Crack is Wack/ Don’t believe the hype: Keith Haring e la musica

«Un giorno mi accadde una cosa decisamente insignificante. Mentre percorrevo la strada per raggiungere un McDonald locale, guardai in terra e vidi un piccolo pezzetto di carta con su scritto GOD IS A DOG, e sul retro JESUS IS A MONKEY. Non so perché ma rimasi colpito da quella frase. Era un’attitudine diversa, una sorta di cosa Punk e New Wave a cui gradualmente mi stavo esponendo in quel periodo, ma che sinceramente ancora non riuscivo a capire totalmente. Era il 1977 e il punk era già arrivato dall’Inghilterra. Io però mi sentivo molto meno fico dei miei colleghi, loro ascoltavano musica più attuale, più “alla moda”, erano molto funky. Decisi così di iniziare a familiarizzare con quella nuova mentalità, quel foglio di carta fu un segno. Per prima cosa mi tagliai i capelli da lunghi a molto corti. Poi iniziai a frequentare i negozi di dischi: comprai un album dei DEVO che andava alla grande, Q: Are we not men? A: we are Devo! Iniziai a frequentare i miei colleghi di colore e con loro ascoltavo black music, funk e punk. Mi ricordo un pezzo che passavano spesso alla radio in quel periodo, Flashlight, era una gran canzone, un nuovo funk».

Keith Haring in Keith Haring, The Authorized Biography di John Gruen

Keith Haring durante la sua carriera ha avuto un rapporto diretto con la musica che ha sin dall’inizio influenzato le sue opere e offerto materiale su cui lavorare. Haring era un bianco che alle spalle aveva ancora il retaggio della cultura hippie, studente all’accademia d’arte di Pittsburgh nel 1977 che improvvisamente si ritrovò coinvolto in un nuovo magma sociale della cultura gay e afroamericana. Sebbene nominato come Graffiti artist, Keith non fu mai direttamente all’interno del movimento e nemmeno coinvolto nella compagine di strada hip-hop dell’epoca, da cui si allontanò dopo pochi anni per entrare nell’Olimpo dell’arte.
L’artista iniziò la sua carriera con un’attitudine da “graffittaro” e partecipò in seguito a creare un’identità artistica molto forte alla scena hip-hop, dando così una voce grafica a tutte quelle nuove istanze culturali e musicali che si stavano facendo sempre più evidenti. Haring d’altra parte voleva un’arte che parlasse ai più e che non fosse elitaria, un’arte del popolo e delle minoranze a cui lui stesso si sentiva di appartenere. La sua arte aveva in nuce già una vocazione popular nell’accezione più diffusa del termine ma iniziò a farsi strada nell’underground.
La black music e il nascente hip-hop denunciavano un sistema sociale e politico oppressivo, razzista e consumista, e Haring con la filosofia delle Subway Drawings dei primi anni 80, riuscì a trovare un punto in comune con tale movimento. Queste opere (per lo più graffiti illegali che imponevano all’artista di non farsi scoprire dalle autorità) erano costituite da una linea continua in gesso banco che percorreva numerose gallerie della metropolitana partendo dagli spazi pubblicitari vuoti, come una sorta di filo, di rete, che unificava tutto, come per dire con un atto politico “the medium is the message”, la comunità nascosta esiste.
Haring entrò presto in contatto con la cultura underground afroamericana di New York. Iniziò a frequentare il Paradise Garage, locale aperto nel 1978 che ben presto divenne il punto di riferimento per la disco music, la cultura gay e successivamente per tutta la club culture della metà degli anni 80. Questo locale influenzò moltissimo l’arte di Haring, dalla metà degli anni 80 le sue opere iniziarono ad acquisire più movimento ed erotismo, e il ballo della dance hall del Paradise Garage si riversò nei disegni dell’artista che riuscì a fare della sua arte una scrittura universalmente compresa da tutta quella comunità.
Qui conobbe moltissime personalità della scena musicale, tra cui il DJ Juan Dubose, che divenne il suo compagno, e lo storico DJ Larry Levan, inventore della Garage House e allievo di David Mancuso e anche Malcom Mc Laren, ex manager dei Sex Pistols. La selezione musicale del Paradise Garage era all’avanguardia e si poteva ascoltare il meglio di disco, hip-hop, house, reggae, rap, rock, musica africana, brasiliana, caraibica, e anche le Top 40 dell’epoca, inclusa la danza, come Capoeira e Break-dance. Haring si fece facilmente conquistare da questo nuovo sound che divenne uno dei suoi preferiti, i suoi colleghi dj spesso lo aggiornavano con molte compilation che finivano dirette nel suo stereo durante le sessioni di lavoro, viaggi e vernissage. Quando Haring dipingeva all’aperto c’era sempre musica che suonava e gente che osservava e ballava, come in un happening. I suoi “omini” sia che si trattasse di dipinti, sia che di sculture si muovevano a ritmo di musica e cristallizzavano le mosse di danze tribali, Capoeira, Electric-boogie e Break-dance. le sue opere erano una specie di danza universale che riuniva tutti quelli che avevano bisogno di un riferimento e di un linguaggio nuovo, alla stregua di quello che la black music stava facendo in quel periodo.

L’interesse che Haring mise nella musica lo condusse ben presto a realizzare alcune copertine per album e compilation rap e a creare un immaginario di rimbalzo per questo movimento. La prima copertina risale al 1982, realizzata per una compilation che raccoglieva singoli electro-rap di Fab 5 Freddy, Shanhiem, Futura 2000 etc. rilasciati tra il 1980 e il 1982. Nel 1983 realizzò la cover dell’album Life is something special del progetto garage house Peech Boys; tra il 1983 e l’85 lavorò anche alle copertine di EP e LP di Malcom Mc Laren (che nel mentre si era cimentato nell’hip-hop con il collettivo The World’s Famous Supreme Team). Realizzò anche lavori per la superstar della disco Sylvester nel 1985, e altre per A Diamond Hidden in the Mouth of a Corpse compilation no wave del 1985, dove comparivano brani di Hüsker Dü, Sonic Youth, Cabaret Voltaire, Coil e Diamanda Galas. Anche David Bowie non si fece scappare l’hype dell’artista: nel 1983 fu proprio Haring a realizzare la copertina del singolo del cantante inglese, Without You, tratto dall’album Let’s Dance.

Oltre le copertine il nostro realizzò anche le locandine per il tour del 1986 dei Run DMC, flyer per il Paradise Garage e per alcuni festival jazz. Ma la collaborazione si verificò anche in senso inverso: non solo Haring stampò il suo marchio pop su copertine di dischi, ma si fece influenzare dalla musica stessa e dalle parole di alcuni gruppi hip-hop e rap. Il murale newyorkese Crack is Wack (il crack è terribile) del 1986, realizzato illegalmente senza permessi al fine di sensibilizzare l’America sulla pericolosità di tale droga, porta con sé una frase che era il motto tra molti rapper afroamericani del periodo. Tale esclamazione deriva dal singolo electro hip-hop dei Turning Point, Life is Fresh/Crack is Wack del 1986, e il cerchio si chiude con la copertina di BIPO (disegnata dall’artista nel 1987) che riprende la medesima grafica e titolo del murale.
Ed è sempre nei murali che Haring omaggia la cultura hip-hop: il murale Don’t believe the hype del 1988 a East Houston Street a New York (ora non più visibile), prende il titolo dall’omonimo brano dei Public Enemy uscito nel 1988, fatto che dal Times all’epoca venne commentato come «il primo uso diretto di una canzone pop da parte di un artista».

La figura di Haring aveva raggiunto la massima popolarità mondiale. Era il 1989 e l’artista venne chiamato a Pisa per realizzare il murale che porta il titolo di Tuttomondo. Durante le sessioni di lavoro ascoltava sempre musica come ormai faceva da anni (spesso ascoltava brani dei Public Enemy, come riportano alcuni testimoni), e ogni giorno il pubblico che sostava, fotografava e ballava era sempre più eterogeneo e coinvolto. Scrive Haring nei suoi diari riguardo Pisa: «Ogni giorno sembrava di essere ad un block party», gli studenti d’arte e i B-Boys andavano spesso ad osservarlo mentre dipingeva, e l’artista la sera li portava nell’hangar dell’Associazione Deposito dove suonava musica house nell’isteria collettiva, come raccontano in molti vecchi fan che hanno vissuto il momento. Haring era diventato non solo un’icona giovanile trasversale tra musica e arte, ma si fece anche segno grafico pervasivo: a Pisa ad osservarlo vi erano anche dei punk del centro sociale Macchia Nera che avevano deciso di utilizzare alcuni dei suoi omini danzanti come cornice decorativa delle fanzine.

Qui la playlist con alcuni dei brani citati in questo articolo.

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