Masterclass Giallo

Ospiti importanti e bel dibattito al Masterclass Giallo 

Sabato 25 Aprile 2015 – ore 19 – Fi Pi Li Horror Festival, Libreria Belforte, Livorno

La Libreria Belforte di Livorno, sede attuale de Il Teatro della Cipolla, è stata una delle location di questa IV°edizione del Fi Pi Li Horror Festival. Il giorno della Liberazione ha ospitato una Masterclass sul Giallo con ospiti di grande richiamo. Insieme a Francesco Mencacci, deus-ex-machina dell’Associazione Culturale Il Teatro della Cipolla e della Scuola Carver, sono saliti sul palco personalità come Cecilia Scerbanenco (figlia dello scrittore Giorgio Scerbanenco), Massimo Carlotto, Giampaolo Simi e Roberto Riccardi.

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Nella prima parte dell’incontro gli scrittori hanno discettato sulle venti regole del romanzo poliziesco scritte nel 1928 da S.S. Van Dine e sul valore letterario e sociale del giallo e del noir, sulle loro differenze e infine sulla genesi del noir in Italia partendo dai nomi di Gadda e Sciascia per arrivare alle testimonianze dirette di Cecilia Scerbanenco sul padre Giorgio.

riccardiÈ tuttavia la seconda parte quella più attinente alla nostra sezione di riferimento: ovvero il rapporto tra la letteratura ed il cinema/televisione. Mencacci entra subito nel succo della questione e chiede agli autori se secondo loro le serie tv rappresentano una nuova forma di letteratura. Il primo a prendere la parola è Roberto Riccardi che ammette che «in effetti c’è una reciproca influenza oggi tra quello che si vede sul piccolo e sul grande schermo e quello che si legge nei romanzi, nel senso che chiunque scriva oggi facilmente veda molti film o fiction televisive e così qualcosa entra nel suo immaginario, per esempio anche nella tecnica di scrittura. Tuttavia c’è una differenza sostanziale, sono prodotti diversi: la fiction si avvale di altre componenti che nella letteratura non ci sono…mentre nel romanzo il personaggio vive nello scavo che l’autore riesce a fare, nella fiction invece diventa immediatamente un essere umano in carne ed ossa».

simiLa parola poi passa a Giampaolo Simi che espone la propria idea sulla situazione della scrittura per il cinema. Secondo lo scrittore viareggino «le serie tv degli ultimi dieci si sono caricate sulle spalle il peso della narrazione che tradizionalmente noi delegavamo al romanzo. Questo è successo per un paio di motivi pratici e concreti: il cinema ha investito nei grandi effetti speciali, per contrasto le serie televisive hanno puntato sulla narrazione, poi è successa un’altra cosa. Nel 2008/2009 gli sceneggiatori americani sono scesi sul marciapiede. Loro hanno rimesso la scrittura al centro della scrittura televisiva, non cinematografica. Le serie tv stanno soppiattando il cinema d’autore o presunto tale, tant’è che noi oggi guardiamo una serie “scritta dagli ideatori di…”, non solo per Tim Roth o Harvey Keitel». Una visione che purtroppo (soprattutto chi parteggia per il cinema) corrisponde alla realtà. Se prendiamo gli ultimi film tratti da romanzi noir di scrittori importanti (basti pensare a come Cold in July, tratto da Joe R. Lansdale, non sia neanche passato per le sale cinematografiche italiane…) oppure anche a narrazioni di spessore, magari dal carattere notturno e metropolitano come potrebbero essere Blackhat di Michael Mann o Nightcrawler di Dan Gilroy, ci accorgiamo come il pubblico non li recepisca come rilevanti e come la promozione (che adesso è affidata solo alle pagine sponsorizzate di Facebook) sia limitata solo a teaser trailer, fake trailer, foto promozionali di prodotti Marvel (e quindi Disney) e Lucasfilm (e quindi Disney).

Simi poi racconta quando Rai2 propose ad una manciata di autori italiani di scrivere le sceneggiature per Crimini, una serie tv antologica (in due stagioni) che portò sullo schermo dei “noir d’autore” che già avevano trovato spazio nell’omonima antologia edita da Einaudi. Secondo Simi e Carlotto Crimini poteva essere un punto di partenza per rinnovare la stantia fiction italiana, grazie ad una scrittura di qualità e alla presenza di maestranze importanti. Purtroppo, commenta Simi, «si è pensato bene di troncare questa esperienza che come unico difetto aveva la caratteristica di essere stata messa in piedi da Agostino Saccà, dirigente Rai che poi è incappato in un’intercettazione non felicissima. E purtroppo in Rai vige uno spoil-system, il quale prevede di buttare al macero, insieme al dirigente, anche le idee positive che potevano essere un patrimonio per l’azienda». Si continua a parlare di Rai quando viene chiesto a Cecilia Scerbanenco il motivo dell’attuale mancanza di lavori di suo padre sul piccolo schermo. Lei risponde che ogni volta che si è provato di proporre il personaggio di Duca Lamberti (protagonista dei romanzi di Giorgio Scerbanenco come Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano il sabato) si è trovata di fronte a forti resistenze soprattutto per le tematiche riguardanti eutanasia, sesso e violenza, argomenti che la televisione generalista non riesce ancora a distaccare dalla cronaca della brutta tv-verità e non legare ad un discorso profondo di lettura e rilettura della società attraverso il mezzo filmico.

Parlando invece degli adattamenti cinematografici, lei racconta delle liti di suo padre con Fernando di Leo (regista di I ragazzi del massacro, Milano Calibro 9 e La mala ordina) dicendo che «mio padre faceva fatica e soffriva molto. Ci sono due categorie di scrittori: quelli che dicono “datemi i soldi e non ne voglio più sapere” e quelli che soffrono». Di Leo ha raccontato così il suo rapporto con Scerbanenco: «quando lessi Scerbanenco capii una cosa: che lui della realtà aveva la stessa dimensione che avevo io. Era un realista pure lui…Acchiappando la prima volta il suo libro Milano calibro 9, dopo aver già fatto I ragazzi del massacro, vi trovai un mondo che corrispondeva a quello di cui la pubblicistica non si occupava e che io sapevo essere reale. Fu un incontro di anime, diciamo così. Io, poi, lui l’ho conosciuto poco, perché ci incontrammo solo un paio di volte». Tuttavia Di Leo conferma i fatti che addoloravano molto Scerbanenco e che ha riportato sua figlia, affermando che ha «usato Scerbanenco come estro iniziale, perché poi, nei tre film tratti dai suoi romanzi, non ci sono manco i fatti, ho inventato tutto io…ma non sto togliendo niente a Scerbanenco».

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Piero Chiara sosteneva che «vendere un libro al cinema è come vendere un cavallo: si può sperare che il padrone lo tratti bene, non lo sforzi, lo nutra a dovere, ma poi non si può andare a controllare come sta, il nuovo padrone lo può anche macellare». Massimo Carlotto, più o meno, è di questo avviso, mentre Scerbanenco non era proprio d’accordo.

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Tomas Ticciati
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