“Le bambine non fanno pipì in piedi” alla Feltrinelli di Pisa

Il primo romanzo di Domiziana Tommasini, edito da Ets, sarà presentato venerdì 6 maggio alle 18

 

O sei maschio o sei femmina, altrimenti non sei.

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E il non essere spaventa. La mancanza di definizione di ciò che non comprendiamo ci fa preferire i mali che sopportiamo ad altri che non conosciamo, come direbbe Amleto.

Questi e altri bivi esistenziali affronta “Le bambine non fanno pipì in piedi“, il primo romanzo di Domiziana Tommasini che verrà presentato alle 18 di venerdì 6 maggio 2016 alla libreria Feltrinelli di Pisa, con l’intervento del direttore della collana Incipit, Pier Antonio Pardi.

Il rifiuto dell’ignoto è l’azione di difesa primordiale dell’uomo e ci impone di seguire la via più breve; maschio o femmina, essere o non essere, è proprio questo il problema.

Invece, ero il primo a detestare le definizioni; semplicemente, negli anni avevo dovuto battere le biblioteche della città in cerca della chiave per riuscire a decifrare la mia esistenza, sebbene con risultati non troppo incoraggianti. Dopo che decine di volumi erano passati tra le mie mani, infatti, possedevo numerose definizioni tese a categorizzare i cosiddetti disturbi della differenziazione sessuale e dell’identità di genere, tra i quali però la mia condizione era forse indicata come la più aberrante poiché insidia il quesito primario di fronte ad una nuova nascita: è maschio o femmina?

Le bambine non fanno pipì in piedi è un romanzo di formazione, nel quale assistiamo all’evoluzione e alla crescita del protagonista, Lorenzo, che approcciandosi alla sua sessualità deve fare i conti con la propria natura e trovare una spiegazione a ciò che è davvero. Ma la ricerca non si limita ad una collocazione di genere, ovvero se è più giusto che un bambino nato con sindrome di insensibilità parziale agli androgeni (pAIS) stia tra le fila delle femmine o dei maschi. E’ piuttosto un percorso di ricerca interiore segnato da un coraggioso atto di onestà verso se stessi, un cammino tanto particolare quanto universale; la sua natura di romanzo di formazione, infatti, consente al lettore di identificarsi col protagonista, condividendone il travaglio emotivo e fisico.

In un’epoca in cui parlare di transgender e omosessualità è diventato quasi una moda, una filosofia di vita, una strategia per rivendicare la propria diversità rispetto alla massa della gente che si considera comune, su argomenti come questi e ancor più su un termine così poco diffuso come intersessualità regnano invece confusione e mancanza di effettiva informazione.

Il romanzo di Domiziana Tommasini non si offre ai propri lettori come una fonte di risposte, ma come uno strumento per porsi i giusti interrogativi e cominciare a riflettere e a comprendere ciò che non si conosce: l’intersessualità non è una patologia, non è un fattore discriminante, è solamente una possibilità di esistenza.

E’ questo il grido di Lorenzo, che rivendica la necessità di essere se stesso e di liberarsi delle catene che lo legano alle convenzioni sociali e all’ansia di trovare un posto nel mondo, perché non è questo ciò di cui ha bisogno, non è una collocazione, anche se durante il romanzo tentennerà ripetutamente sull’orlo del genere sessuale a cui ricondursi, il suo grido è una richiesta d’amore, comune a tutti gli esseri umani. E’ proprio il disperato bisogno d’amore del protagonista che funge da aggancio fra la storia e il lettore; senza nemmeno accorgersene, il lettore si ritrova ad affiancare Lorenzo nella sua ricerca di identità, e a condividerne i dolori e le conquiste.

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Domiziana Tommasini

Lorenzo è un protagonista umano, troppo umano.

Domiziana Tommasini, rispondendo ad alcune domande, ci accompagna nell’immersione nella storia e nella scoperta del suo lavoro.

Ma che cosa si intende, precisamente, con il termine “intersessualità”? Non lo abbiamo ancora definito.

«E non lo faremo! Lascio ai lettori il compito di documentarsi consultando le fonti preposte a illustrare un sì complesso argomento, in parte citate nella mia nota al testo, quali strumenti indispensabili a garantire il giusto approccio e la comprensione di che cosa davvero si nasconda dietro a questo termine, considerato esso stesso improprio secondo il parere di alcune associazioni, inadeguato a descrivere l’intera varietà di condizioni cliniche e di esperienze individuali riconducibili alla questione intersessuale. E’ un termine, comunque, troppo spesso ignorato o frainteso, confuso con ogni altro termine che presenti il suffisso …-ità: Intersessual-ità non è infatti sinonimo di Transessual-ità, che a sua volta non significa Omosessual-ità… Occorre prendere le distanze da definizioni e categorie, che spesso confondono la realtà invece di facilitarne la lettura, creando nell’immaginario collettivo false convinzioni, come se l’esistenza di un essere umano fosse il risultato della più elementare addizione: talvolta dobbiamo invece disimparare che due più due faccia quattro».

Intersessualità, identità, non sono però gli unici argomenti che danno vita al romanzo. Sono infatti approfonditi temi altrettanto importanti come il ruolo della madre nella vita di un figlio, l’amore, la morte. Come si legano all’interno della storia?

«Questo romanzo nasce dal desiderio di scrivere una storia il cui principale soggetto fosse l’esistenza, declinata secondo alcune tra le sue innumerevoli, possibili varianti: dal momento che l’intersessualità esiste, da qui sono partita, delineando senza dubbio il quadro peggiore nella vita del protagonista, per farne in realtà risaltare il bello, il buono. Un po’ come celare la luce con l’ombra, se mi spiego! Visivamente, io mi figuro un nodo che tiene stretti tra loro questi fili, uno di quei nodi impossibili da sciogliere se non recidendone una parte: a patto di riuscire a distinguere nettamente le componenti della matassa. Finirò di rispondere alla domanda con due citazioni: la prima, contenuta in Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, afferma che “nella carne e nel sangue di ognuno rugge la madre”. L’altra, consiste nella teoria meno accreditata – eppure irresistibile – circa la controversa etimologia della parola amore, che la vede composta di a- (alfa privativo greco) e mors (in latino morte, infelicità). Amore significa dunque assenza di dolore, di morte? Che cosa genera che cosa?».

A proposito di citazioni, un altro elemento caratterizzante de “Le bambine non fanno pipì in piedi” è il riferimento continuo ai classici: latini, greci, italiani, francesi. Perché tale scelta?

«Per quanto incredibile, devo rispondere che non si è affatto trattato di una scelta: sono stati “loro”, in effetti, a presentarsi al mio cospetto nei momenti chiave della storia, ogni qual volta mi rendevo conto che la potenza della mia parola non sarebbe potuta bastare a descrivere il momento, impedendo il decollo della narrazione fino al suo apice estremo. Nella vita, non sempre è ben accetta la sensazione di doversi abbandonare a forze esterne per riuscire in un’impresa, di qualsiasi genere essa sia: ecco, con infinita gratitudine ammetto invece di essere stata letteralmente tratta in salvo dal Sublime, inteso alla maniera di Shiller, “quel sentimento grave e taciturno che ci porta al di là dell’abisso vertiginoso ed è la sintesi tra un senso di pena che si manifesta come brivido e senso di letizia”. Tale è la portata della liberazione che devo alle mie reminiscenze di studio e a più recenti letture poi riportate nel mio romanzo».

Credi che la forma del romanzo sia più funzionale ed esplicativa rispetto a quella di un saggio per trattare un argomento come l’intersessualità?

«No, tutt’altro. Non mi stancherò di ripetere l’importanza di una corretta informazione al riguardo, che dovrebbe giungere innanzitutto dall’ascolto dei diretti interessati: dunque, niente è forse più opportuno di un saggio che affianchi alle teorie medico-scientifiche il maggior numero possibile di testimonianze di cosiddetta “vita vissuta”. Il mio intento era invece quello di scrivere una storia tra le possibili storie del nostro faticoso essere umani, una storia che squarciasse il velo dell’ignoto, del non conosciuto, spesso comune fonte di sofferenza tanto nella vittima quanto nel carnefice, i cui ruoli, nella vicenda che ho deciso di narrare, sembrano in effetti divenire interscambiabili. Come autrice di un romanzo di formazione, non di un saggio, esorto dunque i lettori con le parole del monaco buddhista giapponese Deshimaru Taisen: “Non cercate la verità. Evitate soltanto i pregiudizi”. Poi, come autrice di un romanzo di formazione il cui protagonista subisce nell’infanzia ciò che molti bambini hanno davvero subìto, aggiungo: una volta evitati i pregiudizi, mettetevi in cerca della verità».

Per ulteriori approfondimenti sull’intersessualità, ecco alcuni link utili:

Daniela Crocetti, L’invisibile intersex. Storie di corpi medicalizzati, Edizioni Ets, Pisa

http://www.aisia.org

http://www.intersexioni.it

http://www.interfaceproject.org

Maria Cristina Impagnatiello

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