Focus: Luca Angeli e le sue poesie

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Il faro

 È un istante che danza su pupilla,

l’illuminarsi complice e sincero

d’un occhio che s’accende e che sfavilla.

Per quell’istante solo, il mondo è vero:

 per quell’istante solo, il mondo è vivo.

Quanto intangibile, nella sua essenza,

è quel secondo d’ogni peso privo!

È l’acqua che disseta la coscienza, 

è il soffio che silenzia tutti i pianti

e che addolcisce ogni boccone amaro;

mano che culla nei più lieti istanti, 

mano che piega a sé ogni resistenza:

La luce nei tuoi occhi fa da faro

per quella nave che è la mia esistenza.

Luca Angeli nasce e vive a Massa, ha vent’anni compiuti e studia Storia all’università di Pisa. Ha iniziato a scrivere “poesie”, ma si sente sempre un po’ presuntuoso nel chiamarle così.

Nel 2012, e nel 2013 ha autopubblicato la sua  prima raccolta poetica, “La Gazza Ladra”.

Ha vinto la prima edizione del Festival di Poesia città di Massa 2014 (Sezione giovani) e si è classificato terzo alla terza edizione del concorso romano “Magnificat” 2014 (Sezione giovani).

Suoi testi sparsi sono stati pubblicati in antologie de “La Lettera Scarlatta editore” ed “Aletti editore”, oltre al blog letterario Poetarum Silva.

In progetto la pubblicazione di una raccolta di inediti e il desiderio di crescere, rinnovarsi e approdare a nuovi orizzonti tecnici ed espressivi.

10540409_10202537247215453_3821481658489069575_nLuca Angeli, nasce e vive a Massa, studi Storia e scrive delle gran belle poesie.

Quando hai iniziato a coltivare questo interesse per la poesia?

Non da moltissimo tempo, credo dai sedici anni circa. Sinceramente non riesco a ricordare nemmeno in che modo: come tutte le disgrazie, è semplicemente capitato.

Gli autori che ti hanno ispirato e le letture che ti hanno appassionato?

 Il mio gusto viaggia su un doppio binario, tra il malinconico e l’ ironico: per cui ritengo la mia “Santa Trinità” composta da Pascoli da una parte e Trilussa dall’altra, con Gozzano al centro nel calzante ruolo del bambin Gesù. Senza dubbio, però, la rosa di autori e letture da citare sarebbe vastissima… ho un debole per crepuscolari e scapigliati, ma come dichiarazione di intenti “L’Art Poetique” di Verlaine, con la sua esaltazione del vago e della musicalità, rappresenta perfettamente il mio ideale.

 La poesia, oggi, non è certo un’ interesse diffuso, tanto più tra i giovani o i giovanissimi. Tu rientri a pieno titolo tra la platea dei giovani ma come un’ eccezione che conferma la regola, infatti scrivi poesie.

Cosa significa per te poetare?

 Per me la Poesia è né più né meno che una forma di condivisione dell’astratto. Esattamente come – perdonerai l’esempio prosaico – si offrirebbe metà biscotto: “Ecco, tieni, un pezzettino di sentimento”, oppure “assaggia un po’ di questo pensiero che ho trovato ieri!” . Certamente questa condivisione ha i propri canoni e le proprie tecniche, la musicalità ed il ritmo di un testo sono a mio parere fondamentali per la trasmissione di suggestioni, ma in definitiva il cuore della faccenda risiede nello scambio interiore tra due persone, il leggente e lo scrivente. Per tornare a Verlaine, “tutto il resto è letteratura”.

 Quando credi che la poesia sia ancora capace di parlare un linguaggio universale, accessibile a tutti?

 Come diceva una persona a caso in un periodo storico altrettanto casuale, “viviamo in tempi straordinari”. Quello di interessante che sta capitando alla poesia – parallelamente al ribadirsi della presunta morte degli strumenti tradizionali, ovvero metro e rima – è il raggiungimento di una sintesi tra linguaggio letterario e linguaggio parlato che è sempre mancata nella storia della letteratura dell’Italia, i cui rappresentanti fino a Carducci si muovevano in un contesto di elitarietà e frammentazione culturale che adesso stanno scomparendo, o che quantomeno non fanno più parte dell’orizzonte letterario nazionale. In conclusione, credo che mai come adesso la poesia sia stata accessibile ai propri contemporanei… il fatto che a questo si accompagni un disinteresse abbastanza diffuso è un paradosso triste ed interessante al tempo stesso.

Se mi è permessa una digressione, a mio giudizio il “tana libera tutti – tutti artisti”  del secolo passato ha avuto sulla letteratura -e la poesia nello specifico – effetti particolarmente devastanti. Il genere che oggi resiste meglio è quello della lirica, e trattando temi (o sentimenti) particolarmente intimi e personali, i poeti – o presunti tali – hanno un po’ tutti la presunzione che la propria sensibilità in questi campi sia la più sviluppata o semplicemente la migliore, e che quella altrui non valga la pena di essere indagata. Si aggiunga poi la fortissima mitizzazione della figura degli scrittori, a cui collaborano scuola e media, dipingendoli spesso come semidei che producono spontaneamente capolavori per dono innato ed infuso, piuttosto che come artigiani. A questo proposito, non può non venire in mente il modo in cui viene scritto “L’Infinito” di Leopardi nell’ultimo film che lo riguarda (Il Giovane favoloso di Mario Martone NdR): praticamente un’ eiaculazione, contro invece alle “reali” bozze dell’autore che ci parlano di ore passate a ripensare e a correggere. La facilità, invece, con cui oggi si diventa scrittori, dà adito spesso a facili vanità, così accade che si abbia la presunzione di essere letti, senza però avere l’umiltà di leggere a propria volta e, quindi, senza venire letti da qualcun altro. E’ un circolo vizioso che oserei definire masturbatorio da parte degli autori, e mancando così di confronti o selezioni non permette neppure miglioramenti stilistici, portando ad un degradarsi della qualità e dunque dell’interesse ricevuto dalla poesia. Peccato perché, per tornare alla domanda, a livello di apertura comunicativa le buone vecchie muse si troverebbero, come dicevo, ai massimi storici. Ovviamente la mia è anche un’autocritica.

Passiamo ai tuoi lavori. Nel 2013 esce la tua prima raccolta poetica: ” La gazza ladra”.

Da dove nasce l’idea di questa raccolta? Perché questo titolo?

 Ho individuato nella gazza un animale in grado di rappresentare molto più della nota caratteristica di “ladro” materiale che solitamente gli viene associata. In questo caso, a questa classica visione ho voluto accostare anche quella di ladra spirituale: nella mitologia nordica la gazza era l’animale messaggero della dea della morte, Hel. Dunque la mia gazza “prende” i propri oggetti (in questo caso le fonti di ispirazione per i contenuti del libro) da due dimensioni, quella materiale (molti scritti sono infatti dedicati ad oggetti o situazioni concrete) e quella spirituale (per i testi più vicini al lirismo), che sono poi le due dimensioni del vissuto, interpretazione bivalente che credo in qualche modo il testo di apertura dia ad intendere. Il fatto che poi nell’immagine di copertina la gazza abbia il suo covo sulla testa di una persona (che ammetto candidamente essere io stesso), per l’occasione trasformata in un nido, è sembrata un modo simpatico per ribadire la metafora sia a me che all’illustratrice.

 I testi della raccolta sono organizzati come un ciclo vitale. Ogni sezione corrisponde a una fase della vita.

Perché questa scelta? In quale fase senti di rispecchiarti di più in questo momento?

 Quella di suddividere i testi in quel modo è stata un’ idea dell’ultimo momento, mentre cercavo di organizzarli tematicamente, o almeno secondo dei criteri di suggestione. Mi sono accorto dopo che queste suggestioni erano riconducibili alle diverse fasi vitali, come anche alle diverse fasi del sentimento produttivo/creativo di una persona, giusto per tornare al concetto di sopra in merito alla gazza come doppia ispirazione.Ora come ora mi sento nella fase dell’Inquietudine. Guardando la situazione traballante che abbiamo intorno c’è poco da giocare o da lasciarsi andare al sonno…

 Nei tuoi versi trapela la ricerca di un equilibrio tra una precisa forma stilistica e la volontà di usare un linguaggio capace di attingere a piene mani al quotidiano.

La forma come presupposto per la sperimentazione linguistica?

 Assolutamente sì. Come dicevo sopra, oggi la poesia ha smesso di parlare “poetese” per rivolgersi a tutti ed in ogni situazione. Ma questo non deve significare una fusione con la prosa: il bello stile (di cui non mi faccio assolutamente un rappresentante compiuto, per carità) è ancora possibile ed anzi da perseguire. Anzi, credo proprio che una bella forma con un linguaggio il più possibile “immediato” – senza ovviamente sminuire significati e messaggi più profondi – possa portare una nuova freschezza alla poesia. Anche perché, nella società degli spot da trenta secondi la cripticità è diventata un lusso che non ci si può più permetteree (o che non si ha più voglia di accettare). L’effetto immediato, ed in questo caso patetico, nella comunicazione è diventato fondamentale.

 Ad una lettura attenta, nelle tue poesie, di tanto in tanto, mi è sembrato di intravede degli espliciti rifermenti letterari ( molte le immagini tratte dal mondo classico, penso poi al fortemente di Alfieri, all’ arboreo di dannunziana memoria o ancora allo schianto di Ungaretti e ancora prima di Dante).

Suggestione o scelta ponderata?

 Credo che scrivere sia un po’ come fare un mazzo di fiori: fai una passeggiata nel prato della letteratura e scegli quelli che ti attraggono maggiormente per aspetto (forma) o profumo (suggestioni). Quel che viene fuori è un bagaglio di influenze e di gusti che si combinano con risultati estremamente personali e variegati… Per tornare alla domanda, dal punto di vista prettamente linguistico accadono un po’ entrambe le cose. Esistono quei termini più particolari che rimangono in mente pronti a tuffarsi in un testo alla prima occasione buona, ed esistono quelli più “sottili” che ritornano inconsciamente, e che almeno nel mio caso ritengo essere la maggioranza. Certamente, poi, ritengo che in qualsiasi campo sia fondamentale rielaborare quanto fatto dai propri predecessori se si vuole produrre qualche cosa di veramente consapevole e non un gettito casuale e decontestualizzato.

 La poesia della raccolta alla quale ti senti più legato  (il Nido mi è piaciuta in modo particolare)?

 Ricordo sempre con particolare piacere “Fiore di Plastica”. Un po’ perché ho in mente il preciso istante in cui la ho concepita (e cioè gettando casualmente lo sguardo su una decorazione della sala da bagno), ma anche perché mi è valsa un terzo posto al concorso letterario Magnificat di Roma. E’ un po’ troppo moraleggiante, forse, ma in fondo quello era il tono di tutta la Gazza in generale.

 Veniamo al futuro.Quali sono i prossimi progetti di Luca Angeli e quali i traguardi da raggiungere?

Ormai da un po’ di tempo mi sono appassionato allo studio della metrica, ed è seguendola che mi sono messo al lavoro su un’altra raccolta. Certo, ancora debbo imparare molto prima di raggiungere il livello stilistico che desidero. Il mio traguardo da raggiungere poi sarebbe trovare un editore vero: qualcuno che apprezzi quello che faccio e che voglia pubblicarlo, senza chiedermi di fare una prima tiratura di venti volumi con l’impegno ad acquistarne diciannove. Vista la crisi del settore, a volte, mi sento fin troppo ambizioso… Verso dicembre, inoltre, avrei intenzione di mettere online gratuitamente una versione riveduta e corretta della Gazza ladra che, in quanto lavoro giovanile, ai miei occhi è immediatamente invecchiata male.

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Biancamaria Majorana

 

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