Il sorpasso, un mito riproposto all’Arsenale

Maggio inoltrato, coi tormentoni che già iniziano a impazzare alla radio, le preallerte per il caldo e le prime comparsate in spiaggia, sulle note di Guarda come dondolo di Edoardo Vianello torniamo indietro nel tempo alla lontana estate 1961 di Castiglioncello, immortalata nelle riprese di uno dei mostri sacri della Commedia all’italiana. Per la rassegna In strada con le smanie, l’Arsenale di Pisa ripropone Il sorpasso di Dino Risi lunedì 16 e martedì 17, ad accompagnare la rappresentazione de Le smanie della villeggiatura al Teatro Lux, in scena dal 27 maggio. Che cosa è rimasto di quell’estate a cinquantacinque anni di distanza? Rievocata e celebrata a ogni ricorrenza con proiezioni commemorative, esposizioni e raduni automobilistici a ripercorrere le strade de Il sorpasso, la memoria di quella Castiglioncello divenuta set è ancora viva.

sorpasso arsenale

Il sorpasso (1962), scritto dalla coppia Maccari-Scola e diretto da Dino Risi, racconta dell’incontro in un desolato ferragosto romano di due personaggi molto diversi: Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant) e Bruno Cortona (Vittorio Gassman). Un incontro casuale nella città svuotata. Il motivo che avvicina il pallido e riflessivo studente di giurisprudenza Roberto all’aitante fanfarone Bruno è la ricerca di un telefono da parte di quest’ultimo. Per offrire almeno un aperitivo e sdebitarsi dell’aiuto ricevuto, Bruno trascina il ragazzo fuori di casa strappandolo da libri e scrivania. E così l’aperitivo, la «zuppa de pesce», le «tedeschine» e tante altre situazioni diventano un continuo rimandare il ritorno a Roma: «Io bene come in macchina non sto in nessun posto», dichiara Bruno all’amico occasionale. A bordo della mitica Lancia B24S il destino li condurrà fino a Castiglioncello, ambita meta di villeggiatura nell’Italia del boom economico.

Nonostante i toni da commedia e le battute a raffica di un Gassman scoppiettante, c’è il contraltare di un alone grave, di un continuo senso di morte e malinconia ne Il Sorpasso. Nell’arco di due giorni di avventure, il vero viaggio che si compie lungo la via Aurelia ha luogo dentro al personaggio di Roberto. Interessante è la contrapposizione tra la voce interiore del ragazzo e ciò che poi effettivamente dice. In questo modo possiamo percepire il processo di trasformazione del personaggio: inizialmente Roberto è diffidente, se ne vuole andare, aspetta l’occasione giusta ma è troppo timido per coglierla. Bruno è un perditempo, forse uno scroccone, un uomo che vive senza regole, ma Roberto ne è progressivamente rapito. Il Sorpasso è la storia di una seduzione, tra i titoli alternativi valutati in fase di lavorazione, oltre a Il giretto e Il gomito sul finestrino, vi era infatti quello de Il diavolo. Al diavolo Roberto dà sempre più confidenza, cambia registro, dal lei passa al tu, da un certo punto in poi abbandona il pensiero della fuga e inizia a vedere Bruno sotto un altro occhio, lo vede «vincitore nato». Un arrivista, un individualista, acuto osservatore e interprete della realtà. Un uomo che sa districarsi tra le difficoltà e gli imbarazzi della vita senza troppo pensare allo ieri e al domani. «A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha. Giorno per giorno. Fino a quando schiatta…». Il timido Roberto si apre, si confida. Parla delle proprie paure, più facile tra estranei. Al secondo giorno insieme a Bruno il ragazzo malinconico ed esistenzialista inizia ad essere indeciso sul proprio futuro, a mettere in discussione il modello di vita del cugino Alfredo, avvocato con Fiat 1500 fiammante e brava moglie di corredo. Il cambiamento in Roberto prende un’impennata decisiva fino alla sequenza finale in cui il ragazzo, lasciatosi definitivamente andare allo stile di Bruno, dichiara di aver trascorso i due giorni più belli della sua vita. Attorno al finale del film ruota una vicenda che ha raggiunto i toni della leggenda. Il produttore Mario Cecchi Gori voleva infatti imporre un finale alternativo, positivo. Il regista era invece convinto del lavoro suo e degli sceneggiatori e non era intenzionato a cedere. Così, per affidarsi “ulteriormente” al destino, altro protagonista della storia, regista e produttore scommisero sulle condizioni meteo del giorno delle riprese del finale. Se quel giorno il tempo non fosse stato bello, forse, non esisterebbe il finale che tutti noi conosciamo e staremo quindi parlando di un altro film.

In un periodo d’oro indicato come rinascimento cinematografico italiano, in cui il nostro cinema è stato in grado di produrre capolavori come La dolce vita (1960) e Divorzio all’italiana (1961), Il Sorpasso è emblematico di una valenza internazionale del cinema italiano. Con un cast che oltre alla stella di Vittorio Gassman vedeva attori e attrici del calibro di Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Annette Strøyberg, il film di Dino Risi riscosse un notevole successo in molti paesi tra cui gli Stati Uniti dove uscì col titolo di The Easy Life. Il regista Dennis Hopper ha dichiarato di essersi ispirato al film di Risi nella realizzazione del suo Easy Rider (1969), che già dal titolo cerca di attingere dall’immaginario e dal successo che Il sorpasso ha riscosso in America. Insieme a film come Accadde una notte (1934) e Furore (1940), Il sorpasso si colloca tra i mostri sacri precursori del genere road movie. Rodolfo Sonego, a proposito del film di Dino Risi: «[…] è rimasto in tutte le cineteche del mondo. Negli Stati Uniti tutti i registi hanno quel film in cineteca. Isolato da tutti gli altri, studiatissimo».

Forse non saranno mostri sacri, ma alcuni tra i film di maggior rilievo della recente edizione dei David di Donatello hanno come filo conduttore quello dell’internazionalità. Lo chiamavano Jeeg Robot è stato distribuito in sette paesi oltre al nostro, per Perfetti sconosciuti arrivano richieste di remake da tutto il mondo e Il racconto dei racconti è di per sé un film internazionale. Tra i titoli di esportazione della nostra cinematografia recente possiamo annoverare Gomorra e Reality di Matteo Garrone (rispettivamente 2008 e 2012), gli ultimi tre lavori di Paolo Sorrentino This must be the place (2011), La grande bellezza (2013) e Youth – La giovinezza (2015), a cavallo dei quali si collocano Il capitale umano di Paolo Virzì e La migliore offerta di Giuseppe Tornatore (entrambi 2013). E’ sufficiente un elenco del tutto sommario per osservare che il cinema italiano non si identifica esclusivamente in commedie da vacanze natalizie ma è ancora in grado di esportare opere notevoli attirando talvolta attori di rilievo per produzioni internazionali.

Leo D’Arrigo

 

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