La scuola, il dramma e la ribellione – analisi di 4 film
Noi di Tuttomondo abbiamo scelto come argomento guida di Settembre il tema della scuola. L’estate volge alla sua conclusione e le aule si riempiono nuovamente di una fauna indistinta di ragazze e ragazzi pronta ad vivere una convivenza forzata dentro quattro mura. Il mondo della cultura popolare ha affrontato da sempre argomenti come la ribellione, la voglia di fuga, la libertà e automaticamente anche il mondo della scuola ha subito questo trattamento, basti pensare alle numerose canzoni rock ‘n’ roll degli anni ’50 che trattavano di questo argomento. La cinematografia mondiale si è spesso orientata verso le tematiche scolastiche e gli scontri generazionali che si creano entro quegli edifici.
Tralasciando film abbastanza recenti che da subito sono entrati nel dibattito cinefilo e nell’immaginario comune come Bowling a Columbine (Bowling For Colombine, Michael Moore,2002), Elephant (Elephant, Gus Van Sant, 2003) o il pionieristico Il seme della violenza (Blackboard Jungle, Richard Brooks, 1955), questo articolo sarà composto da una breve analisi di quattro film, alcuni più famosi, altri meno, che nel loro piccolo hanno mostrato squarci realistici, romanzati, storici o anche utopistici di realtà scolastiche in vari periodi del secolo scorso. Le pellicole in questione sono La scuola della violenza (To Sir, With Love, James Clavell, 1967), Classe 1984 (Class Of 1984, Mark Lester, 1982), Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants, Louis Malle, 1987) e L’attimo fuggente (Dead Poets Society, Peter Weir, 1989).
Ambientato in piena “Swinging London”, La scuola della violenza apre questo quartetto di pellicole in modo ottimistico. L’opera di James Clavell narra dell’arrivo del professore Mark Thackerey in una scuola di basso rango di Londra. Lui, un giovane insegnante nero con un passato da ingegnere, interpretato ottimamente da un solido Sidney Poitier, si prende carico di redimere una classe di ragazze e ragazzi poco attenti durante le ore di lezione. Dopo essere entrato in contatto con la classe assegnatagli ed aver capito che con il tipo di educazione che i suoi alunni hanno ricevuto sino ad allora c’era poca speranza di instaurare un rapporto proficuo, Thackerey capisce che la situazione deve essere affrontata con un piglio prima gentile e solo successivamente paternalistico ma allo stesso tempo rigido e di polso; forse proprio nell’aspetto dell’educazione emergono alcuni limiti di questo film. La questione razziale viene affrontata solo con poche frasi di circostanza del tipo “ma chi si crede di essere quella faccia di nero fumo” e con lievi affondi sociali che, se migliorati a livello di messa in scena (più che di scrittura) avrebbero potuto ben illustrare sia le difficoltà di un giovane proveniente dalla Guyana Inglese di introdursi in un ambiente composto solamente da bianchi, sia la sostanziale solitudine di un gruppo di ragazzi borderline. I cinquant’anni della pellicola si sentono tutti e si vedono anche nella scelta di locations certamente adatte al contesto dimesso della scuola londinese, ma poco dinamiche se accostate al modo di girare di Clavell. Rimane un bel momento, tipicamente sixties, la visita al Victoria & Albert Museum, realizzata con montaggi di fotografie, dissolvenze incrociate e schermi divisi.
Ben altra aria si respira nel film di Mark Lester. Classe 1984 è una scheggia impazzita che vaga nel panorama americano dei primi anni ’80, è una spirale di violenza parossistica, nera, punk e volgare, è un portare sopra le righe le istanze delle gang di Arancia meccanica e de I guerrieri della notte. Anche qui, come nel film appena analizzato, le prime scene sono dedicate all’introduzione del protagonista, in questo caso il nuovo professore di musica, Andrew Norris (Perry King) della Lincoln High School. L’altro protagonista adulto è il professor Corrigan (un bravissimo Roddy McDowell), colui che pagherà più di tutti le angherie e i soprusi compiuti da una gang di punk guidata dal folle Peter Stegman (Timothy Van Patten). La violenza perpetrata nella aule scolastiche assume forme sempre più violente, fino ad arrivare allo stupro subito dalla consorte incinta del professor Norris. Mark Lester con questo film vuole mostrare uno spaccato di vita violenta in una scuola di periferia americana, ma allo stesso tempo rende tutta l’operazione come se fosse ambientata in un universo parallelo, in una timeline differente dalla nostra (ricordate come quando Marty McFly, in Ritorno al futuro parte II si trova nel 1985 alternativo?). Il riferimento al film di Robert Zemeckis non è casuale visto che nel cast, e naturalmente nella schiera dei buoni, è presente un giovanissimo e paffuto Michael J. Fox. La scuola vista da Tom Holland (autore del soggetto del film) è distrutta dalle fondamenta, in un groviglio di vandalismo e autolesionismo, che trova il suo apice nel finale: un tributo al Carrie kinghiano/depalmiano nel quale alla platea scolastica è concesso l’onore-onere di diventare spettatrice silenziosa di una tragedia.
Un altro cambio netto di registro lo avvertiamo con Arrivederci ragazzi. Il film di Louis Malle, trionfatore alla kermesse veneziana del 1987, è un drammatico racconto di affinità in un collegio francese durante l’occupazione nazista. Malle riesce ad infondere nel film l’idea di guerra e del nazismo senza concedere troppo per quanto concerne il patetismo – ed è semplice farsi prendere la mano quando si ha a che fare con dei bambini come protagonisti – o al livello delle falsità storiche (chi ha detto Benigni?). Austerità è la parola d’ordine che usarono anche i quotidiani dell’epoca per descrivere questa intima storia disperata: in un collegio gestito da religiosi nei dintorni di Parigi, dove famiglie benestanti mandano i loro giovani eredi per protezione dalla guerra, arrivano nuovi studenti, in realtà ragazzi ebrei sotto falso nome. Julien (Gaspard Manesse) e Jean (Raphael Fejtö) diventano amici dopo un periodo di scontro relativo dettato dall’invidia; un connubio fatto di sguardi, azioni, saluti, cultura, musica e prese in giro. La non banalità di un regista come Malle la possiamo vedere anche dal fatto di aver dato ad un giovane sguattero ladro il ruolo della spia. La corruttibilità del genere umano e ancor di più dei giovani è un tassello che rende ancor più realistica questa bella pellicola da riscoprire.
L’attimo fuggente, quarto ed ultimo film che analizziamo in questo articolo collettivo, è forse il film più famoso che viene citato per quanto concerne l’ambito scolastico ed i difficili rapporti tra generazioni. Robin Williams mattatore assoluto, una schiera di ragazzi talentuosi tra cui Ethan Hawke e Robert Sean Leonard ed un padre che non acconsente al proprio figlio di cavalcare i propri sogni, sono gli ingredienti perfetti per un successo assicurato. Ambientato nel 1959, l’opera di Peter Weir può essere letta come il passaggio dall’età giovanile all’età adulta: il destino ha assegnato ai giovani il professor Keating, loro si sentono attratti dalla poesia, la poesia fa scoprire loro i piaceri della vita e della libertà. Il collegio Welton, sotto quest’ottica, assume il
significato di un passato che grava e soffoca le aspirazioni dei suoi giovani abitatori
come ha detto Alberto Morsiani. Se l’istituzione scolastica, prima dell’arrivo del professor Keating, “uccideva” i propri talenti, allora anche la vita, nei suoi percorsi più strani e deviati, porta via colui che più di tutti aveva sognato la ribellione all’istituzione scolastica-paterna. Weir, oltre all’impatto frontale coi sentimenti, riesce anche ad ottenere dai suoi giovani attori (i veri protagonisti di questa pellicola) giochi di sguardi profondi e mai banali che riescono a rubare anche la scena a Williams, grimaldello della storia, ma non il vero protagonista.
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