Pippo Delbono: dal sé alla collettività

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Amore Carne è il penultimo film di Pippo Delbono, uscito nelle sale italiane il 27 giugno 2013 e molto applaudito in Francia.

La distribuzione nel nostro paese vede il regista accompagnare il suo film come un breve tour teatrale che si estende dal cinema Zenith di Perugia alla Capitale il 4 luglio. Questa scelta riconduce l’intenzionalità di Delbono di far compenetrare il cinema con il teatro e le arti con la vita seguendo un’ottica pasoliniana.

Amore Carne è infatti un viaggio lirico che nasce all’interno del microcosmo del regista, dove il pretesto di parlare della sua piccola vita si estende toccando tematiche esistenziali all’universale. La partenza risale appunto alla confessione di un vissuto molto intimo di Delbono: la sua lotta quotidiana contro l’Aids. La malattia, contratta per rapporto sessuale non protetto, gli rivela la dicotomia della carne: l’esaltazione dell’amore per la vita e portatrice di morte. Il regista ci racconta il difficile percorso di consapevolezza della malattia, il suo rifiuto, la sua capacità di portare a un nuovo modo di sentire il mondo.

Ma le riflessioni del regista si estendono anche ad altre vite. Come recita in una delle sequenze più liriche, Delbono «è curioso delle vite degli altri, delle altre vite, delle altre storie, di quelle vite degli altri a cui ti attacchi per sentirti meno solo, forse nel mondo. Come un bambino che ha bisogno di madri, di padri, di fratelli».

Il regista rappresenta le sue riflessioni come le pagine di un diario a cui incolla altre esistenze, altri frammenti. Sono quelli di volti famosi, dall’immortale Pina Bausch al musicista Alexander Balanescu, quello della madre, quello di sconosciuti diseredati che incontra nel viaggio che lo conduce dall’Italia alla Romania. Delbono crea un puzzle di voci, di sussurri che avvicinano l’uno all’altro per questo modo di sentire la realtà, di penetrare ne «la grande morte del mondo».

La grande capacità comunicativa del regista è espressa anche tramite il supporto con cui decide di filmare il suo film: un videofonino. La specificità del nuovo mezzo, sperimentato nel precedente del 2009, La paura, risiede nella sua immediatezza, nel suo essere facilmente maneggevole, tascabile.  Attraverso quest’ultimo Delbono distrugge ogni grammatica a favore di una costruzione antinarrativa e frammentaria dell’immagine che ci rende estranei a questa società.

Il lirismo del regista di Sangue deriva dalla viscerale capacità di far modificare il punto di vista dello spettatore, portandolo ad assumere quello del diverso, del diseredato, dell’estraneo. Capace di ritrovare lo straordinario nell’ordinario, un’ordinario deformato come il suo linguaggio visivo.

Così Delbono rompe, distrugge, sussurra e abbraccia.

Francesca Lampredi

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