Alla ricerca delle immagini nascoste

Intervista a Simone Massi, animatore, regista e illustratore indipendente.

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Sulla scia del Festival di Venezia con le sue stelle più o meno grandi, questo mese parleremo di una non certo minore. Il nostro protagonista non sarebbe contento di essere definito in questo modo. Ma Simone Massi è una stella, su questo non c’è dubbio alcuno e il festival del cinema di quest’anno me l’ha confermato.

Simone Massi è animatore e disegnatore ufficiale del Festival da oramai tre anni consecutivi.

Il Manifesto dell’ultima edizione porta la sua inconfondibile firma ed è ispirato ad uno dei più memorabili finali della storia del cinema, quello dei I 400 colpi di François Truffaut.

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Quest’anno Simone Massi era anche il protagonista di un documentario dedicato alla sua vita e al suo lavoro, “Animata resistenza”, di Francesco Montagner e Alberto Girotto. Documentario che si è aggiudicato la vittoria nella sezione Venezia Classici, della cui giuria facevo parte.

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Dopo averlo visto sullo schermo, immerso nella natura della sua terra, circondato dalla semplicità della sua casa e dall’immensa creatività del suo lavoro, ed essermi commossa (ho pianto come una fontana per buona parte della proiezione), ecco Simone Massi materializzarsi davanti a me nell’ascensore dell’edificio centrale del lido, appena approdato a Venezia.

Io e Riccardo (uno dei miei compagni di giuria al Festival), lo fermiamo per i complimenti di rito e ci azzardiamo a chiedergli un’intervista: con sorpresa accetta di rilasciarla l’indomani stesso; appuntamento all’albergo nel quale soggiornerà per la durata del Festival. Massi sembra quasi più entusiasta di parlare con noi, figli di dei minori, piuttosto che lasciarsi blandire dai fotografi o dai giornali di punta.

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Simone Massi, nasce a Pergola nelle Marche nel 1970, tra gli ultimi pionieri dell’animazione “a passo uno” (in inglese stop-motion o anche frame by frame), è un animatore indipendente e resistente. Nato in una realtà contadina, dopo aver lavorato come operaio in fabbrica, decide di dedicarsi interamente alla sua passione, il disegno, sperando di farne il suo mestiere.

Ha studiato alla scuola d’arte di Urbino e negli ultimi 18 anni ha ideato e realizzato da solo e interamente a mano 19 film di animazione, proiettati in oltre 60 paesi del mondo. Oggi vanta oltre 200 premi raccolti tra i principali festival nazionali e internazionali, collocandosi, a soli 44 anni, tra i più importanti maestri dell’animazione d’autore contemporanea.

Ancora oggi, vive nella sua casa di campagna tra le colline marchigiane, lontano dai riflettori, preferendo lavorare in completa solitudine e totale indipendenza.

Simone Massi è davvero un “animatore resistente“, resistente alle lusinghe del successo e alle agevolazioni del mondo in digitale, preferendo a esso un lavoro fatto pazientemente a mano, fotogramma dopo fotogramma, pieno di memoria e di vita vissuta.

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Facendo una rapida ricerca su di te vengono fuori tantissime definizioni. Tu come ti definiresti: disegnate, animatore o regista?

SM: Preferisco presentarmi come autore. E’ meno presuntuoso rispetto a regista e meno incompleto rispetto a disegnatore.

Disegno e racconto delle storie: QUESTO E’ IL MIO LAVORO.

Da autore, cosa è per te un racconto per immagini?”

Il racconto per immagini è un modo di narrare, di raccontare delle storie, con un linguaggio differente rispetto a quello che siamo soliti usare nella narrazione fatta di parole. Io ho scelto di raccontare non con le parole ma con le immagini disegnate perché questo è quello che amo e so fare.

La parola spesso è inequivocabile, univoca e racconta solo una verità. Il disegno invece è aperto e interpretabile. Può racchiudere molte verità che, a seconda della sensibilità di chi guarda, può trasmettere molteplici significati. La forma del disegno, se vogliamo, è vicina a quello che la poesia fa con le parole.

Da disegnatore ho scelto la poesia dell’immagine.

Parlando del tuo modo di lavorare… la tua tecnica di disegno è stata definita in sottrazione, come uno scavare… per portare alla luce che cosa?”

Spesso è una sorpresa anche per me scoprire cosa c’è sotto il nero.

Quando scavo a volte so cosa sto tirando fuori altre volte invece no. Utilizzo questa tecnica (in sottrazione) proprio perché mi da modo di sospendermi.Come nella scultura, anche io è come se avessi un blocco di marmo e pazientemente togliessi ciò che l’ istinto mi suggerisce di togliere fino a far emergere delle forme, spesso molto antiche.

I miei soggetti sono contadini, partigiani, bestiole, paesaggi di casolari e alberi. Il mio lavoro è popolato dalle poche forme che animano il mio piccolo mondo, nel quale sono cresciuto e ho deciso di vivere.

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Il tuo mondo anima il tuo lavoro e le tue animazioni. Potresti spiegarci quale è il rapporto che hai con la tua terra e la memoria?”

Il legame che mi unisce alla mia terra è molto forte e profondo. L’importanza delle mie origini l’ho scoperta solo negli ultimi anni, dopo che il mio lavoro mi ha portato a spostarmi in giro per il mondo. Solo lontano dalla mia terra ho capito quanto fosse importante il legame che mi univa ad essa. Vivendo in un posto da sempre non hai la giusta distanza che ti permette di giudicare serenamente i luoghi in cui sei cresciuto; ma nel momento in cui te ne vai hai finalmente una distanza tale da riuscire a vedere le cose nell’insieme, nella loro totalità.

Solo allora puoi capire il valore di ciò che hai lasciato. Lo stesso vale per la memoria, altro tema ricorrente nel mio lavoro

All’inizio andavo a caso, raccontavo storie personali e autobiografiche, ma non sapevo bene dove andassi a parare. Poi, con il tempo, ho capito che una delle cose più importanti era proprio il tema della memoria. La memoria sono il mio passato e il mio presente.

Tutto quello che oggi faccio ha radici profonde e viene da lontano. Quello che sono oggi io lo devo ad altri venuti prima di me. Un giorno ho capito che non potevo più continuare a pormi davanti a uno specchi per vedere quanto fossi bello e intelligente. Non era vero… ero brutto e stupido.

Quando ho iniziato a non raccontare di me in prima persona ma delle altre persone che hanno fatto il mio presente e il mio futuro, allora anche il mio lavoro è migliorato e io con lui. Quando mi allontano dalla mia terra e dai ricordi ad essa legati, all’improvviso capisco che l’insieme delle macchie e dei puntini che popolano la mia terra compongono e fanno insieme il mio volto.

Io sono una persona fatte di tante altre persone, di storie e racconti che mi hanno preceduto. SimoneMassi2012_5x

Animata-resistenza_Fucina-del-Corago“Non riuscivi più a vederti allo specchio, almeno fino a quando non sei riuscito a vedere di nuovo le tue colline… puoi spiegarci meglio che cosa è cambiato e quando ?”

SM: Vivere nel luogo nel quale sei nato e cresciuto, vuoi la forza dell’abitudine, ti porta a non capirne ed apprezzarne il valore, ma quando ti allontani, quei luoghi iniziano a mancarti ed è questo il momento in cui capsici il valore delle tue radici.

A me è successa questa cosa intorno ai 30 anni, quando ho iniziato a viaggiare all’estero per lavoro e ho iniziato a fare i conti con quello che stavo lasciando.

Questo mi capita soprattutto nelle zone neutre, nelle terre di nessuno (stazioni, aeroporti). In questi luoghi, la mente viaggia, i pensieri si accavallano, vengono fuori delle idee che ti fanno capire cosa lasci e quindi cosa è veramente importante. Altrove, quando tocchi il suolo, difficilmente questi pensieri affiorano, ma nelle zone non meglio precisate, questi pensieri mi rigirano in testa, mi fanno riflettere e riesco a capire meglio chi sono e da dove vengo. Almeno a me è successo così.

Guardando i tuoi lavori, viene da chiedersi cosa ti spinga a disegnare. Quale necessità interiore che ti porta a creare qualcosa?”

Disegno da sempre, da quando ero bambino e ho piacere nel farlo, ma a fatica e a malavoglia cerco di indagarne i motivi. Spesso mi chiedono come nasce una storia, perché disegno e di solito rispondo per gentilezza. La risposta cela un lato oscuro che dovrebbe rimanere tale.

Provo a dare delle spiegazioni, spesso pochissime convincenti. Disegnare coinvolge sentimenti che sarebbe bene non spiegare a parole. La parola spiega cosa si vede, parte dei pensieri, ma non è sufficiente a tradurre tutto, a dare forma a ciò che ha a che fare con lo spirito. Se ci si prova, si rischia solo di fare una brutta figura e di tradire i propri sentimenti e le proprie emozioni.

Non ho nulla di meglio e di più urgente da raccontare di quello che posso realizzare con i miei disegni.

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 “Domanda tecnica, come disegni e realizzi i tuoi lavori. Creai tante piccole inquadrature, una specie di story board, per poi montarle tra di loro in un secondo momento?”

Uso pastelli ad olio su foglio bianco. Faccio un bozzetto, poi lo ricopro con il pastello ad olio e infine tiro via (scavo) facendo uscire fuori l’immagine. Parto dalle immagini principali, dai disegni chiave che dispongo come tessere che cerco di muovere fino a trovare un legame che unisca un disegno all’altro.

Questo è lo story board vero e proprio. Una Volta che ho trovato la sequenza fra le varie immagini, le animo e cerco di passare da una forma ad un altra forma, da un disegno ad un altro disegno.

Tutta l’animazione viene fatta a matita in questo modo. Poi quando vedo che il ritmo e i movimenti dell’animazione funzionano passo alla fase successiva, cioè comincio a chiaroscurare, a finire i disegni.

La tecnica che utilizzo consiste nello stendere sull’altro lato del foglio, dove non c’è la matita, uno strato di pastelli ad olio, uno bianco e uno nero. Poi torno sull’altro lato del foglio, dove c’è il disegno a matita, calco e ottengo il negativo. A quel punto inizio a graffiare e a tirare fuori il chiaroscuro per sottrazione.

A seconda della complessità del disegno e della durata del film d’animazione cambia il tempo della sua realizzazione.

L’ultimo film che ho realizzato, “L’attesa del Maggio”, dura 8 minuti per un totale di oltre 2200 tavole. Ne realizzavo 7 al giorno per una durata pari ad un anno e mezzo di lavoro a tempo pieno.

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Venendo alla tua vicenda biografica. All’inizio l’ esperienza lavorativa in fabbrica, poi hai studiato alla scuola d’arte a Urbino. Quando hai capito che l’arte poteva diventare il tuo mestiere e la tua vita?”

SM: Non ho mai pensato di fare dell’arte un mestiere, non era la mia ambizione e non volevo fare l’artista. Ho avuto un’ educazione molto semplice, da contadino e operaio. Sono scappato dalla fabbrica, ma questo non significa che sia voluto diventare un’altro.

Come mentalità e metodo di lavoro resto un operaio.

La mia professione è quella del disegnatore, ma non c’è la presunzione che caratterizza gli artisti né tanto meno la loro ambizione. Di solito, in questo ambiente, ognuno vuole essere il numero uno ed è pronto a divorarsi i colleghi per riuscirci.

Io sono sempre rimasto nel paesino dove sono nato (Pergola), ho preferito per scelta restare nell’ombra senza l’aspirazione di andare sui giornali o in televisione.

Per scelta, quasi mai, tranne che in una prima parte della mia carriera, quando speravo di poter disegnare in modo professionale con uno stipendio, mi sono proposto agli studi e alle case di produzione. Anche nei festival resto in disparte e non vado a stringere le mani, preferisco andare a passeggio per la città.

Tutto questo, messo insieme, mi fa pensare e mi da la conferma di essere un disegnatore operaio, non un’ artista. Non mi reputo tale.

Ed infine, la tua esperienza con il Festival del Cinema di Venezia?”

SM: Dall’esterno il festival mi sembra un po’ un circo.

Ci sono delle cose fatte per essere date in pasto al pubblico, molti aspettano solo i divi e le star sul tappeto rosso. Questa è la parte del festival che mi piace di meno.

C’è un mercato e un business e poi ci sarà qualche persona che come me se ne sta in disparte, che viene perché Venezia è un festival importante.

Per me è un onore essere qui. Ma sono qui senza forzature, non voglio vestirmi elegante, frequentare i salotti con un bicchiere di vino in mano.

Voglio essere a Venezia e sono felicissimo di prendervi parte, a patto di restare me stesso e di starci alla mia maniera, altrimenti lo vivrei come un’ intrusione che mi darebbe più fastidio che piacere.

Conclusa l’intervista, continuiamo a parlare e Simone Massi mi invita gentilmente a sedermi a tavola con lui per prendere un caffè con sua moglie, suo figlio e i suoi collaboratori.

Ecco quel giorno ho capito che il motto “i veri artisti sono anche persone umili” non è solo un luogo comune trito e ritrito ma in parte la pura verità.

biancaBiancamaria Majorana

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