Ulisse, il mare e il dio Posidone

Non conviene scherzare col mare. Né offendere divinità e mostri marini, spesso imparentati tra di loro, gelosi l’uno dell’altro, molto suscettibili, tanto da far scoppiare tumulti e guerre. Il mare non sta fermo mai, ed è grande come il mondo. Lo sapevano bene gli antichi che non si poteva offendere il suo re, Posidone, in nessun modo; la sua ira sarebbe stata devastante. Il dio del mare era anche signore dei terremoti, che muovono la terra con le loro onde. Credevano i Greci che le onde degli oceani in tempesta che si frangevano sulle coste facessero tremare anche la terra. E che la piena dei fiumi poteva devastare gli argini più forti, anche loro inghiottiti nel fondo di grandi gore che riportano l’acqua fin dentro le viscere della terra.

Posidone con tridente Placca Corinzia, 550-525 AC, da Penteskouphia (Corinto).

Anche il Mediterraneo per gli antichi era un fiume, un braccio di mare più lungo che largo. Che era facile navigare con navi di legno, stando sempre sotto costa, puntando la prua da Ovest a Est, o viceversa. Erano le brezze a spingere le vele. I marinai che lo volevano attraversare, prendendo la direzione dalla sponda nord a quella sud, affrontavano mille pericoli, perché in mare aperto c’erano procelle, tempeste, sfracelli di acqua, bora, maestrale, venti impazziti che stracciavano le vele. E i mostri marini potevano sorprendere i naviganti in ogni momento, di giorno e di notte.

Il re di Itaca, Ulisse, sapeva la potenza del mare e la temeva. Ma ne fece buon uso, almeno una volta, prima di perdersi nel decennale viaggio di ritorno verso casa dopo la guerra di Troia. Era furbo Ulisse; era nato per pensare strategie. Lui, non ci voleva nemmeno andare in guerra, una guerra futile per una bella donna, e per questo si era addirittura finto pazzo. Gli altri sapevano menare le mani, squartare i corpi dei nemici, uccidere con la spada, la lancia e a mani nude, ma erano spesso bruti e ciechi, come i fratelli Agamennone e Menelao, generali buoni solo alla battaglia di sangue.

Posidone è benigno quando crea nuove isole e regala mare calmo. Mette nuvole bianche in cielo che trattengono l’acqua. Se si offende, o forse peggio, se si sente ignorato, inizia a battere con tutta la sua forza il fondo del mare col tridente per suscitare vortici caotici, uragani, tempeste, nuvole nere, naufragi di uomini e affondamenti di navi. Il tridente di Posidone è un’ascia modificata con tre punte, perché il mare è un terzo della terra, credevano i Romani, o perché di acqua ce ne sono tre tipi: mari, ruscelli e fiumi. O forse perché l’acqua ha tre proprietà: è liquida, feconda e potabile. Il tridente è un simbolo di forza e bellissimo come la forca che i contadini usano per rivoltare la paglia. Il mare è perciò buono e cattivo, secondo la confidenza che gli uomini si prendono verso la sua vastità e la sua profondità.

Per ordine di Zeus, re degli dei dell’Olimpo, Posidone aveva costruito le mura colossali di Troia, ma lo stolto re Laomedonte, non lo aveva ricompensato come promesso. Ulisse sapeva questo? Sapeva che Posidone era irato con i Troiani? Ne poteva approfittare, con uno stratagemma? Certo ebbe l’idea di usare il mare e il suo Dio per vincere una guerra che vedeva i Greci impantanati sulla spiaggia, in un assedio senza speranza di rientro a casa.

«Questa è macchina contro le nostre mura innalzata,
e spierà le case, e sulla città graverà:
un inganno v’è certo. Non vi fidate, Troiani.
Sia ciò che vuole, temo i Dànai, e più quand’offrono doni.»

L’entrata del Cavallo di legno a Troia. Domenico Tiepolo (1773), dall’Eneide di Virgilio

Ma per chi era il dono? Laocoonte, sacerdote di Posidone, vedeva giusto. C’era un inganno nel dono dei Greci, noti per essere mentitori.

Gli storici sono indecisi nel credere se la macchina fosse una grande nave o un cavallo di legno. Il racconto poetico preferisce il cavallo, per un motivo importante e molto moderno. Ulisse è il primo degli strateghi, quelli che vincono le battaglie con la testa e non menando le mani. Oggi nessun potente del mondo fa a meno dei think tank, dove menti strategiche pensano, sapendo bene che qualsiasi strategia deve essere credibile per essere vincente. Chi non vorrebbe Ulisse accanto a sé?

Il re di Itaca, voleva rendere credibile l’idea che lui e tutti gli altri greci erano ripartiti con le loro mille navi per tornare a casa. Il viaggio sarebbe stato lungo e i nocchieri avevano bisogno che il mare fosse calmo; dopo dieci anni di guerre, era bene tornare a casa velocemente. Il dono quindi non era per i Troiani. Perché mai i Greci in fuga dovevano fare un regalo ai rapitori di Elena, dopo averli combattuti per dieci anni?

Il dono votivo era dedicato a Posidone, re del mare e inventore del cavallo, che lui stesso aveva creato battendo il suo tridente in terra. Per sicurezza, Ulisse aveva lasciato accanto alla macchina di legno un certo Sinone, che piangeva dicendo che i compatrioti lo avevano accusato di tradimento e per questo non lo volevano nel viaggio di ritorno in patria. Lo lasciavano ai suoi nuovi amici, i Troiani.

Laocoonte cercò di prevenire il peggio, scagliando la lancia contro il ventre del cavallo che risuonò come pieno. In quei momenti cruciali, di incertezza, che animo avevano gli armati greci nascosti dentro il ventre del cavallo? e che cosa pensavano i trepidi concittadini di Cassandra che urlava inascoltata? Pazzi che fate? non aprite le porte di Troia. Moriremo tutti.

Gruppo di Laocconte. Musei vaticani [CC BY-SA 4.0]

La soluzione venne ancora dal mare e per volere del suo terribile dio. Uscirono dall’acqua come furie due enormi serpenti marini, Porcete e Caribea; si avvinghiarono ai figli del sacerdote per strangolarli. Laocoonte cercò di accorrere in loro aiuto ma fu anche lui stritolato. Il terribile Posidone era offeso anche con lui che si era sposato contro la volontà divina e i serpenti erano la sua punizione. I troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura.

Ulisse e il mare, quindi erano alleati e amici. Fino alla prossima offesa a Posidone, a uno dei suoi innumerevoli figli, quell’essere mostruoso di Polifemo, generato con la ninfa marina Toosa. Il chiacchierone Polifemo fu giustamente accecato per aver mancato il dovere di ospitalità verso Ulisse e i suoi marinai. Ma offendere le divinità marine è sempre pericoloso, e Ulisse vagò ancora in mare per anni, prima di rivedere Itaca.

 

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