Drive e Nightcrawler, due modi di fare cinema sulla scia di Michael Mann

Ebbene sì. Il famigerato tam-tam del web è riuscito a sottostimare anche un regista come Michael Mann. Se questa sottovalutazione è avvenuta in tono minore per Nemico pubblico, soprattutto per la presenza nel cast di uno degli attori più amati dallo spettatore medio, ovvero Johnny Depp, la parola “fine” per uno dei registi più talentuosi degli ultimi 35 anni è arrivata con Blackhat. Il cyber-spy-thriller interpretato da Chris Hemsworth, oltre ad aver fatto flop al botteghino, è stato maltrattato in lungo e in largo ed è probabile che questo abbia messo in cattiva luce la fama del regista tanto da costringerlo ad abbandonare l’annunciato progetto sulla vita di Enzo Ferrari.

Fortunatamente nel mondo cinematografico odierno, sempre più orientato a un intrattenimento ludico che a uno filmico, ci sono alcuni registi che hanno saputo reinterpretare la lezione di Mann in modo personale.
Tra il 2011 ed il 2014 sono usciti due film che in modi differenti sintetizzano la lezione di Michael Mann per raccontare storie nere del Nuovo Continente. Una lezione che può andare nel verso del puro intrattenimento deluxe o sfociare in un’amara riflessione sul medium televisivo e su tutto quello che gravita attorno ai nuovi linguaggi di comunicazione e di informazione. I due registi sono Nicolas Winding Refn che nel 2011 ha realizzato Drive e Dan Gilroy che nel 2014 ha contribuito alla causa con il suo Lo sciacallo – Nightcrawler.

Drive

Drive
«Stavamo (il regista e l’attore Ryan Gosling, nda) guidando lungo l’autostrada per raggiungere Santa Monica dove avevo l’hotel, nessuno di noi parlava e Ryan improvvisamente ha acceso la radio su una stazione che trasmetteva soft rock. In quel momento stava andando Can’t Fight This Feeling dei Reo Speedwagon. Adoro quella canzone, amo le ballate degli anni ’80. Beh, mi sono messo a canticchiarla e subito dopo ho iniziato a piangere. Siamo a bordo di una macchina, Ryan guida e io canto Can’t Fight This Feeling piangendo. Allora mi sono voltato verso Ryan e con le lacrime agli occhi gli ho detto che finalmente sapevo di cosa parlava Drive» (Gomarasca M., “Più veloci della luce”, Nocturno n. 109 (2011), pagina 47).

Quando ti trovi di fronte ad una frase di tale portata emotiva capisci immediatamente l’atmosfera in cui sarà inserita la pellicola. Drive è una eternalizzazione degli anni ’80 senza l’impellenza di sfruttare la faciloneria del revival-movie. Nicolas Winding Refn costruisce una storia fatta di automobili, furti, unità abitative a Echo Park e scampoli di amore che si potrebbe definire favolistico, una storia su misura per far rivivere quelle sensazioni di straniamento notturno tipico dei film di Michael Mann, Thief e Collateral in primis.

Drive ci mostra un Ryan Gosling, dotato di giubbotto argentato, portatore sano di una malinconia congenita che raramente vediamo nel cinema più recente. Drive, e quasi tutto il cinema di Refn, si muove tra le righe e riesce a mescolare le carte in un modo originale. Una nota di merito va anche alle musiche di Cliff Martinez (prime mover della scena losangelina) in qualche modo anticipatrici dell’attuale scena synthwave. Anche in questo caso Refn è affine a Mann: se quest’ultimo, soprattutto come executive producer di Miami Vice negli anni ’80 rivoluzionò il concetto di musica per telefilm, Refn ha rimesso l’elettronica da film su dei “binari” che erano stati dismessi da diversi anni.

Lo sciacallo – Nightcrawler

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Arrivare a girare il primo a 55 anni è una cosa rara. Arrivare a girare il primo film a 55 anni e realizzare un piccolo capolavoro è una cosa ancora più rara. Dan Gilroy bazzicava il mondo di Hollywood dai primi anni ’90 come sceneggiatore ma l’occasione di girare il suo primo lungometraggio gli capita nel 2014 quando insieme al fondamentale apporto di Jake Gyllenhaal realizza Lo sciacallo – Nightcrawler.

Il film di Gilroy, anch’esso ambientato a Los Angeles, scava a fondo dentro tutti i meccanismi perversi che regolano il mondo delle notizie di cronaca più scandalistiche e più cruente. L’assunto del film non merita troppi approfondimenti: un paria di 30 anni che vive di furti e di violenza di strada capisce che un meccanismo per fare soldi – dopo aver visto un incidente su una highway di L.A. – è quello che diventare un videoreporter freelance di notizie di cronaca nera. Per fare ciò è disposto a tutto, ma quello che Gilroy vuole far emergere dal suo film è anche la mostruosità dei network, anch’essi disposti a tutto pur di alzare di pochi punti la percentuale dello share.

Quello che merita di essere approfondito è invece il modo in cui Gilroy ha deciso di riprendere Los Angeles ed i suoi “mostri”: grazie a queste metodologie di ripresa ritorna ad aleggiare il fantasma di Michael Mann. La fotografia di Robert Elswit (da sempre collaboratore di Paul Thomas Anderson, tra i tanti) è perfetta per raccontare una Los Angeles diversa, immersa in luci fredde e poco consolatorie. Le luci utilizzate per scolpire una città alla deriva sono le stesse che riescono a scavare il volto di un Jake Gyllenhaal in stato di grazia, pervaso da una follia capitalistico-mediatica in grado di rappresentare tutte le brutture nel nostro tempo; vale lo stesso per il volto deformato dal botox della protagonista femminile Renè Russo.

Se Nicolas Winding Refn è atteso al varco con il suo horror patinato The Neon Demon, Dan Gilroy deve ancora annunciare quale sarà il suo prossimo lavoro. E Michael Mann? Il maestro continuerà a fare scuola anche se non girerà più alcuna sequenza.

Tomas Ticciati

Tomas Ticciati
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