L’altra faccia della dipendenza. William Burroughs e gli altri

«La droga viene a riempire un vuoto causato dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura. Noi oggi viviamo in un periodo storico in cui lo spazio (o vuoto) per la droga è enormemente aumentato. E perché? Perché la cultura in senso antropologico, totale, è andata distrutta».

Come diceva persino Pier Paolo Pasolini, la droga coincide con un momento della storia in cui i valori culturali e vitali sono andati persi e, addirittura, non sono neanche stati sostituiti con dei nuovi.

Ma per quanto riguarda la Beat Generation, l’idea dei loro esponenti è ben diversa.
Questo movimento nasce da un gruppo di scrittori americani e viene alla ribalta nel 1950, così come i fenomeni culturali da esso ispirati. Gli elementi centrali della cultura “Beat” consistono nel rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe e la sessualità alternativa; per intenderci, della Beat Generation fanno parte i fenomeni del Sessantotto: dagli Hippie a Woodstock.

«Si scivola nel vizio degli stupefacenti perché non si hanno forti moventi in alcun’altra direzione. La droga trionfa per difetto».
A differenza di Baudelaire – che in un certo modo si serve della droga per esaltare l’arte nel suo corpo e nella sua mente, come se la droga altro non fosse che un “evidenziatore” o un ordigno esplosivo mediante il quale far brillare alcuni aspetti del sé già presenti ma fino ad allora nascosti –, al contrario di tanti proseliti dell’alcol – sostanza adoperata da quelli della generazione di William Burroughs stesso per auto-annullarsi, per chiamarsi fuori da una società conformista e perbenista; al contrario, l’altra faccia della dipendenza, presentata da Burroughs, è ben diversa.

Nel Pasto nudo, il suo terzo romanzo, opera del 1959, Borroughs propone la sua autobiografia in una serie disordinata e arruffata di flussi di coscienze scritte sotto l’effetto di droga di cui lui non ricorda assolutamente di esserne l’autore; dopo che questi fogli sconclusionati sono stati riordinati da alcuni amici scrittori, come Jack Keruac, egli decise di pubblicare il libro sotto il nome di Pasto nudo, rifacendosi al titolo di una poesia dell’amico. Suscitò assoluto scalpore e soltanto dopo quattro anni venne pubblicato negli Usa.
Una delle vicende su cui più volte il libro si sofferma è l’uccisione della moglie avvenuta quando l’artista decise di giocare a Guglielmo Tell sotto effetto di droga e, sbagliando mira, toglie la vita alla coniuge.
Questo fatto deve aver segnato nel profondo l’artista, che ripetutamente scrive di questo episodio, quasi compulsivamente.

La Scimmia sulla schiena (dal sottotitolo di Confessioni di un drogato non pentito) è invece un libro scientifico, l’unico in tutta la produzione di Burroughs scritto con un metodo razionale e consequenziale, in stile realistico e, ancor più, documentaristico, – si ricordi che Burroughs si laureò in medicina. in Junkie prende questo enorme, stupefacente, incrocio tra Dio e Diavolo che è, secondo la morale comune, l’eroina – eroina che fino all’avvento di Burroughs era stata adoperata in campo artistico solo dai dadaisti, perché i jazzisti usavano invece esclusivamente marijuana – e, declamandone gli aspetti dolorifici, scrive le dodici tappe della via crucis che portarono William fino alla crocifissione, e poi alla resurrezione. Ma, non fermandosi neanche alla resurrezione, pure non più stupefatto cronico, effettivamente curato dal vizio fisico della droga – che, come una tenia, conficca la sua testa nella spina dorsale dell’uomo, ed è la testa del paradiso, certo, ma è pur sempre la testa del parassita, il quale si nutre di noi, mangiando le nostre cellule assetate di eroina, che in sua assenza morirebbero asfissiate dall’astinenza – Burroughs descrive con infinita scientificità la presa di possesso da parte della droga di tutte le cellule del corpo umano, una a una, una dopo l’altra, presa che ha come effetto inderogabile unico la totale dipendenza corporea, non solo mentale, dalla sostanza.
Interessante è notare come questo scrittore sia noto per i suoi libri prodotti sotto effetto di droga e come, nonostante la società rinnegasse questo modo di fare, egli è comunque riuscito a elevarsi.
Burroughs è uno dei pochi uomini liberi nella storia, ed è un fatto un po’ strano, per lo meno, che uno dei pochi uomini liberi sia stato un tempo schiavo della droga, costante ultima della vita di ognuno di noi.
Per concludere, qual è la risposta alla domanda «Dipendo, dunque sono?».

Al giorno d’oggi è quasi impossibile non avere dipendenze: gli oggetti in grado di crearla sono praticamente triplicati e, anche se la droga è una forma di dipendenza sicuramente più grave rispetto ad altre, gli effetti distorsivi di una dipendenza si creano, in ogni caso, dallo sport, dal caffè, dal cibo, dallo shopping.
«Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza».

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One comment to “L’altra faccia della dipendenza. William Burroughs e gli altri”
  1. Laurea in medicina? Il Pasto Nudo autobiografia? Scrive in esso della morte di Joan? Mi sa che hai visto solo il film e il resto lo hai inventato.

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