Masterclass e conversazione con un maestro del cinema coreano: Park Chan-wook

Incontro con Park Chan-wook, Firenze, Cinema La Compagnia, 25/03/17

FIRENZE – In un’assolata mattina di fine marzo si è tenuta nella nuova ed elegante location del Florence Korea Film Fest, il da poco restaurato Cinema La Compagnia, la masterclass di uno dei più importanti cineasti della New Wave Coreana: Park Chan-wook. L’incontro è stato coordinato da Marco Luceri, critico cinematografico e curatore del catalogo per la sezione dedicata al regista Park Chan-wook, Luigi Nepi, docente di Critica Cinematografica del Corso di Laurea in Scienze dello Spettacolo all’Università degli Studi di Firenze e Alessia Rongia.


I primi passi. La prima parte della conversazione ha riguardato la sfera personale e intima del regista. Sono state tracciate le linee storiche che hanno portato Park Chan-wook ad interessarsi al cinema: «il primo ricordo che ho del mio amore verso il cinema è di quando ero piccolo. Avevo meno di dieci anni e nel fine settimana, a casa, guardavo i vecchi film che davano in televisione che potevano essere vecchi film hollywoodiani, francesi o italiani come La strada e anche ai miei genitori piaceva molto guardare i film. Un altro ricordo che mi viene in mente è quando il venerdì sera arrivava il giornale e io andavo alla pagina delle programmazioni e leggendo a mia madre i film che avrebbero fatto il venerdì sera e il sabato e lei mi raccontava i ricordi legati a queste pellicole». Ad inizio carriera, nei primi anni Novanta, i suoi primi film non raccolsero molto successo di pubblico e dunque Park si reinventò critico cinematografico; nonostante questo impiego ha raccontato che «non si guadagna tanto a scrivere gli articoli e quindi in quel periodo ho scritto tantissimo per mantenere la mia famiglia».

L’ideazione di una storia. Il regista ha voluto sottolineare che a seconda dell’opera che andrà a realizzare, il processo d’ideazione sarà sempre diverso. «Ad esempio, Old Boy nasce dal fumetto giapponese, Lady Vendetta nasce da una notizia che vidi al telegiornale riguardante una donna che uccise un bambino; la particolarità della notizia stava nel fatto che la donna fosse incinta e questa cosa mi ha shockato, nel caso di Thirst sono stati mischiati due fattori: il primo fattore riguardava i tempi in cui frequentavo la chiesa da bambino e vedevo il prete che beveva il vino facendomi pensare ai vampiri, il secondo fattore invece è che da adulto ho sempre voluto fare l’adattamento di Teresa Raquin di Zola». La visione di Park è dunque riassumibile così: si può essere ispirati da un romanzo, da un fumetto o da un’esperienza personale basta che alla fine tutti gli elementi buoni per fare un film vengono inseriti nello sviluppo creativo successivo. Luigi Nepi si è posto un altro interessante aspetto riguardante il processo di scrittura del film, ovvero quello dell’adattamento. Come si comporta il regista quando in un romanzo trova delle parti che secondo lui non funzionano nel film, le toglie o le lascia, andando a modificare l’opera originale? Park ha risposto che lui deve basarsi esclusivamente sul mezzo cinematografico e quindi, se alcune parti non trovano una risposta cinematografica corretta, è giusto operare una modifica. La cosa più difficile da fare è invece quella di adattare i sentimenti e le emozioni dei personaggi.


L’elemento del mistero. Park Chan-wook ci ha fatto capire come l’influenza di Alfred Hitchcock sia stata importante per la costruzione del mistero all’interno dei suoi film, un mistero che coinvolge lo spettatore nell’atto di riuscire capire cosa succede nello schermo. Ma l’elemento del mistero è inevitabile o viene ricercato in maniera precisa per la costruzione del film? «Il mistero è sicuramente uno degli elementi più importanti dei miei film – ha raccontato Park – e fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla cultura del mistero e quindi è un elemento inevitabile, non è ricercato. Non penso sia un’esagerazione dire che il mistero come elemento c’è in tutti i film anche se non sono di genere thriller o horror». Old Boy è l’esempio migliore per raccontare l’idea del mistero e metterla in relazione all’essenza della vita: il protagonista si ritrova imprigionato, non sa dove si trova e non sa quando e neanche se uscirà e «questa è la condizione dell’essere umano stesso che non sa perché si trova al mondo e non sa quando morirà».

Il rapporto tra Park Chan-wook e gli attori. «Ci sono dei registi che scrivono la sceneggiatura avendo già in mente chi apparirà nel suo film, io non sono un regista di questo tipo». Park ha raccontato che si basa sull’impressione dell’aspetto fisico dell’attore in base al personaggio da rappresentare. Inoltre gli attori devono essere svegli, ricettivi e non troppo legati al personaggio che devono interpretare.

Il montaggio e il piano-sequenza. Un aspetto fondamentale nei film del maestro coreano è sicuramente il montaggio, mai lineare o pronto a dare il fianco a semplici soluzioni narrative. «Nello storyboard c’è già tutto il senso di come sarà il mio montaggio finale». Parlando nuovamente di Old Boy è stato fatto riferimento alla famosa scena di lotta di Choi Min-sik contro un’orda di criminali. La scena, ripresa con quel magnifico piano-sequenza orizzontale, secondo Luigi Nepi (in sintonia con il regista) è stata ispirata da fregi di battaglie greche mentre per i più giovani ha una relazione diretta con il mondo dei videogiochi. «Questa è la scena che più volte ho modificato nella storyboard – ha detto il regista – perché all’inizio l’avevo strutturata con sessanta inquadrature e solo successivamente ho deciso di renderla unica. L’attore stesso si era un po’rotto e ho preso questa sua condizione per concentrarmi maggiormente sulla rabbia e sul dolore fisico del personaggio stesso».


Il rapporto con gli studios per la realizzazione di Stoker. Il film del 2013, con Nicole Kidman e Mia Wasikowska, ha visto Park Chan-wook collaborare con il cinema americano e ha raccontato la sua difficoltà di rapportarsi a quel mondo. Non ha tracciato, tuttavia, un giudizio negativo sull’esperienza e ha raccontato che «in Europa e in Corea il potere che ha il regista è più forte, quindi per me è stato un po’difficile, però visto che l’obiettivo degli studios è comunque quello di fare un bel film, i nostri dibattiti sono diventati sempre più produttivi e per questo dico che questa esperienza mi ha aiutato nonostante le difficoltà. Il processo è stato pesante però il risultato alla fine è migliorato».

La produzione di Snowpiercer di Bong Joon-ho. «Io sono amico di Bong Joon-ho da prima che lui diventasse regista e avevo sempre voluto produrre un suo film e quindi abbiamo deciso di fare questo progetto insieme. È costato molto e nonostante sia andato bene, non abbiamo guadagnato molto».

Le preferenze di Park Chan-wook. Al termine della bella conferenza abbiamo scoperto che tra i giovani cineasti del cinema mondiale, Park è un estimatore dell’opera di Yorgos Lanthimos (The Lobster, Alps) e di quella di Jeff Nichols (Midnight Special, Take Shelter).

 

Tomas Ticciati
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