A questo punto non ci saranno più confini tra artigianato, scultura e pittura; tutti questi aspetti saranno una cosa sola: Architettura
– Bruno Taut –
Il Bauhaus fu una delle prime, nonché più importanti, scuole d’arti e mestieri. Fu fondato nel 1919 a Weimar, sulle ceneri della vecchia Accademia di Belle arti e della scuola d’arti applicate Kunstgewerbeschule, per iniziativa dell’architetto Walter Gropius, il cui intento era quello di educare e formare progettisti preparati sia dal punto di vista tecnico che teorico.
Il termine Bauhaus fu ideato da Gropius e si rifà al vocabolo medievale Bauhutte, che indicava la loggia dei muratori. E’ evidente come il principio ispiratore sia riconducibile all’Art and Crafts, corrente artistica e culturale di fine Ottocento che prende le mosse dalle teorie di John Ruskin e William Morris i quali, rifiutando il mondo legato alla rivoluzione industriale e tutto ciò che essa comporta, puntavano all’esaltazione dell’artigianato e della manualità dell’artista.
Artigianato senza snobismo di classe, senza barriere tra formazione da artista e formazione da tecnico, unione tra sensibilità estetica e design funzionale: questo era il pensiero iniziale posto a fondamento della scuola. Quasi un ritorno all’Art and Crafts, dove la condizione stessa dell’essere un prodotto artigianale era già di per sé una garanzia di qualità indiscussa.
Muovendo da queste riflessioni nel Bauhaus si sperimentò la costruzione di una cultura artistica che non fosse elitaria, ma che appartenesse al popolo, e proprio questo fu il clima di nascita della scuola.
Non si è mai propriamente stabilito uno “stile Bauhaus”, ma le idee venute fuori dalle sue fucine fecero sì che le forme derivate dalla geometria e dall’astrattismo fossero l’emblema ed il codice dei disegni e delle opere prodotte dagli artisti-artigiani della scuola. Tale stile si basava sull’assenza di ornamenti, sull’evidenza delle proprietà dei materiali scelti, con una continua ricerca estetica in termini di armonia e funzionalità.
Uno dei più considerevoli meriti della direzione di Gropius fu quello di radunare e porre a confronto molte delle correnti figurative presenti in quel periodo storico, chiamando ad insegnare Paul Klee, Wassily Kandinsky, Adolf Meyer, Mies van der Rohe, Josef Albers, Johannes Itten.
Grazie alla presenza di queste differenti personalità la scuola sosteneva ed orientava ogni nuova ricerca formale di settore, mediando le differenti tendenze dei vari corsi a cui facevano capo gli artisti-insegnanti. Quindi non un singolo maestro a guida di un’intera scuola, ma un insieme di artisti eterogenei che portavano avanti la sperimentazione e guidavano gli studenti nella ricerca di un linguaggio che connettesse astrazione e meccanizzazione.
Nel 1925 Gropius sposta la scuola a Dessau a causa di critiche provenienti da ambienti politici di estrema destra; il Bauhaus fu accusato di degenerazione culturale. Ma proprio grazie al trasferimento Gropius ebbe la possibilità di realizzare l’edificio sede della scuola, esemplare armonia tra razionalismo delle forme e della struttura.
Esso non è il semplice accostamento di geometrie elementari, ma è un oggetto dinamico, non composto da figure chiuse e unitarie, ma emblema della sintesi degli ideali della scuola, quasi una dichiarazione formale, con i volumi dei vari settori di diversa dimensione, collegati da elementi allungati. Il risultato fu una composizione elegante di superfici vetrate e volumi chiusi, il ritmo delle aperture restituiva l’articolazione degli spazi interni e consentiva di illuminare i diversi ambienti in vario modo.
Nel 1933 avvenne la chiusura definitiva della scuola, ad opera del governo nazista che la considerava una copertura per i comunisti. Alcuni professori e artisti andarono in America, riuscendo a far sopravvivere l’anima ideologica del Bauhaus.
La sua metodologia didattica ebbe ripercussione internazionale, non era rigida e prestabilita come quella accademica, ma dinamica ed aperta ad ogni nuovo stimolo valido. Il principio di Gropius era quello di “imparare facendo esperienza”, il tutto non tralasciando l’aspetto fondamentale della produzione.
Durante i laboratori si puntava al lavoro in équipe, la cooperazione, infatti, permetteva un continuo scambio di idee individuali, possedendo sicuramente un valore aggiunto rispetto la somma dei singoli pensieri dei singoli autori, e la didattica si basava, inoltre, sulla collaborazione tra maestri e allievi.
Le materie insegnate riguardavano pittura, scultura, architettura, tipografia, design industriale; la storia dell’arte non era contemplata tra gli insegnamenti poiché si immaginava che tutto ciò che veniva creato lo era per la prima volta, senza tener conto degli esempi precedenti.
Gli allievi iniziavano il loro percorso con un corso base semestrale, propedeutico agli anni successivi, che li conduceva a disimparare i modelli accademici e sperimentare con materiali naturali e forme astratte; questo affinché ogni studente potesse dar sfogo al potenziale espressivo proprio e più inconscio. In seguito si svolgevano corsi della durata di tre anni di disciplina artistica specifica, seguiti poi da un programma di perfezionamento, durante il quale venivano apprese istruzioni su architettura e tecnologia della produzione seriale.
Ogni allievo studiava sotto la guida di due maestri, un maestro artigiano ed uno teorico, poiché era difficile incontrare artisti con sufficienti conoscenze tecniche e artigiani che sapessero ben affrontare i problemi d’arte.
La ricerca perseguiva il miglior rapporto possibile tra forma e materia e funzione dell’oggetto, tra forma e produzione, con l’obiettivo di conferire un valore estetico ai processi di produzione industriale.
Gli oggetti pensati e progettati all’interno della scuola incuriosivano gli industriali che concedevano alla scuola i brevetti e iniziavano la produzione; in questo modo la scuola riceveva dei compensi che potevano diventare fondi per pagare gli studenti.
L’artigianato era il mezzo d’apprendimento per preparare i progettisti moderni ad un rapporto qualitativamente alto con i prodotti industriali. Artisti ed artigiani collaboravano insieme, lasciandosi alle spalle le tradizioni, per creare prototipi da produrre in serie, progettando con sentimento e ricercando l’unità e la sintesi di tutte le arti nell’opera d’arte totale: un edificio, che sintetizzasse i valori di pittura, scultura e architettura.
L’architettura, o espressione ultima, riportava ad unità organica la questione tra struttura e decorazione.
Uno degli ambiti più sviluppati della scuola era il design. Gli oggetti prodotti erano funzionali, dal design moderno, semplice e geometrico, creati per essere alla portata anche della gente comune nella vita quotidiana. Ogni manufatto era espressione propria del suo creatore, con la sua sensibilità per il colore e per la forma.
Il più grande merito della scuola fu la capacità di far convergere attorno ad un’unica esperienza didattica energie e personalità di differenti campi creativi, che essendo sempre stati autonomi l’uno dall’altro, vivevano con questa esperienza un momento di intesa ed armonia.
L’architettura nell’arco delle ultime generazioni è diventata debolmente sentimentale, estetica e decorativa… noi rinneghiamo questo tipo di architettura. Noi miriamo a creare un’architettura organica, chiara, la cui intima logica sarà raggiante e nuda, libera da mostrine e inganni sottesi; noi vogliamo un’architettura adatta al nostro mondo di macchine, di radio e automobili veloci, … con la crescente forza di nuovi materiali… e con nuova audacia dell’ingegneria, la pesantezza dei vecchi metodi di costruzione sta facendo largo a una nuova leggerezza ed ariosità.
-Walter Gropius –
Donatella Incardona
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