La lunghissima e tormentosa storia della rappresentazione di Dio

Si può o non si può dipingere il volto di Dio, è arroganza o devozione tentare di farlo?  Come possiamo noi umani rappresentare ciò che non si è mai palesato? Siamo in odore di eresia o in profumo di misticismo quando preghiamo davanti a immagini antiche e bellissime di Angeli, Annunciazioni, Natività, ai volti severi di Dio che ci osservano dall’alto delle absidi o a quelli sofferenti di Cristo mentre va sulla Croce? Sono secoli e secoli che l’occidente si interroga su questo tema, e non certo pacificamente.

Già nel 730 l’Imperatore bizantino Leone III Isaurico proibì con un editto il culto delle immagini, pare per contrastare l’accusa di idolatria che i musulmani proferivano contro i cristiani, o forse per aumentare il proprio potere politico. Resta il fatto che l’Impero in quegli anni era veramente pressato dall’avanzata degli Arabi che, approfittando di un periodo di anarchia dell’Impero, assalirono Costantinopoli tentando poi la conquista dell’Europa centrale.

Il patriarca di Costantinopoli Germano si oppose con tutte le sue forze all’editto di Leone III, lanciandone lui uno a sua volta, in cui spiegava la ragione e la forza della rappresentazione sacra con queste parole: «Perché ci sentiamo spinti a rappresentare ciò che è proprio della nostra fede e cioè che Cristo non si è fatto uomo solo apparentemente, come un’ombra (…), ma realmente e veracemente, perfetto in tutto eccetto il peccato che il Nemico ha seminato in noi. In ragione di questa incrollabile fede in Cristo, noi rappresentiamo l’espressione (charaktéra) della sua santa carne sulle icone e a queste tributiamo onore inchinandoci davanti a loro con la dovuta riverenza, perché mediante queste noi veniamo richiamati alla sua incarnazione vivificante e indicibile».

Però alla fine, nonostante l’Editto di Germano e la disapprovazione totale del papaGregorio II, l’Imperatore Leone III, sostenuto dai vescovi dell’Asia Minore, restò fermo nelle sue decisioni, e dette inizio a un periodo di distruzioni e persecuzioni: icone, affreschi e reliquie dei santi furono distrutte e smembrate, e chi si opponeva veniva perseguitato, o destituito e allontanato, e i suoi beni confiscati. Per contrastare la distruzione delle immagini, il Papa convocò nel 731 un sinodo a Roma, in cui decretò che chiunque distruggesse, insultasse o disonorasse le sacre immagini non potesse più ricevere il corpo e il sangue del Signore, per essere infine escluso dalla Chiesa.

Il decreto del Papa però ebbe il solo risultato di inasprire gli Iconoclasti, che spogliarono i monasteri dei loro beni perseguitando i monaci, e arrivarono a torturare e decapitare chi teneva immagini sacre, mentre ai pittori di icone venivano tagliate le mani: ogni sorta di nefandezze fu perpetrato nel nome del Signore!

Fu solo nel 780, quando la reggenza dell’Impero fu assunta da Irene, madre di Costantino VI Porfirogenito, che i rapporti fra chiesa d’Occidente e d’Oriente si ricucirono. Irene ristabilì il culto delle immagini, cosa che venne definitivamente sancita nel II Concilio di Nicea, da lei stessa convocato nel 787.

In questa prospettiva, anche immaginare Dio, l’inimmaginabile per definizione, è un atto creativo che eleva l’uomo dall’ordinario, realizzandone l’intenso bisogno di spiritualità e innalzandone lo spirito al di sopra della gravità terrena e della dura realtà, verso un Oltre che ne illumina il cammino.

I Cristiani hanno usato le immagini fin dall’inizio della loro storia, realizzando i semplici dipinti delle catacombe, le sculture dei sarcofaghi e le statue del Buon Pastore, ma dopo il II Concilio di Nicea la ristabilita possibilità di raffigurare Dio e tutta la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento ha fatto sì che in tutto l’Occidente fossero creati capolavori sublimi: il Cristo Pantocratore di Monreale, il Trionfo della Morte di Buffalmacco, la Cappella degli Scrovegni di Giotto, le Madonne del Bellini, le Annunciazioni di Simone Martini e Leonardo, le Crocifissioni del Mantegna, il Cristo Risorto di Piero della Francesca, mentre intanto venivano elevate cattedrali che sfidavano la gravità, e conventi e monasteri di proporzioni perfette. L’elenco sarebbe lunghissimo e inutile, ma l’Occidente non sarebbe quello che è, nel bene e nel male, senza questo immaginario visivo in cui per secoli ci siamo confrontati. Inoltre, oltre a soddisfare un intimo bisogno dell’uomo, la rappresentazione visiva dei momenti più salienti della Bibbia e dei Vangeli serviva a portare la parola di Dio a un popolo composto essenzialmente da analfabeti, e quindi l’arte sacra era anche un potente mezzo di conversione e conoscenza.

Nuove minacce per le immagini sacre si addensarono però a partire dal XVI secolo, quando lo sfarzo eccessivo della Chiesa e dei suoi ministri generò vari movimenti di protesta, soprattutto nell’Europa del Nord. Il primo di questi movimenti fu promosso intorno al 1517 da Martin Lutero, un monaco tedesco che, tuonando contro il lusso sfrenato del papato e la vendita delle indulgenze, dette inizio a una riforma incentrata sulla parola di Dio e sulla morigeratezza dei costumi. Le sue teorie furono ulteriormente elaborate da Giovanni Calvino, che volle sopprimere tutte le cerimonie di culto, l’altare, i crocefissi, sostenendo che nelle chiese non dovevano esserci né ornamenti né immagini. Da qui nuove distruzioni di dipinti e suppellettili sacre, e guerre religiose, che peraltro nascondevano lotte di potere e lacerarono l’Europa del XVI e XVII secolo. Uccisioni, stragi, dolore, dalla tristissima notte di San Bartolomeo, quando tra il 23 e il 24 agosto del 1572 i protestanti francesi, detti Ugonotti, furono massacrati a migliaia su ordine di Caterina de’ Medici, alla Guerra dei Trent’anni, che infiammò l’Europa Centrale dal 1618 al 1648.

Finalmente la pace di Vestfalia del 1648 pose fine a tali nefandezze, confermando che i cittadini potevano scegliere fra tre culti, quello cattolico, quello calvinista e quello luterano. Così i Protestanti si tennero le loro chiese bianche e pulite, mentre i Cattolici mantennero le loro ricchissime di candelabri, statue, colonne dorate, dipinti raffiguranti Dio, Angeli e Santi, fumi d’incenso e senso del peccato.

In compenso, i pittori del Nord Europa, non potendo più dipingere soggetti sacri, si specializzarono in ritratti, scene di vita, paesaggi e nature morte, ottenendo esiti altissimi. Pensando a Rembrandt, Vermeer o a Jacob J. Ruisdael viene proprio da dire che, come sempre, non tutto il male viene per nuocere.

Per qualche secolo si andò avanti abbastanza tranquilli (almeno in campo artistico) fino al Novecento, quando le grandi dittature sorte nel cosiddetto Secolo breve decisero di prendersela anche con l’Arte. Questa volta non fu la rappresentazione del Divino a causare le nuove distruzioni, bensì una concezione chiusa e strumentale dell’arte, che avrebbe dovuto rappresentare solo certi valori tradizionali: la bellezza, la forza, la salute, la razza! Di contro, tutto ciò che era nuovo (e in quei fervidi anni di nuovo ce n’era davvero tantissimo, ovvero Cubismo, Primitivismo, Dadaismo, Espressionismo…) era considerato degenerato. Così, migliaia di opere vennero confiscate e distrutte, spesso in roghi purificatori, e in questo delirio si sono perdute opere di Chagall, Klee, Grosz, Kandinsky, Mondrian, Kokoschka, Dix, e molti altri. Tutto questo accadde non solo in Germania, ma anche in Russia: dato che tutto ciò che non era rappresentazione ufficiale del potere era da considerare arte degenerata, il regime Sovietico non si limitò a distruggere opere d’avanguardia o considerate borghesi, ma furono dati alle fiamme anche monasteri e icone antichissime, e gli ordini religiosi vennero cancellati e perseguitati.

Con la fine delle grandi dittature il mondo sembrava ormai libero da queste follie, invece nei primi anni di questo secolo una nuova guerra di religione ha riportato il mondo a una sorta di Medio Evo, ancora Mussulmani contro Cristiani, come secoli e secoli fa. Possibile che niente si impari dalla storia, e che l’uomo abbia solo fatto finta di evolversi, e più di mille anni siano passati invano?

E così, siamo di nuovo a distruggere le immagini di Dio o di Buddha (tocca anche a lui in questo giro!)

Rispuntano le accuse di idolatria, la religione islamica continua a negare la possibilità di raffigurare Dio, anche se nel Corano non si trova un divieto assoluto, ma si sa, l’integralismo è chiusura e incapacità di leggere oltre il proprio sguardo. L’Arte Islamica, aniconica e meravigliosa, basata su intrecci geometrici e decori fitomorfi e calligrafici di raffinatezza estrema, che non rappresentano Dio ma lo evocano con parole tracciate sapientemente, viene opposta all’Arte Occidentale, allargando un campo di lotta e sopraffazione fra gli uomini.

I seguaci dell’Isis o i Talebani distruggono anche antichissimi monumenti, solo perché questi reperti sono testimonianze di un passato che ancora non venerava Allah.

Ecco allora le magnifiche statue colossali di Buddha del III e IV secolo annientate nella valle di Bamiyan in Afghanistan, sotto gli occhi del mondo impotente, e i Musei di Mosul e Ninive devastati e depredati. Lo Ziggurat di Nimrud è stato spianato, mentre a Palmira, splendido sito archeologico i cui principali monumenti sono stati fatti saltare in aria con l’esplosivo, è stato ucciso l’archeologo siriano Khaled al-Asaad, che avendo salvato molti dei reperti dell’antica città è stato accusato di aver promosso con quest’azione l’adorazione di statue, e quindi di esser lui stesso un idolatra!

Giacomo Leopardi scrisse nel suo Zibaldone: «Trista quella vita che non vede, che non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione».

 

 

Claudia Menichini
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