Il suono del Classico: The Wall

The Wall dei Pink Floyd: una riflessione sui modelli educativi

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In tema di scuola, individualità di apprendimento ed educazione in senso lato, in questo numero non potevamo non affrontare un album fondamentale uscito nel novembre del 1979, che è riuscito ad eviscerare queste problematiche rendendole ancora attuali e vive, ovvero The Wall dei britannici Pink Floyd.
Ci sarebbe da scrivere per ore su questo capolavoro della musica, concept album che ha fatto la storia e che risiede nella memoria musicale e visiva di tutti. Purtroppo lo spazio a mia disposizione non è molto, e quindi cercherò di mettere in evidenza i punti salienti dell’album, soffermandomi in particolare sul concetto dell’ “educazione scolastica/educazione alla vita” che lo permea per una buona parte. A differenza di altri articoli di questo mese non parleremo delle gioie dell’apprendimento e dell’insegnamento come un qualcosa di positivo, ma come elementi traumatizzanti e distruttivi, parte di esperienze personali dei creatori dell’album, e punto di partenza per la ricerca di una nuova personalità per fuggire alla standardizzazione.

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THE STORY BEGINS: Prima di The Wall i Pink Floyd realizzarono il loro primo concept album con The Dark Side Of The Moon del 1973, seguito da Wish You Were Here del 1975 e da Animals del 1977, con il quale riuscirono a dare vita ad una trilogia dedicata alla follia, alla spersonalizzazione e all’alienazione umana. In questi album si trovavano già in nuce tutta quella disillusione, tutto quell’astio e disperazione che avranno poi la loro consacrazione con The Wall: uomini trasformati in animali come nel romanzo di Orwell, star e musicisti che famelici vanno alla ricerca del denaro e del successo, lo scorrere inesorabile del tempo, il disagio di fronte ad una realtà musicale spiazzante, quella punk, in cui i Pink Floyd non si riconoscevano, la mancanza di punti di riferimento affettivi, la critica del capitalismo sfrenato etc., in un’altalena tra il personale e il pubblico, tra il disagio interiore e lo sgretolarsi di una fatiscente società consumistica capeggiata da figure come Mary Whitehouse e Margaret Tatcher.
Con il ricordo di Syd Barrett, idolo impazzito e schizofrenico della prima fase del gruppo, i Pink Floyd si avviarono verso una fase di indagini interiori, guidati dalla personalità sempre più emergente di Roger Waters che riuscì a fare di The Wall una storia introspettiva e immortale. Album concepito durante il tour di Animals, dove Waters aveva già iniziato a percepire un forte distacco dal suo pubblico e dallo show business, il disco si configura come una storia dalle parole esplosive, incredibilmente complesso sul palco, e visivamente crudo sullo schermo. Composto da due corposi dischi ripercorre la vita del protagonista immaginario Pink (in cui traspare spesso la biografia di Waters), dai suoi giorni d’infanzia nel secondo dopoguerra inglese, fino al suo isolamento auto-imposto in qualità di rock star di fama mondiale, in cui lui stesso inizia a costruire un muro che lo separerà dal mondo. Pink percorre il suo romanzo di de-formazione/ricostruzione attraverso i brani della band: inizialmente è un ragazzino tormentato dalla figura della madre iperprotettiva e autoritaria, perseguitato dal ricordo del padre morto in guerra, costretto in un sistema educativo che produce menti standardizzate e conformi e che tratta i giovani come tasselli inanimati; un ragazzino che cresciuto si trova a dover restare imprigionato nel muro delle disillusioni dell’età adulta, fatta di rapporti sentimentali di breve durata, di fama effimera e di insoddisfazione umana. Roger Waters, David Gilmour, Nick Mason e Richard Wright con The Wall sono riusciti a costruire un muro metaforico e allo stesso tempo tangibile, dove ogni mattone rappresenta un evento spiacevole che lo rinforza e lo innalza fino a renderlo impenetrabile.

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Track List: Vi consiglio di seguire questo elenco come se fosse l’indice dei capitoli di un romanzo, poichè The Wall è una storia fatta con la musica.
Disco 1
Lato A
In the Flesh? – 3:19
The Thin Ice – 2:28
Another Brick in the Wall Part 1 – 3:10
The Happiest Days of Our Lives – 1:50
Another Brick in the Wall Part 2 – 3:59
Mother – 5:32
Lato B
Goodbye Blue Sky – 2:48
Empty Spaces – 2:07
Young Lust – 3:31 (Roger Waters, David Gilmour)
One of My Turns – 3:36
Don’t Leave Me Now – 4:16
Another Brick in the Wall Part 3 – 1:14
Goodbye Cruel World – 1:14
Disco 2
Lato A
Hey You – 4:41
Is There Anybody Out There? – 2:40
Nobody Home – 3:25
Vera – 1:33
Bring the Boys Back Home – 0:50
Comfortably Numb – 6:49 (David Gilmour, Roger Waters)
Lato B
The Show Must Go On – 1:36
In the Flesh – 4:16
Run Like Hell – 4:22 (David Gilmour, Roger Waters)
Waiting for the Worms – 3:58
Stop – 0:30
The Trial – 5:19 (Roger Waters, Bob Ezrin)
Outside the Wall – 1:42

THE ALBUM: L’album si apre con il pezzo In The Flesh?, un preludio alla vita di Pink con toni epici e trasognati, e ci fa capire che Pink sta per cominciare a raccontare la storia della costruzione del suo muro. Il pezzo mette in evidenza il cinismo che caratterizza tutto l’album, ingrediente fondamentale per Waters al fine di farsi strada in un mondo truce e fatto di disinteresse: claw your way through this disguise, ovvero scava con le unghie la tua strada attraverso questo inganno (se vuoi sopravvivere). In The Flesh? racconta come la metafora del muro sia una cosa ciclica che coinvolge tutte le generazioni e che si trasmette quasi come una caratteristica genetica mutata dalle “sovrastrutture” della società; nella vita si scava con gli artigli e si impilano mattoni, in un movimento ascendente e discendente che presuppone fuga e ricerca di protezione dal mondo. Sono le pressioni genitoriali, la perdita di un padre, l’umiliante educazione scolastica e le paure del futuro a farci ingabbiare in una trincea di mattoni, una prigione da cui possiamo liberarci, ma che inevitabilmente passeremo ai nostri figli.
Con The Thin Ice, il ghiaccio sottile, ci si avvicina al nocciolo di Another Brick In The Wall, il pezzo più famoso e denso di significati. The Thin Ice, gioiello acustico di malinconica dolcezza e forza si apre con un vagito di neonato e racconta il rapporto morboso tra madre e figlio destinato a corrompersi. Il ghiaccio sotto i tuoi piedi si spezza e tu vieni catapultato all’interno del tuo inconscio fatto di sogni e paure: una madre oppressiva e soffocante può renderti vulnerabile e tu, rotto il ghiaccio, ti trovi ad essere in balìa delle onde, una vittima delle colpe e degli abusi di potere delle generazioni precedenti.
Questi concetti della colpa e dell’abuso conducono ad Another Brick In The Wall Pt. I: il pezzo si apre con una chitarra carica di effetto delay, che riverbera e fluttua, creando un tappeto cristallino di memorie che descrivono un senso di solitudine per la perdita del padre: Pink è solo, incompreso e frustrato.

Daddy’s flown across the ocean
Leaving just a memory.
A snapshot in the family album.
Daddy, what else did you leave for me? […]
All in all it was all just bricks in the wall.

Con la successiva e brevissima The Happiest Days Of Our Lives ci immergiamo nel fulcro del problema educativo e il muro metaforico diventa reale: Pink/Waters ricorda la sua infanzia da scolaro con rabbia, un pizzico di sadismo e ironia descrivendo le tristi vite degli insegnanti che sfogano i loro rancori nei confronti degli alunni.

When we grew up and went to school
There were certain teachers who would
Hurt the children in any way they could
By pouring their derision upon anything we did
And exposing every weakness
However carefully hidden by the kids
But in the town, it was well known
When they got home at night, their fat and
Psychopathic wives would thrash them
Within inches of their lives.

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Il maestro cattivo disegnato da Scarfe

Qui e nel seguente Another Brick in the Wall Pt. 2 la critica agli insegnanti non è sempre una condanna totale di tutti i sistemi educativi, ma soltanto di coloro che aggrediscono studenti innocenti. Per Waters questa canzone si riferisce a quei cattivi insegnanti che continuamente annientano l’autostima dei loro studenti, a quelli che non li incoraggiano e che semplicemente cercano di schiacciarli e umiliarli, per forzarli nella forma giusta, e renderli adeguati, in modo che una volta andati all’università avrebbero ottenuto ottimi risultati. Pink ritrae un sistema che fa male, deride e priva di individualità, trasformando i ragazzi in oggetti senza voce che si rifugiano dietro un muro di insicurezza. L’insegnante non insegna come affrontare la vita ma è un tiranno che ti distrugge, un mostro anziano con la testa di martello come lo ha disegnato la penna dell’artista Gerald Scarfe. La follia di questo sistema educativo basato sulla violenza psicologica e sul bullismo adulto da cattedra esplode in Another Brick In The Wall Pt. II. Suoni di elicottero voci confuse di bambini aprono il pezzo, come in uno stato perenne di guerra, mentre poco dopo esplode il famosissimo coro degli studenti della Islington Green School:

We don’t need no education.
We don’t need no thought control.
No dark sarcasm in the classroom.
Teacher leave them kids alone
Hey! Teacher! Leave them kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall.

Dal suo lancio nel 1979, innumerevoli adolescenti e adulti hanno adottato questa canzone come inno anarchico, utilizzandolo per sferrare un colpo contro quello che vedevano come anni di oppressione educativa. Tuttavia, la canzone, come abbiamo detto, è stata scritta come un attacco contro un tipo specifico di apprendimento, ciò che Waters ha subito da bambino. We don’t need no education suggerisce con la doppia negazione che sì, l’istruzione può essere una buona cosa per lo sviluppo di individui a tutto tondo, ma c’è educazione e educazione, e quella descritta da The Wall è sbagliata: è come se Waters dicesse “Non abbiamo bisogno di questo tipo di educazione, ma di una che privilegi l’originalità e la fantasia personali“. In questo senso il pezzo non parla di rivoluzione completa, ma si tratta di una critica contro i tipi di insegnanti e sistemi che, come nel caso di Pink, mettono in ridicolo un bambino fantasioso che scrivere poesie. Le minacce dell’insegnante infine, chiudono il pezzo e richiamano all’ordine il gruppo di ragazzini che gridano nel cortile, critica evidente all’autoritarismo di certi adulti.
L’elemento dell’educazione ritorna nel pezzo successivo, Mother: canzone fatta di paranoie nei confronti di una madre “chioccia” troppo presente, che ha troppo protetto il figlio impedendogli di maturare naturalmente. Altro modello di cattiva educazione, la madre di Pink sembra non ascoltare le domande esistenziali del figlio, domande sulla guerra fredda, sulla guerra del padre, sulla crescita e sulle speranze da adulto, anzi, l’unico modo in cui riesce a rispondere non è altro che un confermare quel disinteresse e iperprotettività distruttiva:

Hush now, baby. Baby, don’t you cry.
Mamma’s gonna make all your nightmares come true.
Mamma’s gonna put all of her fears into you.
Mamma’s gonna keep you right here under her wing.
She won’t let you fly, but she might let you sing.
Mama’s gonna keep baby cozy and warm.
Ooooh babe. Ooooh babe. Oooooh babe,
Of course mama’s gonna help build a wall.

La madre di Pink disegnata da Scarfe: imponente con le braccia a forma di muro

La madre di Pink disegnata da Scarfe: imponente con le braccia a forma di muro

Il romanzo dell’anti-eroe Pink continua con cinismo e decostruzione: il lato B del primo disco con Goodbye Blue Sky ,Empty Spaces ,Young Lust ,One of My Turns, Don’t Leave Me Now, Another Brick in the Wall Part 3 e Goodbye Cruel World, Pink cresce e racconta del rapporto disintegrato con la moglie, mettendo in crisi la validità dell’istituzione del matrimonio con violento nichilismo. Divenuto una celebre rockstar, si chiude in un paranoico isolamento in balia dei propri produttori, dell’alcol, del sesso occasionale e della droga, mettendo l’ultimo mattone nel muro. La guerra incombe sempre come un fantasma, mentre la musica si fa più cupa e rarefatta: Comfortably Numb, splendido pezzo che chiude il lato A del secondo disco è un momento di dormiveglia della mente, che riproduce un’ipotetica conversazione tra Pink (Waters) e il medico (Gilmour che canta nel ritornello) che lo ha salvato da un malore.
Ma The Show Must Go On e Pink riprende la sua vita sul palco, costretto dal suo lavoro, rivolgendo critiche pesanti allo show business e al mondo deviato delle rockstar. Altro cattivo esempio che Pink/Waters vuole dare è quello della perdita del controllo su sé stessi, perché una volta che hai la fama (e il potere) non hai più limiti: in In The Flesh e Run Like Hell, Pink in preda ad un’allucinazione causata dalla droga, perde il senno e si immagina durante un concerto con lo stesso atteggiamento di un dittatore spietato che si scaglia contro la folla e la incita con un immaginario nazista, mentre il muro diventa una metafora di razzismo, omofobia e xenofobia violentissimi.
Con Stop e The Trial giungiamo agli ultimi capitoli dell’infinita saga di Pink: il protagonista capisce che potrà vincere la propria solitudine in un solo modo, ovvero analizzando la propria esistenza e istituendo un tribunale mentale composto dai cattivi modelli educativi della sua vita: il maestro, la moglie e la madre. Pink scosso dal giudizio decide di abbattere il muro, eliminando le proprie difese ed esponendosi nudo ai propri simili.

Outside the Wall, è la canzone che chiude la storia: litania delle macerie di una guerra interiore conclusa, si apre con sonorità delicate e dolcemente trionfali, dove Pink ci racconta come sia difficile vivere al di fuori del muro:

Soli, o a coppie quelli che davvero ti amano camminano su e giù fuori dal muro. Qualcuno mano nella mano, qualcuno si riunisce in gruppo. I cuori sanguinanti e gli artisti fanno la loro comparsa, e quando hanno dato tutto ciò che potevano alcuni barcollano e cadono. Dopo tutto non è facile sbattere il tuo cuore contro un muro di pazzi.

Pensando a Pink, eroe ancora estremamente attuale, alla sua fatica e ai muri che noi tutti ci costruiamo e a quelli che cerchiamo di abbattere ancora oggi…Vi lascio riflettere sui vostri muri, costruiti o abbattuti che siano e vi rimando a scoprire altre storie interessanti nell’articolo di Tomas Ticciati sul film The Wall... Buona lettura!

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Virginia Villo Monteverdi

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