Giangiacomo Micheletti, quel talento da scoprire

Certo quella terra mi è divenuta favolosa e
prodigiosa. Pure le terre scaldano e conservano 
le antiche ed elementari passioni, che, a volte, in simboli naturali alludono, come febbri 
e terremoti, e colori ed acque e boschi.

(Giangiacomo Micheletti)
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G. Micheletti in una foto d’epoca

Alcuni autori non raggiungono da vivi la fortuna che meritano. Altri non ci riescono neppure da morti: è forse questo il caso Giangiacomo Micheletti, giovane scrittore fiorentino, ucciso dalla Tisi nel 1945 a soli 23 anni.

Il suo nome è noto nell’ambiente letterario fiorentino, e in particolare a Fucecchio, dove passava, ospitato dalla nonna materna, lunghe giornate di scrittura, immerso negli scenari del palude, delle Cerbaie e della valle dell’Arno; paesaggi destinati a influenzare le poche, preziose opere di uno scrittore che, per la sua potenza espressiva e originalità stilistica, dovrebbe come minimo essere letto nelle scuole.

Perchè Micheletti, oltre ad averci lasciato il ricordo vivido di una Toscana ancora fortemente legata alla terra, impostò una sua poetica incentrata su tale legame, e sulle passioni da esso generate e mosse negli uomini. Come se non bastasse, sono sue alcune fra le più splendide e feroci pagine mai scritte sulle seconda guerra mondiale. E se l’affermazione suona esagerata, si provi a leggere un racconto come Gente Morta e a restare impassibili di fronte a una descrizione del sangue che forse non ha eguali, in grado di restituire una sensazione quasi fisica, nella sua visionarietà:

Il sangue è un liquido speciale, unico. Per una 
caratteristica consistenza che subito colpisce
e fa pensare ad una veloce energia, ad una folta 
potenza. Si pensa, per quella speciale, densa 
liquidità, al sentimento che si fa azione,
all'odio, all'amore, al canto, proprio come un
premere ed addensarsi, infoltirsi del sangue.
E per suo movimento, per quel tenace fluire,
veramente alla vita.
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Il giornalista e scrittore Riccardo Cardellicchio

Il giornalista Riccardo Cardellicchio aveva scovato il nome di Micheletti fra i documenti dell’associazione combattenti. Un grande scrittore, morto prematuramente, il cui nome tentò di diffondere negli anni a venire, insieme al gruppo culturale Il Poggio.

A Fucecchio era rimasta una traccia affievolita della presenza di Micheletti e di un gruppo di suoi amici, finché nel 1967, dopo ricerche fatte presso la sua famiglia, Il Poggio pubblicò il racconto Gente Morta e fu proposto all’editore Enrico Vallecchi il romanzo Il vento della cavalle, che uscì nel 1968.

Grazie a questa pubblicazione, Giangiacomo è finito anche su giornali come Il Tempo e Il Corriere della Sera, quando critici, come Giuseppe Prezzolini, Carlo Bo, Enrico Falqui e Giulio Cattaneo, si accorgono di lui.

Sembrava la grande occasione per Micheletti. Invece, ancora oggi, i suoi scritti rimangono un «oggetto di culto per pochi» come afferma lo stesso Cardellicchio in una nota introduttiva a La Grande Estate, raccolta complessiva degli scritti di Micheletti da lui curata, pubblicata dal Comune di Fucecchio e dalle Edizioni dell’Erba.

Chi era Micheletti e che cosa scriveva? Nato nel 1922 a Firenze in una famiglia borghese, era un ragazzo innamorato della campagna e della letteratura.

G. Micheletti in un disegno di Roberto Lemmi

G. Micheletti in un disegno di Roberto Lemmi

Quando poteva si rifugiava a Fucecchio, ma il destino lo condusse anche in Libia, dove si era trasferita la famiglia: Giangiacomo la raggiunse in piroscafo, da solo, a 12 anni. Era il 1934. In seguito alla guerra d’Etiopia il padre fu trasferito e Giangiacomo tornò in Italia, dove affrontò un periodo difficile, da solitario.

A scuola venne bocciato, si ammalò di pleurite, ma non abbandonò mai la scrittura. Tra il 1942 e i primi mesi del 1945 completò un’antologia di racconti (Le immaginate memorie) un romanzo (Il vento delle cavalle) e un racconto lungo (Gente Morta), confluiti ne La Grande Estate insieme a testimonianze critiche, due saggi di Micheletti e alcune sue lettere.Micheletti e amici

Nelle pagine di questo giovanissimo talento si respira un senso di assoluto quasi leopardiano. Gente Morta racconta il passaggio della guerra, i devastanti effetti dei bombardamenti in una luce pura, sospesa, colma di una tensione mai compromessa dalle drammatiche descrizioni, che anzi l’arricchiscono, e la potenziano.

Il Vento delle cavalle è la storia di una donna contesa fra uomini in un paese di febbri malariche, abitato da un popolo d’agricoltori il cui rapporto con la terra travalica i confini della necessità materiale. Come spiega lo stesso Micheletti, quelle che cercava erano «immediate e urgenti influenze della terra che muovono gli uomini».

L’idea gli fu suggerita da Edgar Allan Poe, secondo il quale la passione richiede una familiarità. Partendo da questa intuizione, Micheletti diede alla luce un romanzo mosso dalla poesia, più che dall’introspezione, dove la violenza assume una risonanza mitica, e gli elementi naturali prendono parte alle vicissitudini dei personaggi, fino a costituire «una quinta stagione». Sono quadri per certi versi allucinanti, allusivi, ipnotici, quelli di Micheletti: come se De Chirico avesse deciso di tradurre in prosa una delle sue opere.

Molto altro ci sarebbe da dire su questo talento misconosciuto: la sua costruzione della frase; la poetica della memoria; il desiderio di provocare imbarazzo e disagio nel lettore. Ma la cosa più importante da ribadire, qua, è che Giangiacomo Micheletti merita di essere letto da più persone. Che il suo talento era già maturo, nonostante l’età; e che la sua opera ha ancora il potere di ricondurci a radici compresse sotto al cemento e alla tecnologia: radici di terra e passione.

FilippoFilippo Bernardeschi

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