Babadook: l’horror familiare tra orrore e speranza

Babadook (Jennifer Kent, 2014)

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Il primo lungometraggio dell’australiana Jennifer Kent è già un successo. Babadook è stato applaudito dal pubblico e dalla critica: vincitore dell’Empire Awards 2015 e dell’AACTA Award ad ex aequo con The Water Diviner di Russell Crowe, è stato particolarmente apprezzato da William Friedkin, il regista de L’esorcista che lo considera uno dei film più spaventosi della storia del cinema.

Babadook è principalmente la storia di Amelia e del rapporto difficile con il figlio di sei anni Samuel. La complessità del loro modo di relazionarsi non è solo caratterizzata dal bambino affetto da un disturbo di deficit dell’attenzione, in quanto iperattivo e violento; ma dal fatto che la donna è divenuta madre lo stesso giorno in cui il suo amato marito è deceduto per un incidente stradale. Amelia sembra dover vivere una vita non sua: triste come il sobborgo metropolitano dove si trova ad abitare, scialba come gli abiti che indossa. Una sera legge al figlio un libro di fiabe che non ricorda di aver mai visto prima, Babadook: la storia di una presenza nera dal cappello a cilindro che sceglie una vittima, la perseguita finché non riesce a condizionarla, facendole compiere ciò che lui desidera. Da quel giorno la donna si sente perseguitata e le terribili illustrazioni naif del libro non sono altro che un sinistro presagio.

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Apparentemente potrebbe sembrare quindi una storia sovrannaturale, dove l’oscura abitazione di Amelia diventa il teatro di scena di questa temibile e minacciosa presenza. Ma Babadook non è altro che l’uomo nero, il lato oscuro, irrazionale, immorale, che diventa devastante per chi reprime la propria tragedia personale, il proprio trauma. Il libro dell’uomo nero non è altro che un terribile vaso di Pandora, che porta la fragile Amelia ad assumere le connotazioni di una feroce Medea.

La regista non si limita ad un excursus mitologico nel carattere introspettivo della sceneggiatura, ma si ispira anche a una gran parte della storia del cinema: per la fisionomia di Babadook e del libro pop-up crea un ibrido tra Il gabinetto del dottor Caligari e l’universo del gotico burtaniano; mentre per la crisi psicotica si rimanda ad Aronofsky e al David Lynch di Velluto Blu che utilizza lo scarafaggio come elemento ripugnante, disturbante, che rimanda a sua volta all’oscurità della mente umana.

Lo sguardo al femminile di Jennifer Kent è estremamente forte nelle considerazioni finali, gettando una luce di speranza sulla forza dell’amore indissolubile tra madre e figlia.

Francesca Lampredi

Tomas Ticciati
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