Enrico De Angelis: viaggio nella canzone d’autore italiana

PISA – Il 25 novembre presso il Polo Carmignani di Pisa si è tenuta una conferenza sulla canzone d’autore in Italia condotta dal celebre giornalista Enrico De Angelis.
L’evento, organizzato dall’associazione LiberLabor con i contributi delle attività studentesche autogestite dell’Università di Pisa e con la preziosa collaborazione del Club Tenco di Sanremo, voleva omaggiare la parola messa in musica, una tradizione molto viva nel nostro paese e meritevole di attenzioni.
Con il prezioso ausilio di proiezioni di rari documenti visivi è stato possibile viaggiare attraverso la genesi e lo sviluppo di questo genere.

Fred Buscaglione

Fred Buscaglione

L’espressione “canzone d’autore” è entrata nell’uso quotidiano dagli anni Settanta grazie all’intuizione dello stesso Enrico De Angelis, che la coniò nel 1969. Sarebbe riduttivo però parlare di una realtà che ha preso vita a partire da quegli anni: la musica popolare, intesa come unione di parole e musica, è sempre esistita e ha iniziato a prendere ufficialmente coscienza di sé dai primi del Novecento.
Napoli ne è stata la culla spirituale e culturale: nel secondo decennio del Novecento molti intellettuali e artisti si riunivano nei club della città ricreando il tipico stile parigino e dando vita a un nuovo filone culturale. Nacque così la musica napoletana, che si caratterizzava per una forte impronta melodica ed il rigoroso uso del dialetto. Ne è un esempio Reginella, brano del 1917 di Libero Bovio presentato in sala grazie alla proiezione dell’interpretazione di Roberto Murolo nel 1982.
Il primo cantautore della storia italiana fu però Armand Gill. Egli scelse di affiancare alla lingua napoletana quella italiana, creando una sorta di “canzone racconto” che parlasse delle cose semplici della vita. A tal proposito, De Angelis sceglie di ricordare Come pioveva, un brano del 1918 che esprime tutto il dolore di un Paese uscito sconvolto dalla prima guerra mondiale.

Ettore Petrolini

Ettore Petrolini

Negli anni Trenta e Quaranta, facendosi largo nella dittatura fascista, arriva in Italia la musica americana: fu una vera e propria rivoluzione. Il jazz, lo swing e il loro ritmo sincopato si diffusero a macchia d’olio, andando ad arricchire la nostra tradizione melodica.
Le ambiguità arrivano negli anni Cinquanta: da una parte il Festival di Sanremo detta le regole economiche della granitica roccaforte della cultura tradizionale in Italia, dall’altra si afferma un modello di “canzone dal basso”, dove la satira, lo scherzo, la comicità si muovevano a ritmo di swing.
Cantanti come Claudio Villa, Nilla Pizzi, Gloria Cristian si contrapponevano ai precursori del cabaret come Renato Rascel e Alberto Sordi.
Complessivamente, gli anni Cinquanta sono gli anni della mediocrità musicale, pur non mancando le eccezioni.
Renato Carosone è uno di queste: egli si distacca da ogni modello musicale conosciuto in Italia e introduce le basi rock’n’roll per le sue canzoni. Si diverte a prendere in giro, a interpretare a suo modo quei brani drammatici ed essenzialmente vuoti che concorrevano al Festival di Sanremo. Così, nel 1954 reinterpreta in chiave ironica E la barca tornò sola, brano che narrava di una tragedia in mare, inserendo gorgheggi al posto del cantato.
Altro caso straordinario è Fred Buscaglione. Egli intenta una sorta di caratterizzazione della figura del maschio nella quale è facile rispecchiarsi: non più serio e perfetto ma buffone, perdente, pieno di difetti ma con il cuore tenero. Inoltre, Fred Buscaglione crea un nuovo modo di cantare i suoi brani, quasi recitandoli: tutti ricorderanno la sua bellissima Ed eri piccola così del 1958.
Il 1958 si conferma essere un anno importante. Al Festival di Sanremo gareggia con Nel blu dipinto di blu Domenico Modugno. ll suo grido verso il cielo squarcia in un colpo solo anni e anni di musica leggera. Ha un nuovo modo di presentarsi sul palco: si solleva sulle punte dei piedi, apre le braccia come se volesse abbracciare il suo pubblico. Il suo canto risulta nasale, pieno di difetti, poco tecnico. I ritmi sono in quattro quarti, quasi rhythm and blues. Il testo ricorda un quadro di Chagalle: è surreale, bizzarro, astratto, pieno di sentimento e quotidianità. Domenico Modugno è una sintesi tra l’onirico e la popolarità quasi a voler anticipare il clima di rinascita e riscatto che si sarebbe diffuso con l’arrivo del boom economico.
Egli apre inoltre la strada al volto italiano del rock’n’roll composto dai cosiddetti “urlatori” come Mina, Celentano, Morandi e con essi si diffonde il cantautorato come lo intendiamo tutt’oggi.

Roberto Murolo

Roberto Murolo

L’attenzione alle parole, ai testi, diventa centrale: nascono le scuole genovesi (i cui esponenti sono Gino Paoli, De André, Bruno Lauzi, Luigi Tenco), quelle milanesi (Giorgio Gaber, Enzo Jannacci) e molte altre. Il rinnovamento è dato dall’orientamento generale di tendenza: si usano per la prima volta vocaboli inconsueti, quasi impoetici, come posacenere, pattumiere, fossa comune, mi piace vederti soffrire, e frasi come mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare. Tutto è estremamente realistico, tratto da scene affettive della vita.
Le musiche sono dettagliate, quasi ridotte all’osso, perché lo scopo di questi cantautori è quello di ribellarsi al costume e allo stile che si stava affermando con il benessere del paese. Essi vogliono dimostrare che i cantautori sono capaci di parlare di tutto e non solo di amore, vogliono dimostrare che sanno usare le parole perché hanno un cervello e sono colti.
Sarebbe però riduttivo considerare la musica d’autore solo come espressione del mal de vivre del cantautore. Essa sa essere anche ironica e satirica. Sa prendere in giro sé stessa e gli altri.
Quando Enzo Jannacci si dimenava sul palco cantando Vengo anch’io faceva riferimento proprio a questo volto del cantautorato.
L’espressione delle parole in musica, soprattutto durante gli anni Settanta, era capace di spiegare e dare sfogo ai desideri di un’intera generazione, la quale si rispecchiava molto più nella musica che nel bla bla quotidiano della tv al punto che di cantautorato divenne un genere fin troppo diffuso e sentito.
La reazione a questo eccesso di “uomini con chitarrina e voce” fu il trionfo della disco-music degli anni Ottanta.
Poco si salva di quegli anni, a eccezione di un giovane Vasco Rossi, che si impone al pubblico come un personaggio estremamente innovativo. Il suo stile volutamente sciatto, le parole sospese che scoppiavano in una pazzesca carica di energia quasi dionisiaca, contribuirono a costruire quel personaggio di cui ancora oggi sentiamo parlare.
Per motivi di tempo, Enrico De Angelis ha concluso il suo interessante racconto sulla storia del cantautorato in Italia con gli anni Ottanta.
Ci sarebbe molto altro da aggiungere, ma De Angelis è riuscito comunque a donare al suo pubblico un incontro speciale.
La storia di un paese è la sua cultura, la sua cultura sono i costumi e la musica è il mezzo con cui è possibile entrare dentro a tutto questo con un sorriso e una carica emozionale particolare.

Daila Gracci

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