Dipendo, dunque sono? Dipendo, dunque divento: tra Wall Street e Cocaina

Dipendo, dunque sono? Dipendo, dunque divento: tra l’assenza di Wall Street e la presenza di Cocaina

Nel cinema americano degli anni Ottanta non è difficile trovare pellicole che abbiano come fulcro tematico e narrativo l’uso, l’abuso e la diffusione di sostanze stupefacenti. Dal 1980 al 1989 si potrebbero citare, in ordine sparso, film come I ragazzi del fiume, Al di là di tutti i limiti, St. Elmo’s Fire, Scarface, A distanza ravvicinata, Il grande freddo, Velluto blu e Drugstore Cowboy. Questi titoli, tutti appartenenti a filoni e generi diversi (dal gangsteristico al thriller generazionale passando per il neo noir o il teen-movie), a case produttive di diverso orientamento commerciale e politico, hanno come unico fattore comune la presenza di personaggi dipendenti dall’uso di sostanze stupefacenti. Tra questa variegata e non proprio raccomandabile fauna è possibile incontrare i giovani borderline con magliette di Motley Crue e Def Leppard de I ragazzi del fiume, per i quali il consumo è legato maggiormente ad una situazione d’indipendenza – dal contesto geografico e familiare – che di dipendenza; i ricchi e impomatati losers usciti dalla penna di Bret Easton Ellis e portati sul grande schermo in Al di là di tutti i limiti; il boss dei traffici illeciti di Miami Tony Montana o il lisergico Frank Booth di Velluto blu.


Dipendo, dunque sono – il nostro tema del mese per giugno – diventa per questo tipo di cinema un diktat da seguire pedissequamente visto che proprio in quel decennio e soprattutto nel mondo degli affari, dell’economia e degli yuppies, la dipendenza da cocaina andava di pari passo con l’affermazione sociale e il relativo rampantismo. Dipendere dai dollari, dalle azioni di borsa e dalle sostanze equivaleva (ed equivale) a elevare la propria, effimera, posizione sociale ed economica. Una dipendenza che si conformava come essenza.

Nel 1987 Oliver Stone gira Wall Street, un film nel quale si racconta la vicenda del magnate della finanza Gordon Gekko (Michael Douglas) e la sua sfida con il giovane Bud Fox (Charlie Sheen). Dopo aver inondato di cocaina le scrivanie del Tony Montana di Scarface (film nel quale Stone firma la sceneggiatura), in Wall Street, in un modo anche abbastanza paradossale, la cocaina è l’assente giustificata. Giustificata dal fatto che Stone riesce ad assegnare al dio denaro tutte quelle peculiarità che in altri film sono ricoperte dalla droga. Non è un caso che Stone, durante l’ultimo Lucca Film Festival, abbia dichiarato che Wall Street e Scarface rientrano in quel pantheon cinematografico preferito dagli yuppies, quando in realtà il suo obbiettivo era quello di colpirli duramente.

cocainaNel 1988 Harold Becker, uno dei tanti registi medi nati cinematograficamente negli anni Settanta, realizza un film che mette al centro l’abuso di sostanze e la relativa dipendenza. Cocaina (The Boost il titolo originale) narra la storia di Lenny, un venditore immobiliare interpretato da James Woods, mentre Sean Young intrepreta la moglie Linda. I due rappresentano la classica coppia newyorkese piccolo-borghese che vive i giorni nella più scontata routine. Dopo il fallimento di un affare riguardante un multiplex, Lenny incontra Max (Steven Hill), un importantissimo esponente della finanza di Los Angeles che lo convince a trasferirsi in California per coinvolgerlo in affari sporchi legati ai rifugi fiscali. Da New York a L.A. la vita della coppia subirà uno scossone improvviso. Il film, strutturato da Becker tramite una ripartizione in tre atti, riesce – magari in maniera leggermente schematica – a far capire come la dipendenza da cocaina poteva dare un’illusione di affermazione sociale. Il primo atto del film, nel quale la cocaina è assente, vede la coppia barcamenarsi tra affari andati in fumo e tentazioni di sogni californiani. Nel secondo atto, una volta che la vita californiana di Lenny entra nel vivo, ecco comparire il “boost” a cui si fa riferimento nel titolo originale; la cocaina entra prepotentemente nella vita della coppia sconvolgendo sia il loro campo affettivo che affaristico. Il terzo, infine, vede la completa distruzione dei loro rapporti personali e un’alienazione di Lenny che, tramite una notevole inquadratura finale, riesce a scuotere le coscienze del pubblico. In Cocaina, Becker riesce a giocare molto bene anche con gli spazi interni tanto che si potrebbe parlare di espressionismo architettonico: gli interni newyorkesi sono banali e piccoli-borghesi, quelli losangelini fanno propri tutti gli elementi del classico design d’interni anni Ottanta, quelli che vediamo alla fine del film sono sciatti, sporchi e consumati, come la vita di Lenny. Curioso il fatto che anche nella vita reale Sean Young abbia avuto gravi dipendenze (questa volta dall’alcool) e abbia avuto problemi con James Woods proprio per comportamenti non leciti verso il suo collega.

Con gli anni Novanta invece il tema della dipendenza si è via via affrancato da questa tipologia di caratterizzazioni cupe e nichiliste. Ne sono nate altre come i personaggi di Trainspotting, di Natural Born Killers, di Pulp Fiction, di Paura e delirio a Las Vegas: furbe rappresentazioni di dipendenza post-moderna in grado di diventare icone a-morali per un’intera generazione.

Tomas Ticciati
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