Punto di Fuga di Lucia Biagi
C’è una cosa grossa da dire su questa graphic novel, che viene fuori anche dall’intervista qui di seguito: questa non è una storia “per femmine”.
Lucia Biagi lo dice, a un certo punto, che esiste “un vago pregiudizio sul fatto che le ragazze scrivono storie per femmine, mentre nessuno si fa problemi sull’equivalente maschile”. Ma poi aggiunge che svariati ragazzi l’hanno letto e le hanno scritto entusiasti. Eh, certo. Lucia Biagi è riuscita a raccontare l’interruzione volontaria di gravidanza senza rischiare di venire percepita come femminuccia. O come femminista.
Per un uomo, l’argomento è molto particolare. E da ragazzi, fra i 20 e i 25 anni, tutti noi ci abbiamo riflettuto molto. Perché quando succede – non l’ho mai provato sulla mia pelle, ma alcuni amici sì – il maschio è spesso in bilico fra la ferma convinzione di non voler diventare padre e la consapevolezza che il corpo in questione non è il suo, che l’interruzione di gravidanza non deve subirla lui.
Anche la messa in discorso di questa dinamica è di una delicatezza e di una difficoltà estreme, soprattutto a quell’età, quando l’egoismo ancora bambinesco del poter fare quello che ti pare inizia a scontrarsi con un sistema di valori adulti che fanno capolino tra i pensieri di chi sta crescendo.
Insomma: un argomento complicato per un uomo, a cui mancano alcune categorie e, addirittura, un vero e proprio lessico per ragionarci sopra. Ed è proprio per questo che una graphic novel così si rivolge anche, se non soprattutto, ai maschi.
Il narratore è il fidanzato di Sabrina, la protagonista: una ragazza poco tratteggiabile, per usare un eufemismo. Lui parla e si comporta come se non la capisse, ha davanti un muro indurito dalle circostanze e dal carattere di lei, ma alla fine è quello che la capisce meglio. E’ il nostro simulacro e, come tale, ci insegna una bella lezione: non bisogna essere spaventati dal corpo degli altri, né temere di essere indiscreti o fuori posto nel provare a metterlo in discorso.
Non è una storia per femmine, dicevamo. E non è nemmeno una storia per maschi. E’ una storia e basta, dura e delicata al tempo stesso, un viaggio in giallo e blu dentro alla coscienza collettiva, il lessico e i pregiudizi di una generazione di 20-30enni che, come dice Lucia Biagi, non vogliono diventare del tutto adulti. E, in piena onestà intellettuale, non penso che sia poi una scelta così sbagliata.
Jacopo Cirillo
Punto di fuga è la storia di Sabrina, una ragazza di 25-26 anni come tante che vive in una non meglio precisata città italiana, tra uscite con gli amici e lavori precari. Tutto sembra filare liscio fino a quando Sabrina non scopre di essere incinta e di non essere assolutamente pronta. Non ha dubbi, non vuole tenere il bambino. Da questa decisione dura ma ferma ha inizio il percorso di crescita e di cambiamento di Sabrina e, insieme a lei, del microcosmo che le ruota attorno.
Lucia Biagi, in arte Whena, classe 1980, pisana, residente a Torino. Una laurea in ingegneria, una tesi sull’ elaborazione delle immagini e una grande passione per i fumetti. Quando Lucia Biagi ha capito che il fumetto da passione poteva diventare una cosa seria, un lavoro su cui mettere la propria firma?
Ho iniziato a leggere fumetti quasi per caso, ovviamente da piccola guardavo molti cartoni animati e, quando i primi manga stavano sbarcando in Italia, ho iniziato a leggerne sempre di più. Sono un’appassionata di cultura giapponese, per me rimangono i migliori narratori per immagini. Con il tempo ho ampliato e cambiato i miei gusti e ho iniziato anche a leggere il fumetto europeo e americano underground e da allora non ho più smesso. Ovviamente stando sempre immersa nei fumetti, ho cominciato a voler raccontare e creare anche io i miei personaggi, soltanto all’università però ho capito che volevo provare a farne un vero mestiere. Mi sono iscritta ad un corso di fumetto a Bologna e ho provato a far uscire i miei fumetti dalla mia cameretta…
Il fumetto come forma di comunicazione … cosa rappresenta per te il mondo del fumetto… voglio dire che cosa ti affascina della sua forza espressiva?
Sono convinta che sia un mezzo molto potente. Chiunque può avvicinarcisi e cimentarsi nella creazione di un fumetto senza bisogno di grandi mezzi. Ed è una tecnica narrativa coinvolgente, in cui il lettore è parte attiva del processo perché la sequenza di vignette prende significato solo negli occhi di chi legge. In sostanza per me è l’equilibrio perfetto: offre la presenza visiva più che in un libro e offre un ruolo attivo a chi ne usufruisce più di quanto farebbe un film.
Quanto è difficile farsi spazio in questa realtà? Parliamoci chiaro, pensi che sarebbe stato più semplice se fossi stata un uomo?
E’ difficile come in ogni altro ambito creativo, oltre al talento serve molta costanza e bisogna saper sfruttare al meglio i social network per promuoversi. Tra parentesi io odio questa parte del lavoro! Non so se gli uomini abbiano o meno vita più facile , sicuramente il mondo dei fumetti è a maggioranza maschile rispetto a quello della letteratura in generale. Forse le difficoltà sono le stesse ma credo che esista un vago pregiudizio sul fatto che le ragazze scrivono storie “per femmine” mentre nessuno si fa problemi sull’equivalente al maschile. Con Punto di fuga me la sono cercata! Ma, per fortuna, svariati ragazzi l’hanno letto e mi hanno scritto entusiasti.
Una curiosità… perchè proprio Whena come nome d’arte?
Il nome è nato molti anni fa quando dipingevo muri, era la mia tag. L’avevo scelta per una serie di motivi astrusi e perché mi piacevano quelle lettere e quindi non ha un significato specifico. Ora lo uso sempre meno, per le autoproduzioni e i miei amigurumi (l’arte giapponese di lavorare all’uncinetto o a maglia piccoli animaletti o creature antropomorfizzate NdR)e per il libro ho preferito firmarmi solo Lucia Biagi.
Veniamo al tuo ultimo lavoro, la grapich Novel Punto di fuga, edita da Diabolo Edizioni. Una storia vera per un tema molto scottante: una ragazza comune di 25 – 26 anni che, a fronte di una gravidanza non preventivata, sceglie l’ IVG (interruzione volontaria di gravidanza NdR). Perché trattare un argomento così controverso? Scusa non hai pensato di renderti la vita difficile con le tue stesse mani?
Volevo uscire dall’autobiografia, volevo una storia forte e la questione dell’IVG era un tema che avevo interesse a sviluppare. Mi sono sempre chiesta come mi sarei comportata se mi fossi trovata in una situazione del genere; conosco ragazze a cui è successo e credo di rientrare nella categoria delle donne che non si sentono portate a essere mamme.
E’ stato difficilissimo! Ho dovuto scrivere e riscrivere interi capitoli molte volte, cercando di mantenere un equilibrio fra l’approfondire i sentimenti della protagonista e il rischio di non risultare troppo pesante o retorica. Ma costruire ad hoc il carattere della protagonista, Sabrina, così istintiva e pragmatica, mi ha aiutata molto.
Ma sotto sotto c’è qualcosa di te in Sabrina e nei personaggi descritti nella storia?
Ho inventato tutti gli eventi del racconto ma ho pescato a piene mani dai caratteri delle persone che conosco. C’è molto di me e dei miei amici in ogni personaggio del libro. E anche l’atmosfera, le sensazioni e l’atteggiamento sono molto vicini al mio mondo. Non mi vergogno ad ammettere che sono ancora nel limbo dei 20-30enni che non vogliono diventare del tutto adulti, e ora di anni ne ho 34, ehm.
Ogni capitolo inizia con delle frasi riportate in prima persona da una voce narrante apparentemente anonima? Dopo varie ipotesi, mi dici di chi si tratta?
Il narratore doveva essere anonimo, poi, con l’aiuto del mio editore, ci siamo scervellati per trovare una soluzione più adatta al libro. Abbiamo aggiunto delle frasette che fanno capire che in realtà è il fidanzato di Sabrina a raccontare tutto. In fondo Stefano è la persona che la conosce meglio e che aveva la possibilità di osservarla e capirla da vicino, con i limiti imposti da lei ovviamente, che tende a rimanere abbastanza criptica.
La tua storia si carica di oggetti che vanno a dare concretezza alla vita dei tuoi protagonisti? Sabrina seziona ossessivamente le cose che la circondano? Spiegaci meglio.
Dal momento che avevo fatto la scelta di non rendere mai troppo manifesti i pensieri di Sabrina, era indispensabile sfruttare al massimo il lato visivo. E questo ha significato che Sabrina non ha solo un paio di scarpe e un cellulare qualunque ma ha delle Reebok bianche e un cellulare vecchio con la tastiera a scorrimento, si tratta di oggetti specifici che la rappresentano. Poi ha l’ossessione di smontare e analizzare le cose che le stanno intorno, una vera e propria ossessione per gli oggetti e il loro funzionamento.
Veniamo all’aspetto grafico. Perché la scelta della bicromia, giallo – blu?
Principalmente i miei lavori a fumetti erano in bianco e nero, quindi non ho mai usato molto il colore se non a livello minimo e in modo molto grafico. Molti anni fa avevo visto dei manga in bicromia, più di recente stampe in Risograph, e mi era piaciuto molto il risultato che si otteneva. Ho deciso di sperimentare con il giallo e il blu perché mi sembrava che si adattassero bene all’atmosfera del libro, un po’ fredda e acida.
Cosa c’è in cantiere nel futuro di Lucia Biagi, in arte Whena?
Sto scrivendo con molta calma (sono solo all’inizio) una nuova graphic novel, poi vorrei portare avanti le mie guide turistiche a fumetti e sto facendo lavoretti di illustrazione di vario genere. E sono lieta di annunciare che Punto di Fuga uscirà a breve in Francia per Çà et Là, quindi avrò molte scuse per andare a qualche festival di fumetto in Francia. Senza contare che ho la mia libreria di fumetti a Torino, Belleville Comics, da mandare avanti, non posso continuare a scaricare tutto il lavoro sul mio fidanzato!
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