Ernani, quell’opera contenuta in una sesta maggiore

Ernani, «dramma lirico in quattro parti», è uno dei titoli che hanno maggiormente segnato il cammino di Giuseppe Verdi e hanno contribuito in modo decisivo al suo successo internazionale. Il duplice trionfo del Nabucco e dei Lombardi alla prima crociata (rispettivamente del 1842 e 1843) fu l’autentico motore propulsivo della carriera di Verdi, fu ciò che gli permise di “farsi un nome” e fu la causa delle numerose offerte di contratto che gli piovvero in grembo da ogni parte; uno di questi attrasse la sua attenzione, proveniente dal Teatro La Fenice di Venezia.
Fino al quel momento la sua vita teatrale si era esaurita esclusivamente sulle tavole della Scala: quattro opere, un buon successo, un fiasco e due trionfi. Forse non volendo sfidare la sorte con un nuovo titolo a Milano, Verdi decise di far vela verso Venezia.

Come già accennato, Ernani rappresenta una tappa estremamente importante all’interno del percorso del Cigno di Busseto, per almeno quattro buoni motivi, in cui la biografia del compositore si intreccia con l’evoluzione della sua musica. Innanzitutto è la prima opera a non essere composta per la Scala e in cui Verdi si avvale del «librettaro» Francesco Maria Piave, alba di uno dei sodalizi più emblematici della storia dell’opera, che avrebbe dato alla luce ben nove titoli (dieci se si considera anche Aroldo, rifacimento di Stiffelio); inoltre Ernani rappresenta l’effettivo inizio di quel – breve ma intenso – periodo noto come gli «anni di galera», un arco di appena sette anni in cui Verdi compose ben dodici opere, dai Lombardi allo Stiffelio.
Se i Lombardi permisero a Verdi di marciare sul successo ancora fresco del NabuccoErnani gli consentì la sistematica capitalizzazione del proprio continuo successo: fu con Ernani che il compositore capì quali sono gli ingredienti del successo e i modi per continuare a rinnovarlo (e rinnovarsi), senza cadere nella trappola della sterile fissità, nel riciclo imperituro delle medesime forme e dei medesimi stilemi. La cosa più interessante delle opere degli anni di galera è proprio questa: lo stile di Verdi muta, matura, migliora, ad ogni titolo la sua mano diviene più sicura. Lentamente, beninteso, dato che il tempo a sua disposizione per lavorare su ogni singolo progetto è ridotto all’osso, ma in modo costante. A cominciare proprio da Ernani.
Questo è il quarto e più importante motivo che si possa addurre per spiegare il peso che l’opera tratta dall’Hernani di Victor Hugo abbia avuto sulla carriera di Verdi: si tratta del primo titolo in cui la drammaturgia non si concentra sulle grandi masse, sulle macrofazioni contrapposte ma sui singoli individui e procede a uno scavo psicologico dei quattro personaggi principali. Non più la folla al centro dell’attenzione del compositore/drammaturgo ma il singolo, il semplice uomo. 

Sebbene Ernani sia un lavoro giovanile, certamente acerbo sotto diversi profili, contiene un quid, un guizzo, che preannuncia il futuro della musica verdiana: l’elemento caratterizzante. In Macbeth questo elemento è il ritmo (si pensi, ad esempio, alla figurazione ritmica che rimanda alle streghe), in Rigoletto è l’uso caratteristico di una nota, il do nel caso della maledizione e il mi nel caso di Gilda, in Ernani questo elemento caratterizzante è il salto di sesta maggiore. Questo intervallo è sicuramente caro a Verdi, tanto che lo si ritrova in numerosi momenti delle sue opere (uno su tutti il celeberrimo brindisi della Traviata), forse per il grande slancio e il forte impatto emotivo che questo intervallo evoca, ma in questo titolo la sesta maggiore assume un rilievo eccezionale.

Ci appare per la prima volta nello splendido Preludio orchestrale: dopo la citazione di un passo dell’atto III, flauti, oboi e clarinetti intonano questa sorta di tema d’amore che prende le mosse appunto da un salto di sesta maggiore. Questo intervallo in Ernani ha una fisiognomica molto specifica, perché parte dal quinto grado per giungere al terzo e tale caratteristica rimane inalterata in tutte le sue riproposizioni, affidate – a turno – a ognuno dei personaggi principali, cominciando proprio da Elvira nella celebre cavatina Ernani, involami.

Interessante anche il fatto che questo intervallo conosca numerose modificazioni e varianti. Se Elvira ce lo ripresenta “nudo e crudo”, esattamente come nel Preludio, così non fa Carlo: all’inizio del duetto Da quel dì che t’ho veduta, Carlo intona sì una sesta maggiore, ma aggiungendo una breve fermata sulla tonica!

Di tutte queste modificazioni, la più curiosa è senza dubbio quella toccata in sorte al protagonista eponimo nel terzetto Oro, quant’oro:

Guardando questi pochi esempi ci si rende anche conto di un fattore estremamente importante, ossia in che modo Verdi decida quando e come far apparire questo elemento caratterizzante. È facile gioco intuire che non si tratta di evocazioni casuali ma in momenti specifici della drammaturgia, vale a dire quando l’emotività del personaggio, della scena o della situazione raggiungono i massimi livelli. I quattro protagonisti dell’Ernani sono altrettanti vulcani d’emotività e Verdi, da scaltro uomo di teatro, ha saputo infondere in essi nuova energia proprio con questo elemento, un filo rosso che lega le anime e i destini dei quattro – autodistruttivi – personaggi.

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