – ha commentato Friedkin – e sono felice che il Lucca Film Festival abbia scelto questa pellicola come proiezione di inaugurazione».
Il salario della paura (Sorcerer, William Friedkin, 1977)
Catelli parlando di questo classico (sfortunatamente poco conosciuto e poco citato) del maestro di Chicago lo ha definito «un film di facce, di volti, di disperazione […] è un film che porta ad interrogarsi sull’essere umano». Nulla di più vero poteva essere detto dalla saggista e giornalista lucchese, perché Sorcerer è tutto questo e altro ancora: una storia di quattro malviventi di differente provenienza ed attitudine che, dopo l’ovvia fuga, si ritrovano in un villaggio poverissimo dell’America centrale, fatto di pozzi di petrolio e disperazione. L’unica via di fuga è costituita da un azzardo che i quattro tenteranno di percorrere con rischi altissimi.
Girato nella fase finale e discendente della cosiddetta New Hollywood, questo remake di Vite vendute di Henri-Georges Clouzot, è l’opera di un regista maturo che vuole sporcarsi – di nuovo – le mani dopo i successi de Il braccio violento della legge e L’esorcista, di un regista che non ha paura di affrontare mesi e mesi di riprese nelle anguste location della Repubblica Dominicana (fatto che gli fece perdere Steve McQueen come punta di diamante del cast). Vennero accantonate, per motivi similari, anche le scelte di Marcello Mastroianni, Lino Ventura e Robert Mitchum, e il cast che mise insieme fu quasi una scommessa: Roy Scheider, Bruno Cremer, Francisco Rabal e Amidou, un attore marocchino che impressionò Friedkin in un film di Claude Lelouche.
Il punto di forza del film è anche il mirabolante sonoro composto da esplosioni, vetri infranti, deflagrazioni dei pozzi petroliferi, pioggia, vento, cigolii del ponte sospeso: ogni singolo oggetto ed evento ottiene una caratteristica sonora e diventa automaticamente il controcanto dei silenzi prolungati dei quattro protagonisti.
Anche se Friedkin si è sempre descritto come regista della realtà, la sua formazione da documentarista lo sta a dimostrare, è innegabile che le scene della trasformazione del personaggio interpretato da Roy Scheider verso la fine del film e il suo (quasi) arrivo alla meta sono da includere nelle migliori sequenze di cinema surreale e onirico degli ultimi quattro decenni.
La masterclass – Cinema Centrale
Un William Friedkin rilassato e sempre pronto al dialogo si è presentato alle 11 di lunedì 4 aprile nell’affollato Cinema Centrale di Lucca per tenere una masterclass assieme a Catelli e al giornalista Gabriele Rizza. È emerso il ritratto a 360 gradi di un uomo sensibile, dall’animo stratificato, curioso, un po’ conservatore e contraddittorio, ma con un’idea fissa di cinema e di arte che è molto lontana da quella che attualmente vige nel cinema hollywoodiano.
Nell’ora e mezza a disposizione è stato possibile sentire un Friedkin restio a parlare delle peripezie occorse sul set de Il salario della paura: «Non c’è niente di importante da raccontare, l’unica cosa importante è quello che avete visto sullo schermo. Alle persone o piace, o lo amano, o non piace, o lo odiano. Per me i problemi della produzione sono irrilevanti, quello che a me preme è l’opera finale». Questo pensiero è ricollegabile a un altro momento clou della giornata, ovvero quello in cui il regista si è scagliato contro chi vuole difendere la pellicola cinematografica a tutti i costi, affermando che la pellicola è solo un mezzo, qualcosa che ci è stato imposto da qualcuno. «Quello che contano sono le storie e i personaggi», ha ripetuto più volte il regista e spazzando via i dubbi sul suo paventato odio per la tecnologia che era rimbalzato su qualche articolo pochi giorni fa ha rammentato che i suoi due ultimi film, Bug e Killer Joe, sono stati entrambi girati con camere digitali e il risultato – secondo il diretto interessato – è estremamente soddisfacente. Ha parlato poi dei suoi maestri e dei suoi punti di riferimento: Federico Fellini («Io non ho l’immaginazione per poter creare la scena d’apertura di 8 e ½»), Roberto Rossellini, Fritz Lang di cui ha raccontato gli aneddoti della sua videointervista girata nel 1974, Buster Keaton («il più grande regista americano di tutti i tempi), David Lynch («se Fellini era il regista che filmava i propri sogni, David Lynch è il regista che ha filmato gli incubi».
Il momento più riflessivo ed intimamente privato è stato quando William Friedkin si è quasi scusato per essere diventato favorevole alla pena di morte: «Mi scuso con voi e mi scuso con Dio» ha detto il regista americano ricollegandosi ad una domanda dal pubblico sul film Rampage, una storia di un serial killer condannato a morte. E qui si chiude il cerchio di “Hurricane Billy”: un giovane uomo di Chicago che è divenuto regista di documentari per salvare la vita ad un uomo condannato a morte (The People Vs. Paul Crump) e che adesso ha totalmente cambiato idea su questo tipo di condanna. Un uomo dalle mille sfaccettature e coraggioso.
Tomas Ticciati
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