Gianandrea Noseda, Alfredo Casella: Sinfonia n. 2 e Scarlattiana

Come si è già avuto modo di affermare più volte Gianandrea Noseda è certamente una delle voci più autorevoli di quello che ci piace chiamare “Rinascimento caselliano”, vale a dire la riscoperta del Novecento musicale italiano (scegliamo il nome di Alfredo Casella semplicemente come alfiere di una più ampia compagine che va da Sgambati a Petrassi) che sta gradatamente avvenendo nell’ultimo decennio ad opera di prestigiosi nomi della musica, sia italiani sia internazionali.
L’attività della straordinaria figura di Noseda l’abbiamo già raccontata ai nostri lettori, quando ci siamo occupati del cofanetto dell’integrale delle Sinfonie di Casella, stavolta invece si vedranno più nel dettaglio due dei massimi capolavori orchestrali del compositore torinese: la Sinfonia n. 2 in do minore op. 12 e la Scarlattiana op. 44, ancora una volta in un’incisione pubblicata da Chandos Records, un’etichetta discografica britannica indipendente ma che ha già suscitato un ampio interesse.

Gianandrea Noseda

La Seconda Sinfonia, contenuta anche nel summenzionato cofanetto, è indiscutibilmente il capolavoro sinfonico di Alfredo Casella: composta tra il 1908 e il 1910, con il suo “attacco” evocativo e diafano segnala l’ingresso dell’Italia nella complessa questione della Sinfonia nel XX secolo nonché la sua proclamazione di indipendenza (pur avendone una perfetta conoscenza) dal coevo sinfonismo tedesco.
Eseguita a soli sei giorni di distanza dalla prmière della titanica Sinfonia n. 2 in do minore di Gustav Mahler, era inevitabile un raffronto tra le due composizioni; esistono infatti grandi similitudini nell’organico impiegato: uso dell’organo, ad esempio, e di una nutrita batteria in cui accanto ai canonici timpani, grancassa, piatti e triangolo compaiono anche campane, tam tam, tamburo militare, glokenspiel e frusta (in Mahler) e xilofono e tamburino (in Casella). Tuttavia Casella si muove in una direzione molto diversa da quella di Mahler: se quest’ultimo ricerca un gigantismo orchestrale, lo fa «unicamente» per «un desiderio (piuttosto puerile) di potenza e di intensità fonica»; Casella, invece, impiega un’orchestra che potremmo definire per lo meno analoga ma con l’intelligenza del voler sfruttare una tale quantità di differenti strumenti «in obbedienza della purezza dei timbri e degli incessanti contrasti, principi che erano originali dell’orchestra quando essa prese le mosse dalla musica da camera». Questi due estratti provengono dalla monografia Stravinski scritta dallo stesso Casella e si riferiscono a compositori come Wagner e Strauss il primo e a Stravinsky il secondo, tuttavia si adattano perfettamente anche al differente impiego dell’organico orchestrale professato da Gustav Mahler e da Alfredo Casella.

La Sinfonia n. 2 di Casella quindi non va a seguire un percorso già tracciato, ma cerca di trovare il proprio posto nell’universo sinfonico, pur contenendo diversi riferimenti tangibili alla tradizione ottocentesca: ad esempio, nel secondo movimento si incontra un corale di ottoni che ammicca a un simile episodio del terzo movimento della Sinfonia n. 4 di Johannes Brahms, così come l’architettura generale del movimento – con la sua forma bipartita caratterizzata da un primo episodio più truce e violento cui ne segue uno in maggiore e cantabile – ricorda molto da vicino il celeberrimo Scherzo della Nona Sinfonia di Beethoven.

Alfredo Casella

Si potrebbe scrivere davvero moltissimo su questa partitura, che ha tanto da insegnare anche ai giorni nostri in fatto di equilibrio orchestrale e di impiego di materiale tematico ben definito, tuttavia uno degli elementi che si notano fin dal primo ascolto è che tutti i movimenti (ad eccezione del quinto, il conclusivo Epilogo di gusto molto francese e probabilmente aggiunto da Casella in un secondo tempo rispetto agli altri quattro) iniziano con una precisa scansione ritmica: la Sinfonia n. 2 di Alfredo Casella è la l’apoteosi del ritmo, e rappresenta il suo accurato studio come valore costruttivo e alternativa allo sviluppo tematico – un impiego innovativo del ritmo che verrà ripreso, sviluppato e potenziato all’infinito da Igor Stravinsky nel Petrushka prima e nella Sagra della primavera poi – e che Noseda rende al massimo con la sua direzione sanguigna e travolgente. In fatto di interpretazione si può affermare con la massima decisione che Casella ha trovato in Noseda il suo perfetto interprete. Tuttavia assieme a questi ritmi ossessivi, che sono il cuore pulsante della Seconda, il compositore inserisce in partitura quello che è uno dei suoi elementi identitari: il canto. Ormai sembra quasi un luogo comune, ma il tratto distintivo della musica di scuola italiana (includendo quindi anche Mozart) è l’immensa cantabilità, tratto che non si riesce a rintracciare in modo tanto evidente nelle altre scuole nazionali, soprattutto in quella tedesca. Ciò non significa che sia un fattore positivo o negativo, semplicemente è un dato di fatto: la scuola italiana ha fatto la sua scelta, quella tedesca la sua; sono due cose differenti. Ebbene, il gran pregio di questa Sinfonia è il fatto che Casella è riuscito a trovare un mirabile equilibrio tra l’imponente sinfonismo e la cantabilità tutta italiana, che si ritrova anche nei movimenti più “marziali”, come il folgorante Scherzo – in cui l’elemento della terzina, che rimanda vagamente a un brano tarantellato, non va affatto confuso con un qualche richiamo al meridione italiano – o il quarto movimento che fin dalle prime battute sembra la caricatura di una marcia militare, grottesca e truce a un tempo.

Martin Roscoe

Molto più vicina allo spirito italiano è sicuramente la meravigliosa Scarlattiana op. 44, definita dallo stesso Alfredo Casella “Divertimento su musiche di Domenico Scarlatti per pianoforte e piccola orchestra”. Già il contesto strumentale è molto diverso da quello della titanica Seconda Sinfonia, se ci si aggiunge il fatto che in questa gustosa composizione è coinvolta anche la voce di uno dei maggiori compositori della Scuola Napoletana ben si capisce la ragione del suo tono scherzoso e solare. Le prime battute della Sinfonia (“Lento, grave”), dove si combinano gli archi pizzicati con il sommesso canto di corni e fagotti, evoca quasi tangibilmente l’atmosfera assolata e sonnacchiosa della città partenopea, per poi sfociare nello spensierato “Allegro molto vivace”, ricco di calore, colore. Confermando quanto già detto prima, sicuramente si tratta di una composizione meno “impegnata” (e meno impegnativa!) della Sinfonia n. 2, ma non per questo l’orchestrazione è meno raffinata o meno ponderata, anzi: l’orchestra della Scarlattiana è minuta e finemente cesellata come la celebre “Saliera” realizzata da Benvenuto Cellini per Francesco I, basti pensare alla preziosità di quel passaggio nel Capriccio in cui il trombone si lancia in un solo «di carattere parodistico a stile di “circo”».

Però c’è dell’altro, oltre all’orchestra, nella Scarlattiana: c’è il pianoforte. È uno dei pochi esempi di composizioni di Alfredo Casella in cui si ha il pianoforte solista in un ambito orchestrale, gli altri sono la Partita op. 42, il Triplo concerto op. 56 e il Concerto per pianoforte, archi, timpani e batteria op. 69.
In questa particolare incisione, la parte pianistica è eseguita dal formidabile musicista britannico Martin Roscoe, che esegue con disarmante naturalezza la camaleontica partitura, emergendo ora come solista per poi arretrare ed eseguire un disegno di semplice accompagnamento al tessuto orchestrale. Straordinaria la sua interpretazione del delicatissimo Minuetto, in cui ha saputo trarre dal suo strumento una sonorità cristallina e limpida, in cui ogni nota è perfettamente sgranata e nitida, come in una cascata di perle.
La stessa nitidezza si avverte distintamente nel successivo Capriccio, il movimento più straordinario dell’intera composizione, in cui Casella impiega sapientemente profumi spagnoleggianti e da cui Noseda riesce a estrarre tutto il carattere partenopeo.

lfmusica@yahoo.com

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