“Amores Perros”. La violenza e la contraddizione della periferia messicana

Amores Perros è il primo lungometraggio di Alejandro Gonzalez Inarritu, che costituisce il primo film della Trilogia della morte, seguito da 21 grammi e Babel.

Il film è girato nel 2000 a Città del Messico ed inizialmente era stato immaginato come l’insieme di undici cortometraggi che avevano in comune lo sfondo urbano: le periferie di Città del Messico. Successivamente il regista e lo sceneggiatore Guillermo Arriaga hanno pensato di ridurre l’intreccio narrativo a tre storie, dilatandone i contenuti.

Amores Perros narra tre vicende che comunicano l’una con l’altra tramite un bizzarro destino e in maniera del tutto inconsapevole. La storia più interessante è sicuramente la prima. Octavio è innamorato follemente della cognata. Per guadagnare una cospicua somma di denaro e fuggire con lei decide di utilizzare il cane del fratello nelle lotte clandestine. Nelle altre due storie sono protagonisti una benestante modella e un sicario. La prima attraversa un periodo di profonda crisi con il lavoro e con il compagno a causa di un trauma alla gamba e di un problema con il cane. Mentre il malavitoso preferisce isolarsi in nude e sporche stanze e condividere la sua intimità con gli amici a quattro zampe che con gli esseri umani e la sua famiglia.

La periferia gioca un ruolo fondamentale, non solo come scenografia ma diviene la metafora di una condizione umana. Infatti è proprio il locus dove si combatte una lotta alla sopravvivenza esistenziale e fisica, dove diverse classi sociali calpestano lo stesso marciapiede per spostarsi nei loro ghetti. Abbiamo due esempi di periferia antitetici. L’isolato dove vive Octavio, è un ambiente popolare, carico di scritte sui muri, di appartamenti ammucchiati sporco come quello di El Chivo. Ed è proprio nella periferia popolare che emerge questo status di bestialità che caratterizza tutto il film con il sangue, la violenza dell’immagine visiva che alterna ritmi dinamici a dilatazioni temporali. Mentre  nel contesto residenziale dove vive Valeria, ben curato ricco di  appartamenti di lusso si nasconde una fragilità interna, una vanitas effimera. Questa che si traduce con il buco del parquet dove scivola il cane della donna, metafora del vuoto e dell’inutilità esistenziale delle classi alte.

Alejandro González Iñárritu

Inarritu utilizza lo scenario periferico come mappatura di una condizione esistenziale. La periferia accoglie un’umanità priva di speranza perché divenuta sempre più bestiale e feroce oltre che immersa in una solitudine abissale.

Il cane, presente in ogni storia e nella sua divergenza è la rappresentazione di questa disumanità del genere umano in una società liquida e post moderna. In particolare il cane di Octavio è il collante delle tre storie. Le lotte clandestine conducono Octavio a fuggire in auto da due sicari. Sfrecciando sulla strada fa un’incidente con la bella Valeria. Nel caos dell’incidente El Chivo si accorge che il suo cane è ancora vivo e lo soccorre. Ogni vita è quindi collegata come attraverso dei fili invisibili.

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