L’altra Pisa: il Victor Charlie e il punk

Pisa Punx: gli anni 80, il punk e i fermenti underground

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In questo numero dedicato a Pisa vogliamo raccontare di un fenomeno musicale sotterraneo, dimenticato e perlopiù sconosciuto, un fenomeno che però ha segnato profondamente la cultura e l’umore giovanile della nostra città, e che ancora adesso, a flash, frammenti e ricordi, rivive nelle nuove generazioni.

Stiamo parlando della nuova ondata Punx degli anni 80, un vero e proprio grido di frontiera estremo, radicale, un movimento che rifiutava a priori tutte quelle etichette commerciali, che fuggiva dal circuito mainstream, seguendo l’esempio dei vecchi punk e dei loro figli.

In questo periodo la musica punk italiana in particolare, rappresentava una vera e propria filosofia radicale, un mantra, una voce fuori dalle regole che era in grado di comunicare un messaggio potente, ribelle, anarchico, libertario, fornendo alle generazioni dell’epoca un vero e proprio specchio di valori e di possibilità alternative, una griglia in cui incasellare il proprio io, e un “luogo” di appartenenza in cui poter esprimere sé stessi e denunciare le ingiustizie e le pressioni.

Il punk italiano degli anni 80 appare oggi come l’unica presenza antagonista che riuscì a essere conflittuale, e non poco, con i bui panorami di una società all’alba della globalizzazione. Una società che si stava riempiendo di stereotipi modaioli che tentavano di banalizzare il vissuto, di recuperare l’immagine, assumendo, sempre e soltanto, gli aspetti esteriori o alcune sue caratterizzazioni musicali.

Il Punk arrivò in Italia dopo l’ avventura del movimento antagonista e di classe che aveva fatto vacillare lo stato italiano per anni, divenne una forma di protesta politica contro leggi coercitive, piani economici, iniziative multinazionali e tutto quello che implicava una massificazione culturale. Questa musica underground muoveva le masse, come un credo: si facevano anche centinaia di chilometri per un concerto italiano, le band si scambiavano idee, dischi, contatti, le riviste specializzate erano vera e propria linfa vitale per gli appassionati, e i centri sociali erano diventati il nuovo luogo per i concerti e per lo scambio di idee. Pisa fu uno dei centri di maggior diffusione di questa nuova mentalità che investì l’Italia intera negli anni 80: già animata dal primo punk dei CCM (Cheetah Chrome Motherfuckers) classe 1979, con un giovanissimo Domenico Petrosino (Dome La Muerte), la città divenne un nuovo luogo di sperimentazione che vide l’alternarsi di varie formazioni che spaziavano dall’Hardcore alla psichedelia e dal Punk alla New Wave, che oggi purtroppo non sempre ricordiamo.

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Il termine Punx, è figlio del Punk ‘76, e fa riferimento alla nuova ondata di ribellione musicale dei primi anni 80, mischiandosi con l’Hardcore, l’attivismo, l’anarchismo e le visioni di estrema sinistra. Il Punx era un movimento ostile ai vari mass media, diffondeva la sua musica fuori dal normale mercato musicale, portando avanti una filosofia do it yourself, al di fuori di un sistema da cui non si sentiva rappresentato. I gruppi Punx-Hardcore cantavano in italiano e in inglese, trattavano tematiche quasi esclusivamente politiche come la guerra fredda, il pericolo del nucleare o le problematiche della Base NATO di Comiso e diffondevano le proprie idee attraverso fanzine autoprodotte, ciclostilate e fotocopiate dai nomi e dai contenuti spesso aggressivi e volgari: ricordiamo “Bambina precoce”, “Porka merda” e “Trippa” di Firenze, “Fanghiglia cristiana” di Ferrara, “Deviazione mentale” di Udine, “Epidemia” di Bari,  “Fuck off” di Bologna, “Trance” di Pisa, “La conquista dello spazio negato” di Bologna  etc.

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Molti punx si dichiaravano anarchici militanti, altri invece erano totalmente apolitici e tendenzialmente libertari, altri erano non violenti, pacifisti, vegetariani e animalisti, altri ancora profondamente autodistruttivi, nichilisti come i primi punk inglesi, ma sostanzialmente non c’era una divisione netta tra queste correnti, e la maggior parte dei musicisti collaborava in una realtà unita e sentita. I gruppi punx giocavano molto sul senso del disgusto, affrontavano con estrema crudezza gli argomenti sociali e politici in canzoni brevissime, puntavano spesso a performances violente e convulse, gridando contro un falso perbenismo sociale che veniva distrutto dal suono devastante delle chitarre, e tutto quello che restava erano solo “luci sconvolte nel buio del nulla”. Essere punx voleva dire essere al di fuori di ogni regola, sia come musicisti, sia come adepti, voleva dire non riconoscersi in niente, voleva dire cercare disperatamente un luogo in cui condividere il senso di esclusione e in cui sfogare la propria rabbia provocando chiunque. Il Punk era sentito come una liberazione, un modo di sfogare la violenza subita attraverso gli abiti, i capelli colorati col taglio alla moicana, la musica incazzata, gli insulti e la vita sregolata come ricorda Dome la Muerte:

Sniffavamo anestesolo, colla per aeromodelli, quando si trovava tiravamo lo speed, il rispetto era una parola che non esisteva nel nostro vocabolario, si rompeva il cazzo a tutti, a volte si portavano le svastiche esclusivamente per provocare la gente normale ma soprattutto politicanti, hippy, ex sessantottini, i vecchi e le vecchiette in generale. Chiunque fosse diverso da noi era un coglione. Si andava apposta a chiedere di suonare ai concetti altrui, dai cantautori ai gruppi hard rock, per poi fare del casino, al minimo discorso storto scatenavamo megarisse, e se non c’era motivo lo trovavamo noi. Non esisteva ancora una scena punk e nemmeno un ghettino dove stare, per cui eravamo una mina vagante e visto che all’inizio ci prendevano tutti per il culo, compresi gli extraparlamentari di sinistra, e spesso le abbiamo prese forte da tutti – rossi, neri e polizia – si capì subito che la miglior difesa era l’attacco. Fummo così costretti a diventare il terrore della città, del tipo che quando passavamo la gente cambiava marciapiede. Abbiamo demolito discoteche, cinema, teatri e anche un negozio di dischi, ricordo. Il nostro sport preferito era sputare e mandare affanculo chiunque e infatti i nostri slogan erano: “fuck you” o “fuck off”, “destroy the past” e “no future”. […] Alla fine l’eredità che il punk mi ha lasciato, se così si può dire, a parte il setto nasale rotto, è innanzitutto il fatto di essere riuscito a fare quello che volevo senza per forza dover vendere il culo come ho visto fare a tanti miei amici, sono sempre sul palco senza aver mai firmato per una major, non ho impostato la mia vita sulla corsa ai soldi, e infine il punk mi ha lasciato l’urgenza e la costante ricerca del nuovo, rimanere noi stessi in qualsiasi occasione senza vergognarsi mai di quello che siamo!

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Il movimento punx pisano era un fiume sotterraneo che stava lontano dai luoghi ufficiali e preferiva riunirsi in comunità (dalle cantine allo spazio casalingo del 3B5, “La casa dei punk” di piazza Garibaldi), fino ad occupare e creare spazi autogestiti dove proporre la propria musica autoprodotta, registrata su cassette e venduta a prezzi bassissimi. In quegli anni dove paninari, yuppie e arrivismo sociale avevano la meglio, nacque il Granducato Hardcore, che proprio a Pisa negli anni 80 ebbe il suo centro gravitazionale, una vera e propria rete di contatti che comprendeva non solo l’ambito musicale, ma anche tutto quello che vi girava intorno.

Era un reale punto di rifermento per musicisti e giovani che volevano contestare l’aridità sociale del periodo, non una vera propria organizzazione, ma una grande cooperazione di persone e gruppi toscani che iniziò a produrre e distribuire le proprie produzioni musicali, aprendo spazi autogestiti, fanzine, ed etichette indipendenti come la Belfagor Records. Momento saliente della storia del GDHC fu il “Last White XMas”, storico concerto pisano dell’83 tenutosi nella chiesa sconsacrata di San Zeno, in cui si alternarono undici band del Granducato con i Raw Power come ospiti, Hardcore estremo, violentissimo e senza compromessi.

Tutta la scena del Granducato si è sempre contraddistinta per non essere pacifista. Da altre parti erano crassiani, anarco-pacifisti. Noi no… Allora quando c’erano delle manifestazioni nazionali importanti si scendeva in massa, e quando gli altri vedevano arrivare il Granducato c’era sempre un po’ di tensione. Rappresentavamo forse l’ala dura del movimento, e questo si capiva pure dalla musica che facevano i nostri gruppi: la più incazzata…

Testimonianza di Betta, fondatrice del Victor Charlie. Marco Philopat,  Lumi di punk, la scena italiana raccontata dai protagonisti, 2006

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Gruppi pisani come i Not Moving (nati nel 1982 dai CCM e portati avanti dal carismatico Dome), i Senza Sterzo, gli Urla Nel Silenzio, i Traumatic, i Teste marce, i Ravings, i Mumblers, Useless Boys e i Lanciafiamme, insieme ad altri provenienti dalla toscana come i I Refuse It!, i Traumatic, i Putrid Fever, i Dements, gli A’uschlag, gli Stato di Polizia, i War Dogs etc, furono i protagonisti di questa rivoluzione musicale pisana per tutti gli anni 80, che anche in tutto il resto dell’Italia stava spaccando i timpani della “gente per bene”. Anche le immagini diffuse da questo mondo punx e dalle sue fanzine delineavano un immaginario estetico controculturale, violento, ribelle, scatenato e lontano da ogni tipo standard di bellezza da giornale di moda o da edonistica pubblicità anni 80: Professor Bad Trip fu una delle principali menti della grafica punx, riconoscibile per il suo tratto psichedelico e convulso con cui disegnava i suoi “ometti” schizzoidi e meccanici, le copertine dei dischi erano scarne, fatte di disegni e collage brutali in bianco e nero come le immagini fotocopiate delle fanzine, popolate da zombie sdentati, scheletri, immagini truculente, lettering acido e aguzzo, scene apocalittiche e cyberpunk con maschere antigas, scene di degrado vandalico cittadino, oppure semplicemente ritraevano la band live nel pogo selvaggio in un bianco e nero sgranato. Spesso i vinili non c’erano nemmeno e le cassette autofatte erano il modo migliore per passarsi la musica: anche queste avevano la loro arte, erano colorate, spesso in rosso, con simboli che inneggiavano al comunismo, alla libertà e alla ribellione.

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Come abbiamo anticipato prima i luoghi in cui i punx facevano musica erano prevalentemente centri sociali autogestiti come gli storici Victor Charlie (1983-87) e Macchia Nera (1988-98): Il Victor Charlie, dalla difficile e sudata esistenza, è stato uno dei primi in Italia a promuovere concerti e a strutturarsi come centro di aggregazione collettiva, portando Pisa, seppur piccola città di provincia, ad essere ricordata per una storia musicale e antropologica di portata internazionale. Centinaia di persone da tutta Italia andavano alle iniziative che vi si organizzavano, i punk arrivavano in massa in pullman da Milano, da Bologna, dalla Puglia:

Al Victor Charlie vennero a suonare decine e decine di band da tutto il mondo, e questo significava portare a Pisa centinaia di punk ogni settimana. Stringemmo amicizia con tutta la scena del punk: dal giro italiano di PUNKamINazione a quello californiano di Maximum Rock’n’Roll. […] Credo che il nome lo inventò Syd, il cantante dei CCM: “Victor Charlie”, il nome che davano i soldati americani ai vietcong in Vietnam, per via delle stesse iniziali.

Testimonianza di Betta e Bettina, fondatrici del Victor Charlie. Marco Philopat,  Lumi di punk, la scena italiana raccontata dai protagonisti, 2006

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Il punk si addentrava in un mondo lacerato che aveva conosciuto l’incredibile forza dell’utopia, in un coacervo di lotte intestine in cui la musica giocava un ruolo comunicativo devastante, soprattutto nei testi, fatti di nichilismo degenerato, noia, blasfemia, sangue, resistenza, bulimia di libertà, stanchezza, depressione violenta, estremismo anarcoide e tanta tanta voglia di denuncia di uno stato affamato di capitalismo.

Woytila Vattene! Musica contro ogni forma di potere, musica contro lo stato e contro ogni forma di oppressione, gridavano gli A’uschlag in Grazie Patria durante una loro esibizione al Last White Xmas; Bisogna rendere ancora più oppressiva l’oppressione già in atto per raggiungere la coscienza della lotta dicevano i Negazione, Niente da fare  niente da dire niente da mostrare niente da vedere non è successo niente né oggi né ieri gridavano i Sottopressione, Le torture all’indice i doppigiochi all’indice il comitato è sconfitto, spazzato via dal trono, cantavano i I Refuse it!… Bisogna urlare la libertà, lungo i suoi muri di cemento, dietro le sbarre di una prigione, lungo le vie di una città. Bisogna abbattere lo stato, i privilegi della sua gente, il capitalismo non è un lavoro, è solo un furto la società. Ci stanno uccidendo al suono della nostra musica, dicevano i Peggio Punx.

Se volete sturarvi le orecchie con un po’ di Punx, qui trovate i pezzi originali provenienti dalla compilation Urla dal Granducato. Buon ascolto!

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Virginia Villo Monteverdi

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10 comments to “L’altra Pisa: il Victor Charlie e il punk”
  1. La frase che attribuisci ai Negazione è in realtà dei Peggiopunx, e credo sia a sua volta una citazione. A parte ciò, bell’articolo.

  2. Cara Virginia sono molto contento che quel periodo, che ricordo di aver vissuto come già epico allo stato presente, stia diventando storia. Ma nel tuo articolo ho risentito la gioia e divertimento di quegli anni dove il vero pericolo era la vitalità che avevamo: il nihilismo è stato un metodo, non un fine. Il punk è un metodo e ci sono ancora molte cose che si possono affrontare solo in quel modo. C’è ancora tempo per agire. Massimo, batterista dei Dements (LWC, 1983)
    Mi ha indicato il tuo articolo Patty, storica punk lucchese.

  3. I Not Moving erano di Piacenza, esistevano prima che ci suonasse Dome (entrato al II disco). I Traumatic erano di LIVORNO! Come i Mumblersi, in UNS e Ravings suonavano sia livornesi che pisani

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