Bacon raccontato da M. Spender

Ma Bacon avrebbe detto qualsiasi sciocchezza per scappare dalle grinfie d’uno storico dell’arte

Venerdì 7 novembre, nella saletta allestita per la sezione Repubblica Cafè, è stato presentato il volume Francis Bacon – Inseguire i sensi, a cura del pittore e scultore inglese, ma residente in Toscana da decenni, Matthew Spender. L’incontro era moderato dai giornalisti Laura Montanari e Fabio Galati, i quali hanno discusso con l’autore la sua visione artistica e il suo rapporto con l’arte italiana del Novecento.

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Il libro, parte dell’elegante collana culturale di Edizioni Clichy denominata Sorbonne (diretta da Giovanna Ceccatelli), è diviso in tre sezioni: la prima è una scarna biografia/cronologia della vita del pittore di Dublino,; la seconda – nucleo fondante del libro – è il saggio di Spender; la terza è un’interessante raccolta di fotografie in bianco e nero abbinate a frasi e citazioni dell’artista.

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Durante la presentazione, la parte più sviscerata è stata naturalmente quella del saggio centrale, modellato da Spender unendo memorie personali – il padre era un intimo amico di Bacon – a puntuali interventi di critica artistica e di riflessione sulla figura controversa del pittore. Una delle prime cose che Spender ha sottolineato è come Bacon odiasse le interpretazioni scioccanti dei suoi quadri: al contrario, dava molto peso al concetto legato alla “brutalità del fatto”. Quando parlava del suo lavoro, Bacon voleva raffreddare quella che sembrerebbe una versione troppo pessimistica dell’esistenza umana; lui credeva che i dettagli scioccanti inseriti nei propri quadri fossero superflui ed anche fuorvianti rispetto al messaggio essenziale dell’opera. Spender, con il suo magnifico accento anglo-italiano, arriva a sostenere che il vero messaggio dell’opera di Bacon è paragonabile a quelle poche volte che nell’arco della vita ci sentiamo veramente vivi, momenti paragonabili al concetto cattolico dello stato di grazia. La sua pittura era un tentativo di sostituire questa immediatezza dell’esistenza umana con un’immagine fissa.

La narrazione di Spender è proseguita con una serie di aneddoti sulla vita privata di Bacon: sono stati presi in esame i problemi legati alla sua omosessualità in relazione al bigottismo inglese dell’epoca tra le due guerre, l’alcolismo, il rapporto impossibile con l’establishment, il suo disprezzo per l’astrattismo (concepito da Bacon come pura arte decorativa) e Max Beckmann, la sua non-stima per Picasso (fatto che turbò moltissimo la famiglia Spender quando Bacon rese noto il suo giudizio in un momento conviviale), il suo rapporto amicale col pittore Lucien Freud e altri fatti minori.

Il rapporto di Bacon con la sua arte era altamente conflittuale: Spender racconta come suo padre dovesse nasconderne dietro al sofà i disegni preparatori (che Bacon non ha mai riconosciuto, poiché contraddicevano la natura dell’atto di dipingere) disegni miracolosamente ottenuti dall’artista per evitare una loro precoce distruzione. Spender fa un focus anche sul suo atelier, così disordinato e invivibile, ricolmo di riproduzioni fotogiornalistiche, da sempre considerate da Bacon una delle sue maggiori fonti di ispirazione, tant’è che i dipinti di Velazquez li ha sempre visti riprodotti in foto e mai dal vivo (quando andò a Roma rifiutò di entrare nella Galleria Borghese) poiché “le riproduzioni erano testimonianze ognuna diversa e autonoma”.

In conclusione, Matthew Spender ha dichiarato la sua ammirazione per Mario Sironi e Mino Maccari (fatto che fece imbestialire molti suoi amici di sinistra), ha ricordato l’amicizia con Bernardo Bertolucci e la collaborazione per il film Io ballo da sola: nella pellicola sono visibili statue scopite da Spender, artista che, con grande signorilità, ha saputo divulgare in poche pagine la potenza visiva di un gigante del ‘900.

Tomas Ticciati

Tomas Ticciati
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