Fino a qui tutto bene (Roan Johnson, 2014)
Mercoledi 25 febbraio al cinema Arlequin di Parigi c’è stata la presentazione di Fino a qui tutto bene di Roan Jonhson.
Fino a qui tutto bene è la seconda pellicola del regista pisano Roan Johnson, che, con quest’opera tratteggia i contorni della realtà attuale con toni accesi e al contempo malinconici. La storia racconta gli ultimi tre giorni di convivenza, nel loro appartamento sul lungarno pisano, di cinque ragazzi che, terminata l’università, stanno per tornare a casa e intraprendere il loro cammino, fuori dall’ambiente “protetto” della loro vita fatta di problemi quotidiani legati agli esami e a piccole cose.
Acclamata al Festival di Roma e premiata dal pubblico che l’ha accolta con entusiasmo, la storia di Cioni (Paolo Cioni), Andrea (Guglielmo Faville), Ilaria (Silvia D’Amico), Vincenzo (Alessio Vassallo) e Francesca (Melissa Anna Bartolini) rappresenta un ultimo tuffo nella spensieratezza e nell’allegria dei vent’anni scanzonati, sui quali incombe sempre una consapevolezza: il mondo li attende fuori dal loro appartamento, fuori dalla piscina gonfiabile che hanno portato sul tetto, fuori dal microcosmo nel quale hanno vissuto negli ultimi anni.
Riprendendo un progetto nato da una proposta dell’Università di Pisa, sulla consapevolezza dei neo laureati circa le difficoltà che li attendono una volta conseguito il loro titolo di studi, il regista e la sua compagna e co-sceneggiatrice Ottavia Madeddu portano sul grande schermo la paura più grande dei ventenni di oggi: il futuro. Il racconto è realizzato non perdendo mai di vista quella che è la vita reale dei giovani universitari, fatta di divertimento, di feste, della volontà di godersi la vita, per quanto possibile, e di non lasciarsi fermare nè dalle difficoltà né dai dolori più grandi.
Questi ottanta minuti, frizzanti e ricchi di momenti spesso esilaranti, anche grazie ai differenti dialetti che animano la casa, ci portano dentro le vite dei ragazzi, con i loro problemi, le loro frustrazioni e i loro sogni. Ci troviamo di fronte a personaggi reali, veri, in cui ognuno di noi riesce a rispecchiarsi senza difficoltà. I problemi di vita quotidiana, dall’arrivo di un bambino alla fine di un amore, dai sogni infranti alle speranze future, sono affrontati con la forza della complicità e dell’amicizia. Si guarda con nostalgia a quello che è stato, con un filo d’invidia a quelli che “ce l’hanno fatta”, ma in tono autocritico, cercando di trovare una soluzione per “farcela” e per crescere ancora, senza vittimismi o inutili piagnistei: ciascuno dei protagonisti crede in quello che ha costruito fino a questo momento e che vuole realizzare. Nonostante spesso gli eventi dimostrino quanto sia più facile abbattersi piuttosto che continuare a correre avanti verso l’obiettivo, Roan Johnson ci presenta degli esempi da seguire, non dei vincenti, non utopistici personaggi, ma rappresentazioni di volontà, la volontà di provarci, quella stessa che spesso vediamo mancare alla nostra generazione.
Durante l’ incontro con il pubblico, dopo la proiezione del film al cinema Arlequin di Parigi, Roan Johnson ha dichiarato che ciò che lo ha più colpito è come la vita e la prospettiva di un giovane laureato sia cambiata rispetto a pochi anni fa. È una consapevolezza nuova, una nuova paura, la mancata certezza che là fuori ci sarà un posto per ognuno di loro, di noi. Come dice uno degli stessi protagonisti, i problemi della vita vissuta fino a quel momento, sebbene prima sembrassero insormontabili e li facessero soffrire, adesso, in confronto a quello che li attenderà diventano un’inezia, “una cazzata” (cit.) È la crisi di oggi ad essere rappresentata.
Uno spettatore parigino, nel dibattito successivo alla proiezione, ha “accusato” il regista di non aver messo, nel suo film, sufficientemente in luce la crisi, giacché il film non parla mai di politica, di problemi globali, dell’Italia; ed i giovani, al contrario, sembrano essere sempre pronti a festeggiare, come se in realtà questa consapevolezza fosse trattata e percepita con estrema leggerezza. Noi riteniamo che questa sia una critica superficiale. L’intelligenza nel modo in cui la realtà è stata presentata è esattamente questa: riuscire a mostrare la crisi come qualcosa costantemente presente, in ogni scena, qualcosa che incombe sui protagonisti, sconfortandoli ma mai abbattendoli, mai togliendo loro la voglia di vivere. Tra chi pensa di rinunciare agli studi per crescere un figlio, tra amori che finiscono per chi “è costretto ad andare all’estero”, tra coloro che si perdono per strada, tra soldi che mancano, in ogni scena c’è una briciola di questa consapevolezza, contro la quale tuttavia Cioni, Ilaria, Vincenzo, Andrea e Francesca lottano, combattendola, con il sorriso, con gli espedienti di chi ha voglia di godersi la vita fin nelle piccole cose.
Così sul tetto del loro appartamento i ragazzi hanno sistemato una piccola piscina gonfiabile, dalla quale dominano tutta Pisa, garantendo al pubblico in sala panorami degni di nota. Pisa diventa così non protagonista, ma un esempio d’idilliaco microcosmo, in cui si dipanano le vite di molti come loro.Affezionato alla sua città, l’autore la rappresenta nei suoi aspetti meno convenzionali, meno conosciuti, offrendoci scenari incantevoli. Un film tutto pisano, dalle immagini alla musica, affidata a un gruppo locale, i Gatti Mézzi, che aiuta a contestualizzare la pellicola, lasciandoci con un sorriso sulle labbra.
Tutte le tematche giovanili sono toccate, compresa quella della “fuga all’estero”, il grande esodo dei laureati italiani, quasi costretti ad andarsene per cercare di realizzare quel sogno che portano dentro ma che sembra irrealizzabile nel loro pur amato paese. Cosi le coppie si dividono, gli amici si allontanano, e tutti sono costretti ad abbandonare quella piscina sul tetto per ritrovarsi in mare aperto, rischiando di perdersi, ma combattendo, anche se su una piccola barca di legno con il motore rotto, remando per rimanere a galla nella corrente della vita anche senza vedere la riva, perché, in fondo, fino a qui tutto è andato bene.
Arianna Cortigiani
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