Intervista a Marco Sassetti, maestro di basso
In tema di scuole e insegnamento oggi ascolteremo l’esperienza di allievo e insegnante di un giovane musicista, Marco Sassetti. Bassista elettrico, turnista, professionista, insegnante di Basso elettrico, armonia e musica d’insieme, suona nella Tribute band di Renato Zero, i Pianeta Zero, e impartisce lezioni tra Pisa, Castelfranco di sotto, Massa (alla scuola Lizard) e Pontedera. Nel 2008 si diploma all’accademia musicale Lizard e nel 2013 consegue il diploma in Basso elettrico Jazz presso il Conservatorio G.B. Martini di Bologna, con il voto di 110 e lode discutendo la tesi: Victor Wooten A Show of Hand: analisi tecnica e stilistica. Con Marco conosceremo cosa vuol dire insegnare la musica e come si trasmette la passione agli allievi, come il basso sia uno strumento affascinante dal ruolo di protagonista indiscusso in moltissimi stili musicali e come l’umiltà, la modestia e la semplicità siano caratteristiche importanti per l’insegnamento, l’apprendimento e l’esecuzione della musica.
Prima di cominciare vi lascio con una citazione tratta dal blog di Marco che mi ha fatto sorridere, una battuta pronunciata dal padre del bassista Jaco Pastorius quando suonava sulle navi da crociera:
Se la nave affonda, prima le donne e la sezione ritmica!
Una buona dose di Bass Pride direi! Buona lettura!
Raccontami come ti sei avvicinato alla musica… Ci sono stati artisti o circostanze particolari che ti hanno fatto scegliere questo percorso?
Ricordo che avevo circa 13 o 14 anni quando mi avvicinai per la prima volta ad una chitarra. Potrei dire che ero spinto da una passione irrefrenabile per la musica, ma in realtà credo dipendesse più dalla voglia di far colpo sulle ragazze!
Certo la musica mi era sempre piaciuta, ma purtroppo sono cresciuto in una famiglia dove si ascoltava quasi esclusivamente musica italiana, Baglioni, Morandi…Nulla togliendo a questi artisti, che ho imparato ad apprezzare solo con il tempo, ma quando sei un ragazzino degli anni 80 non è che ti senti molto rappresentato dal loro stile.
Fu alle superiori che conobbi il Rock che poteva esprimere in pieno quel sentimento di ribellione che tutti i ragazzi sentivano proprio. Frequentavo dei ragazzi che suonavano, e capitò che il loro bassista lasciasse la band a pochi giorni dalla prima “esibizione”. Con una votazione palesemente non democratica fui scelto come nuovo bassista e per me fu una folgorazione.
Fu una settimana massacrante, durante la quale imparai tutte le parti ad orecchio. Ricordo dolori e vesciche, ma anche tanta soddisfazione. In quello strumento ho trovato me stesso, e da allora continuo a suonare e cerco di migliorare. Dopo i primi approcci da autodidatta ho conosciuto altri musicisti che mi hanno segnato profondamente. Tale era la voglia di imparare che non potevo più farne a meno, ero avido di nuovi stimoli, e per questo ho intrapreso un percorso che mi ha portato alla professione.
In quanto insegnante di basso elettrico, armonia e musica d’insieme… Cosa vuoi passare ai tuoi allievi nei momenti didattici? oltre all’insegnamento della musica, ovviamente…
Quello che spero di riuscire a lasciare ai miei allievi, oltre che le conoscenze per sopravvivere alla dura vita del bassista (posizione molto scomoda all’interno della band e troppo spesso poco considerata) è l’amore per la musica. Ogni stile musicale è ricco di stimoli. Molti allievi si presentano con delle preferenze musicali fin troppo radicate.
Ma in ogni genere musicale c’è sempre qualcosa di meraviglioso. Tanti bassisti snobbano il pop perché troppo “semplice o noioso”, ma sottovalutano l’importanza del nostro ruolo in questo stile. Certo il funk, il soul o la fusion sono più di impatto e il bassista riesce ad emergere meglio, ottenendo una posizione spesso predominante… ma non per questo si devono disprezzare altri generi che sono comunque impegnativi e non così scontati.
Ti ricordi la tua prima lezione in qualità di insegnante? Come ti sei sentito?
La ricordo fin troppo bene. Imbarazzo totale. Credo di aver imparato più io dal mio allievo che lui da me! Con quel povero ragazzo ho imparato a capire che non tutti abbiamo gli stessi tempi di apprendimento. Quello che per me era facile per lui era un problema insormontabile, per questo nulla doveva essere lasciato al caso o dato per scontato.
In fin dei conti l’insegnante ha una grossa responsabilità nei riguardi dell’allievo. I ragazzi si rapportano a noi, cercando una guida che sia in grado di sostenerli anche nei momenti duri.
La musica ti da tanto, ma ti chiede anche tanto. Ore passate a studiare, provare, sbagliare. Ma è stupendo quando vedi che i sacrifici finalmente danno i loro frutti.
Da insegnante per me è una soddisfazione immensa quando vedo un allievo che migliora giorno per giorno. Credo sia la vera ragione che mi spinge a continuare nell’attività didattica.
Ribaltando lo specchio: come ha vissuto il Marco allievo l’apprendimento della musica? Raccontami pure tutte le esperienze più particolari…
Eh ne avrei da raccontare,ma credo sia meglio sorvolare!
Posso dire che sicuramente devo tutto ai miei insegnanti. La mia prima esperienza da allievo fu verso i 18 anni.
Con il gruppo di allora facevamo le prove in una stanza in campagna e lì accanto sentivo ogni giorno un ragazzo suonare la batteria. Brizio, così si chiamava, un giorno mi fece ascoltare una demo del suo gruppo dove suonava un ragazzo di nome Giosuè.
Fino ad allora io avevo “strimpellato” rock e affini, ma questa era tutta un altra musica. Era funk intriso di soul e ritmi latini, e quel suo basso era sensuale e avvolgente. Ne rimasi affascinato tanto da chiedergli di darmi lezioni. Io mi presentai carico di aspettative… Lui invece arrivò serenamente in ritardo, con uno stereo in mano ed un cd dal titolo “Musiche dal mondo”. Mi guardò e con tutta serenità premette play dicendo: “tirati giù tutte le linee di basso di questo disco”.
Fu una lezione traumatizzante, ma incredibilmente produttiva. Sempre Gio mi fece conoscere Jaco Pastorius, ed ormai era fatta! Quando ascolti Jaco per la prima volta resti senza parole, hai bisogno di riascoltarlo altre 2 o 3 volte prima di trovare le parole giuste… Giosuè fu il mio primo insegnante, e da li si sono susseguiti altri maestri.
Ognuno mi ha lasciato qualcosa: Gio la world music, Massimiliano la disco e i Police, Alberto (che non ringrazierò mai abbastanza) il senso del groove e l’amore per la black music. Ancora oggi quando devo suonare qualcosa dall’anima soul ripenso a lui e mi chiedo come giudicherebbe la mia linea di basso…
E i Pianeta Zero? Cosa ti ha spinto a suonare con loro?
Onestamente è stato un caso. Conobbi Enrico Angeloni, il batterista, su internet.
Stava cercando un bassista per questo progetto, ma al momento risiedevo a Bologna ed ero occupato con gli studi al Conservatorio. Ci risentimmo un anno dopo, il progetto era partito ma il bassista aveva mollato dopo la prima data, e loro avevano necessità di qualcuno che preparasse il repertorio velocemente.
Il primo concerto fu Altopascio, una gran bella esperienza. Musicalmente ci trovammo subito. Con Enrico c’è un ottima intesa sul palco, poi c’era Edoardo Scordo, amico da molti anni (che ora è partito per un tour mondiale con i Brit Floyd) e Thomas Bottaini alle chitarre. Due musicisti fantastici, preparatissimi e soprattutto ragazzi molto in gamba.
E Nicola Tontoli alle tastiere, che tra battute e citazioni ed inframmezzi jazzistici (e non) nei brani ci allieta le serate!
Infine Federico Cammarata alla voce. Persona che stimo proprio perché non si atteggia a Renato, non fa una brutta copia dell’originale. Siamo un bel gruppo, un meccanismo che funziona e sul palco trasmette sempre energia…Anche se il pubblico è l’innesco essenziale!
In qualità di maestro pensi che nell’apprendimento della musica ci sia una particolare modalità di relazione con gli allievi?
Non credo esista un metodo unico. Ogni allievo è diverso anche il metodo di insegnamento si deve adeguare alle difficoltà e necessità di chi si ha di fronte.
Da allievo ho seguito lezioni con alcuni tra i più famosi e quotati bassisti sia italiani che non: Paolo Costa, Dario Deidda, Federico Malaman, Lincoln Goines, Victor Wooten, ecc. E da tutti loro ho capito che la modestia è un ingrediente fondamentale per trasmettere l’amore per la musica.
Ad esempio Dario Deidda, che ritengo il miglior bassista italiano, se non addirittura tra i migliori del mondo, è una persona estremamente modesta e disponibile al dialogo, nonostante le indubbie capacità, il talento e l’immensa conoscenza del linguaggio musicale. Sono qualità che quasi tutti i Big hanno, ed è per questo che sono grandi.
L’insegnamento della musica è sempre uno scambio aperto ed equo secondo me… I ragazzi a cui hai insegnato e a cui insegni tutt’ora ti hanno fatto crescere come musicista? Ti hanno fatto conoscere generi e artisti diversi?
Sicuramente si!
Quando spieghi un argomento è interessante vederlo con gli occhi dell’allievo, scopri delle sfaccettature nuove e stimoli sempre diversi.
In più grazie ai giovani aspiranti musicisti mi tengo aggiornato sulle band del momento, soprattutto della scena underground, alle novità e tendenze. Ma anche tecnicamente insegnare diventa un esortazione a migliorarsi giorno per giorno, e questo lo devo solo ai miei allievi. E’ un interscambio di input creativi che rende il mio lavoro continuamente stimolante.
Grazie ancora per l’intervista e in bocca al lupo per tutto!
Virginia Villo Monteverdi
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