Nicolas Winding Refn e la forza delle immagini

Con The Neon Demon è di moda la morte

«Un giorno mi sono svegliato e mi sono reso conto che, per quanto ci provassi, non sono nato bello».

«Se io volessi essere una sedicenne, vorrei essere come lei».

Nicolas Winding Refn, da Storytellers (Sky, 11 giugno 2016)

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Cronistoria dell’ultimo lustro targato Nicolas Winding Refn, cinque anni in cui ha “giocato” con l’immagine della morte fino all’ultimo film The Neon Demon: cominciamo nel 2011 quando si aggiudica la Palma d’Oro a Cannes per la miglior regia con Drive, sempre nello stesso anno sembra attirato dalle sirene del cinecomic (Wonder Woman) ma poi il progetto sfuma, nel 2013 con Solo dio perdona torna a Cannes e riceve i primi fischi sulla croisette, contemporaneamente è all’opera con alcuni marchi storici di moda (Gucci, Lincoln, Hennessy) per girare alcuni spot.

Maggio 2016: come al solito accompagnato dalla moglie Liv Corfixen, Nicolas Winding Refn sbarca al Festival di Cannes con la sua ultima opera dall’evocativo titolo The Neon Demon. Critiche durissime sono piombate sulla testa del regista danese, insieme al solito carico di snobismo degli accreditati che hanno condito il tutto con fischi e urla sguaiate.

elle-fanning-neon-demonThe Neon Demon è la storia di Jesse (Elle Fanning) che si ritrova, a soli 16 anni, catapultata nella Los Angeles della moda e delle riviste patinate. Orfana e costretta e mentire sull’età, si ritrova al centro di un microcosmo ostile popolato da personaggi spaventosi, inquietanti, che dell’umano hanno solo l’aspetto esteriore. La città californiana immaginata da Nicolas Winding Refn e fotografata in bilico tra stile vintage e iper-modernità da Natasha Braier, è costituita da luci e tonalità rosse e blu, da una forte base di ritualità e una carica estetico-erotica che tocca qualsiasi luogo sia pervaso dall’aurea del “demone al neon”: dallo squallido motel gestito da Keanu Reeves, ai set fotografici più sfavillanti, passando per l’obitorio, le case di lusso ed i cocktail-bar.

Si potrebbe definire The Neon Demon come un’opera che innesca una serie infinita di corto circuiti. Il primo lo si può rintracciare nella natura stessa del film e nella definizione che Nicolas Winding Refn continua imperterrito a ripetere nelle sue interviste. La dichiarazione «The Neon Demon è un teen-horror» pone lo spettatore, e anche il critico, di fronte a un bivio: teen-horror inteso come horror destinato a un target di teenager o inteso come horror fatto da un cast di teenager? In questo campo verrà giocato gran parte del successo del film. Riusciranno i distratti under-20 a comprendere le sfumature di un film che riesce ad occupare lo schermo in modo totale, un film che fa del particolare visivo e sonoro (Cliff Martinez ancora sugli scudi nella colonna sonora) la propria cifra stilistica di apprezzamento e di valorizzazione, un film che non presenta momenti d’azione ma vive di una placida glacialità che atterrisce, spaventa e affascina?

Nicolas-Winding-Refn-Neon-DemonIl secondo corto circuito è quello che riguarda il mondo della moda e l’esperienza personale del regista in quel mondo. L’apprezzamento maggiore da riconoscere a Nicolas Winding Refn è sicuramente il coraggio; coraggio che ha avuto nel mettere in discussione il mondo della moda – un po’ come aveva fatto David Cronenberg per il mondo del cinema con Maps to the stars o Paul Schrader con il poco gradito The Canyons – dopo essere passato attraverso la macchina promozionale di Gucci ed H/M.

Il suo percorso, tuttavia, non è banale, non porta a riflettere sui vari meccanismi oscuri di sesso e/o droga all’interno delle agenzie di modelle. The Neon Demon riesce a porre in primo piano il confronto tra esteriorizzazione e interiorizzazione della bellezza umana e, tramite una mossa che trasforma la metafora in realtà, realizza un’opera horror che si tiene lontana più che mai dai giochini moralistici di Hollywood e che solo e solamente tramite l’immagine riesce a raccontare frammenti, situazioni e sentimenti che vanno dal macabro al sublime, dall’angoscioso al favolistico.

Un’opera di immagini che vive grazie anche al serbatoio infinito di conoscenze e di sensazioni cinefile del passato a cui Refn si è ispirato. Si è parlato di Suspiria, Il cigno nero, Velluto blu, Society, le opere più glamour di Brian De Palma. Da grande amante del cinema del passato, Refn non si tira indietro al confronto ma sicuramente dietro ai 120 minuti scarsi di The Neon Demon c’è tanto di suo, di quella classe cristallina che si spera continuerà a brillare come un demone imbellettato in posa a Malibu Beach.

Tomas Ticciati

Tomas Ticciati
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