Effetti in giallo

 

 Andrea Falchi e quei delitti di provincia

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Che effetto fa il giallo? Per Andrea Falchi, moltissimo. Lo scrittore pisano, classe 1979, ambienta le sue storie investigative nei piccoli comuni della Provincia, prendendo spunto proprio da vari fenomeni – fisici, scientifici o psicologici – denominati “effetto”. Nel suo catalogo figurano titoli come “Effetto San Matteo”, ispirato al processo per cui chi ha molto riceve molto; o “Effetto Werther”, di recente pubblicazione, che prende le mosse dal fenomeno secondo il quale la notizia di un suicidio, se diffusa su grande scala, determina nella società una catena di ulteriori suicidi. I suoi libri sono pubblicati dagli editori Del Bucchia, Felici e Carmignani. L’abbiamo intervistato per voi al Pisa Book Festival di quest’anno, dove ci ha anticipato che il suo prossimo libro sarà ambientato nelle zone di Marina di Bibbona, in provincia di Livorno.

Quando hai iniziato a scrivere quanti anni avevi e cosa ti ha spinto a farlo?

Come quasi tutti quelli che scrivono ho iniziato in età adolescenziale, per colmare una delusione d’amore.

Hai iniziato subito scrivendo gialli o ti sei dedicato ad altri generi?

Il primo amore sono stati la poesia esistenziale e il racconto breve.

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Parliamo ancora di gialli: in quali difficoltà si incappa tentando di scriverne uno ambientato nelle nostre zone? Quali sono invece i vantaggi, sia dal punto di vista dello scrittore che di quello del lettore, di sfruttare una dimensione locale?

La difficoltà di scrivere un romanzo nelle nostre zone è quella di incontrare un lettore che ne sappia più di te. Pur essendoci un enorme lavoro di documentazione alle spalle, questo rischio si corre sempre. D’altro canto raccontare le “nostre” storie fa sentire il lettore locale più coccolato e lo scrittore più a suo agio, c’è subito un’intesa fin dalle prime pagine.

Quali sono gli aspetti più appassionanti del genere, dal tuo punto di vista?

La suspense che accende la mente del lettore in una lettura attiva e non passiva, la sfida sempre nei confronti del lettore, il divertimento di me che scrivo e fino alla fine non so mai come andrà a finire. Innanzitutto cerco di creare un rapporto con il lettore, di incuriosirlo con qualche aneddoto, inserendo qualche personaggio storico noto, visto magari da un’altra angolazione, e di stupirlo con l’originalità del mio metodo investigativo.

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Chi sono i tuoi maestri?

Sicuramente Agata Christie, Georges Simenon e Andrea Camilleri.

Non pensi che il genere sia ormai inflazionato? In Italia il giallo ha sempre trovato un discreto pubblico, ma gli scaffali delle librerie sono ormai invasi da autori stranieri.

Se le storie sono ben scritte ci sarà ancora sicuramente spazio anche per il giallo italiano nei prossimi anni.

C’è chi sostiene che gli italiani non possono reggere il confronto con i noir americani: loro hanno sceriffi che masticano tabacco e maneggiano fucili a pompa… Tu come la vedi?

Il giallo italiano è profondamente diverso da quello straniero. E’ più colto, più profondo. Io mi colloco in quella tipologia di narrazione che in gergo si chiama giallo di provincia in cui conta molto anche l’ambientazione che fa da sfondo e non per forza la quantità di sangue che viene sparsa.

Come il tuo collega Marco Malvaldi, hai studiato chimica: c’è una corrispondenza d’amorosi sensi fra i chimici e gli omicidi?

Beh, il giallo segue degli schemi ben precisi, anche se io nei miei testi cerco di romperli un po’, comunque la narrazione deve seguire un certo iter. Quindi lo schema di un giallo è molto simile a una ricetta di una reazione chimica. Bisogna dosarla bene, perché non scoppi troppo presto, ma al momento opportuno. E poi come ci ha insegnato Agata Christie la chimica può uccidere in tante maniere differenti, la morte per cianuro per esempio è molto più raffinata rispetto al classico colpo di pistola.

Chi è il giallista contemporaneo italiano che ammiri di più? E quello straniero?

In questo momento mi sto appassionando particolarmente a Francesco Recami. Per quanto riguarda autori stranieri mi ha colpito molto Fred Vargas.

Una tua serie di romanzi ambientata nel pisano è unita dal filo degli effetti: come ti è venuta questa idea?

Un titolo a “effetto” serve a colpire il lettore nel momento dell’acquisto, perché non inserire direttamente la parola nel titolo? E poi ho intenzione di scriverne tanti e di “effetti” ce n’è a bizzeffe!

Il commissario Silvestri esiste veramente?

In parte sì… il suo saltare di palo in frasca durante una conversazione, la sua esasperata voglia di ricorrere in quasi tutte le circostanze all’intuito appartengono al mio essere.

E l’ispettore Titta? Ti sei ispirato a qualcuno?

Sinceramente no, mi serviva un personaggio diametralmente opposto al Silvestri che gli facesse da contraltare o da spalla come si suole dire.

Qual’è il posto più bello di Pisa città? E quello perfetto per ambientare un omicidio?

Ho ambientato ormai diversi gialli a Pisa sia romanzi che racconti e un posto molto bello che potrebbe fare da sfondo a un omicidio è la Chiesa della Spina, ora che mi ci hai fatto pensare mi sa proprio che il prossimo morto scappa lì…

Quanti libri leggi all’anno? In che modo la lettura ha cambiato la tua vita?

Leggo una cinquantina di libri all’anno, sono, per usare un termine inflazionato in campo editoriale, quello che viene definito un “lettore forte”. La lettura cambia per forza la vita di una persona, tu ad ogni libro puoi vivere un’esperienza diversa dall’altra e alla fine un qualcosa di quel pezzo di carta ti rimane addosso per sempre.

Stai lavorando a qualcosa di nuovo? Ci dai un’anticipazione?

Sto lavorando al quinto episodio, Effetto Larsen, l’asimmetria del ritorno ambientato in quel di Marina di Bibbona, Bolgheri e Castagneto Carducci. Piano piano si colonizza anche la provincia di Livorno…

285634_4032932391029_344287144_nFilippo Bernardeschi

 

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