ROMA – «Papà un giorno diventerò molto, molto famoso», così esordì all’età di 17 anni Jean Michel Basquiat. In quella determinazione si celava tutta la forza della sua arte, nonché una previsione veritiera sul futuro. Giovane ribelle e protagonista eclettico della scena artistica newyorchese degli anni Ottanta, Jean Michel è divenuto uno degli artisti più conosciuti dei nostri tempi, nonostante la morte alla giovanissima età di 28 anni per overdose, avvenuta nel 1988. Il suo linguaggio criptico e la sua poliedricità artistica restano motivo di fascino ancora oggi, a quasi trent’anni dalla sua morte.
Dal 24 marzo al 2 luglio 2017, il Chiostro del Bramante di Roma rende omaggio alle opere dell’artista di New York, quasi tutte provenienti dalla Mugrabi Collection, ovvero una delle raccolte di arte contemporanea più vaste al mondo. In mostra circa 100 lavori che comprendono olii acrilici, disegni, serigrafie e ceramiche: tutte opere realizzate a cavallo fra il 1981 e il 1987, il periodo di maggior attività dell’artista. L’esposizione – promossa dall’assessorato alla Crescita culturale (Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali), organizzata dal Gruppo Arthemisia e curata da Gianni Mercurio – ripercorre la parabola artistica di Basquiat nonché la sua eccezionale esistenza.
Comparso sulla scena con lo pseudonimo di SAMO, il giovane Basquiat inizia dal graffitismo anche se la sua arte finirà presto al centro di una commistione di molteplici ambiti. A cavallo fra storia, scienza e parole, la sua espressività è influenzata da vicende personali e tematiche sociali: un incidente in giovane età e le sue origini afroamericane. L’operato di Jean-Michel resta spesso arenato ad un livello di difficile comprensibilità, mostrando invece un notevole impatto visivo. Il linguaggio diretto comprende l’utilizzo dei materiali più disparati creando una tensione artistica unica alla base del processo creativo. Da qui è ben percepibile la sua urgenza di essere un artista.
Fra Street art ed espressionismo, l’arte di Basquiat vede il frequente utilizzo della parola. Come una pennellata, lo scritto si rivela essenzialmente un elemento grafico-concettuale, testimonianza del suo essere poliedrico. Un fusione fra primitivismo e contemporaneità, fra interpretazione del presente e comprensione del passato: è proprio su questa direttrice che si snoda l’espressività tribale dell’artista. All’interno della sua produzione si rintraccia anche una forte matrice religiosa spesso legata al sincretismo e alla ritualità (come nell’opera Procession del 1986). Dall’osservazione delle opere si può ben immaginare l’attivismo e lo spirito critico di Basquiat, ma risulta difficile scandagliare oltre la superficie.
Il percorso ben costruito nella magica cornice del Chiostro cerca di coinvolgere lo spettatore e ben lo guida alla scoperta dell’artista. L’unico rischio è che l’arte di Basquiat, così criptica, sfumi la possibilità di conquistare un significato e si riveli un mero assembramento di materiali e colori (basti pensare alle opere simmetriche e incomprensibili Fake 1983 e New 1983). Il tutto si tiene quindi in un equilibrio precario di curiosità ed enigma, con il pregio di scorgere la peculiarità soprattutto biografica dello stesso artista. In effetti, nel vedere le sue opere si ha come l’impressione di respirare l’aria frenetica della periferia newyorchese degli anni ottanta. Differentemente da Picasso – che opera una scomposizione geometrica della realtà – Basquiat cerca piuttosto di comporre le proprie visioni con un insieme di elementi non necessariamente geometrici.
Oltre l’importante sodalizio con Keith Haring, molto interessante è anche il suo rapporto con Andy Warhol. La mostra dedica un’intera sala alla collaborazione con il re della pop art, un particolare incontro che vede il genio Basquiat agli inizi della breve carriera e Wahrol alla fine di una vita artistica piena di soddisfazioni. Esemplare l’opera Thin Lips in cui è raffigurato l’ex presidente statunitense Ronald Reagan, di cui Basquiat criticava la politica fiscale per ricchi. Il tocco di entrambi gli artisti è evidente: le scritte care a Jean-Michel e i colori intensi di Wahrol. Il titolo non è casuale: “labbra sottili”, un’espressione tipica americana con cui si indica una persona che rende false promesse. Simili allusioni fra la critica e l’ammirazione si ritrovano anche nelle ceramiche in mostra, in cui Basquiat ci consegna la sua personale visione di vari maestri della storia, da Salvador Dalì a Man Ray, passando appunto anche per gli amici Warhol e Haring.
L’esposizione ci catapulta in un vortice di emozioni, denunce, esperienze con le note calde dei colori e l’eccentricità materica degli elementi. Incisivo, eclettico, sregolato Basquiat resta però soprattutto misterioso, svelandoci inconsapevolmente lati della sua personalità e distinguendosi dalla massa. Come scrive il curatore Mercurio «per diventare un re bisogna prima di tutto crederci».
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