L’ordinaria follia di “Orecchie”, il nuovo film di Alessandro Aronadio

ROMA – Un’umanità smarrita e alienata in una giornata romana. Così il regista Alessandro Aronadio raffigura il mondo nel suo ultimo lungometraggio intitolato Orecchie. In una semplice mattinata, un uomo si sveglia con un fastidioso problema all’udito e, ancora assonnato, trova un biglietto della fidanzata sul frigo che recita: «È morto il tuo amico Luigi. P.S. Mi sono presa la macchina». Il protagonista – giovane supplente di filosofia senza nome, ma semplicemente Lui – non ricorda chi sia costui, né tantomeno sa cosa gli riserverà la giornata che ha davanti.

Come Vitangelo Moscarda – che in Uno, Nessuno e Centomila di Luigi Pirandello – si sveglia e nota che il suo naso è leggermente storto, anche il protagonista di “Orecchie” intuisce che il suo udito ovattato influirà sul suo essere e sulla sua personalità. Entrambi, infatti, da un cambiamento fisico proseguiranno verso la scoperta di sé stessi. Il naso allo specchio in Pirandello e il fischio alle orecchie nel lungometraggio di Aronadio sono entrambi la spia di un malessere interiore nei confronti del mondo. Se Vitangelo nel tentativo di comprendere la realtà da un’altra prospettiva finirà per impazzire, Lui – ben interpretato da Daniele Parisi – arriverà a scomporre la realtà per poi assembrarla e soprattutto accettarla secondo la sua visione. Una frammentazione del reale che passa tramite il sottofondo umano cittadino e le vicende – solo apparentemente banali – che colorano le nostre giornate. L’introspezione pirandelliana è qui applicata alla collettività nel tentativo di comprendere la linea sottile fra la maschera e la verità.

Fra gli sgambetti del destino e le follie dell’esistenza, l’abile sceneggiatura dello stesso Aronadio ben comprende lo smarrimento contemporaneo di fronte all’incomprensione della realtà che si dispiega dinanzi a noi nel quotidiano. «Anche tu pensi che il mondo stia impazzendo?» chiedono Suor Incatenata e Suor Gerarda svegliando il protagonista, che, buttato giù da letto, istintivamente replica: «È evidente, no?». «Ma secondo lei c’è ancora speranza nel mondo?» continuano le sorelle, ma la risposta che ricevono è un «No» secco e disilluso. Le bizzarre religiose sono le prime a spezzare la routine del protagonista, inaugurando un susseguirsi di scene grottesche: dall’otorino che rimanda al gastroenterologo, alla direttrice di un giornale di gossip che vuole una rubrica di filosofia. A rincarare la dose è la signora Marinetti (Milena Vukotic), la moglie di un ex professore universitario di Lui : «Pensavamo che eri un genio, ma evidentemente c’eravamo sbagliati».

Sgomento e rassegnato, Lui si avvia al funerale del suo amico di cui non riesce a ricordare l’esistenza. In un delicato dialogo con Don Giancarlo (Rocco Papaleo) che celebrerà il funerale, il parroco gli chiede «Hai mai letto la Bibbia? Obiettivamente… ci sono delle parti che, quando ogni tanto la leggo, per usare un eufemismo… non significano proprio un cazzo». Nel tentativo di comprendere il mondo intorno, il fischio all’orecchio non passa né diminuisce, ma anzi si intensifica. Al rumore del mondo, al brusio incompreso, al tumulto interiore si può rispondere solo tramite l’accettazione: se questa può sembrare una resa, si rivela invece la chiave di volta per andare avanti. La dimensione grottesca del lungometraggio ci svela chi siamo e fino a che punto possiamo testare i nostri limiti, finendo appunto con l’accettarli. Lamentarsi sarebbe solo un inutile spreco di tempo.

 

La commedia sociale di Alessandro Aronadio porta una ventata di novità nel panorama italiano, riflettendo sulle assurdità del quotidiano in un’alternanza disinvolta di riflessione e ironia. Con un cast eterogeneo che combina attori emergenti e professionisti, il regista fa centro operando anche scelte estetiche controcorrenti. Il film è tutto in bianco e nero con un’inquadratura in quattro terzi. Sembra quasi che il regista, oltre all’udito del protagonista, volesse annientare anche il colore per lanciare il medesimo messaggio di distacco da una realtà incomprensibile e soffocante, come il formato dell’inquadratura scelto. Roma non è però soppressa, ma compare nello splendore dei suoi luoghi eterni. Fra tutti i meriti, il film ha quindi quello di coinvolgere lo spettatore dal punto di vista sensoriale nella vicenda del protagonista. L’irriverenza delle scelte e la goliardia della trama non cadono nel banale, ma sfiorano il serioso invitandoci all’azione: plasmare il rumore, modellare il caos, riuscire ad accettare che in fondo non tutto è comprensibile.

Immagini tratte dal trailer, disponibile cliccando qui

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