Con Dalì, nei suoi ultimi sogni. Viaggio nella mostra di Palazzo Blu

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PISA – Non è la solita mostra su Salvador Dalì, colma di dipinti e disegni pieni dei simboli ormai troppo conosciuti della sua poetica, ma un’esposizione più profonda, che indaga le opere dei suoi ultimi anni, intrise di echi mistici e del suo incessante lavoro di rivisitazione della pittura classica. E’ alla fine degli anni ’40, al suo ritorno in Europa dopo la lunga parentesi statunitense, che Dalì dà inizio a una nuova fase della sua arte, attraverso un profondo studio del classicismo e del Rinascimento, guardando a Raffaello, a Leonardo, a Michelangelo, a Bramante, al Palladio, alla pittura religiosa. Allo sperimentalismo estremo che segna tutto il dopoguerra, l’artista contrappone adesso un nuovo classicismo, sostenendo polemicamente che più nessuno sa disegnare o dipingere, che tutto risulta livellato e uniformato, imperando la bruttezza e la mancanza di forme. Così Dalì cerca la perfezione celeste che si trova nei pittori rinascimentali, ma contemporaneamente la trasgredisce con il suo occhio eccentrico, usando ambiguità e stravolgimenti temporali, e collocando frammenti di dipinti classici in paesaggi stranianti, bagnati da una luce diffusa, evocativa e mistica.

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Il guerriero o Los embozados. Lorenzo de’ Medici olio su tela, 100×100, 1982, Figueres, Fundaciò Gala-Salvator Dalì

Certo, alcune iconografie consuete, come le stampelle e gli orologi morbidi, fanno ancora capolino, ad esempio nelle sue rivisitazioni pittoriche delle sculture michelangiolesche delle Tombe Medicee. Nel Guerriero (o Los embozados) questi simboli iconografici rendono sottilmente inquietante la potente riproposizione della testa di Lorenzo de’ Medici. Un orologio morbido pende da un ramo d’albero che nasce dall’elmo, una stampella è posta sotto la narice sinistra, alcune nuvole sottili attraversano il volto, cipressi quasi trasparenti nascono sull’elmo, e nelle orbite si riflettono maschere inquietanti: Los embozados, appunto, assassini che nella Spagna settecentesca si coprivano il volto con il mantello, nascondendone la parte inferiore e la spada, che qua spunta dall’orbita con effetto straniante, mentre le sottili pieghe di carne chiara delle palpebre inferiori diventano pieghe del mantello.

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Senza Titolo, dalla Testa di Michelangelo, 75×75, olio su tela, 1982 Figueres, Fundaciò Gala-Salvator Dalì

In Studio di testa maschile nubi impalpabili trascorrono sul volto michelangiolesco, reso con grande forza ma al tempo stesso trasfigurato malinconicamente dalla scelta coloristica, varie nuance di azzurro che lo rendono evocativo come un ricordo lontano.

Un grande orologio morbido con un uovo al centro compare nel dipinto Alla ricerca della quarta dimensione, forse l’opera più complessa tra quelle esposte, dove gli evidenti richiami alla Scuola di Atene di Raffaello e alle scoperte scientifiche che da sempre hanno affascinato Dalì sono accomunati ai cipressi, alle forme di pane, a una sfera, come in una summa della sua arte.

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L’angelo caduto, Purgatorio, vol.I, canto I, Figueres, Fundaciò Gala-Salvator Dalì

Anche nell’illustrazione Dalì dispiega il suo genio. In mostra sono esposte eccezionalmente tutte le centodue tavole per la Divina Commedia che gli furono commissionate nel 1950 dall’Istituto Poligrafico dello Stato. Le tavole furono esposte per la prima volta in Italia nel 1954, in una mostra tenutasi a Roma a Palazzo Pallavicini. L’accoglienza però fu contrastata, molti criticarono le opere giudicandole troppo lontane dalla mentalità di Dante se non addirittura pornografiche. Il risultato di tanto subbuglio fu che il Poligrafico rescisse il contratto con Dalì, e solo nel 1960 l’editore francese Joseph Foret ripubblicò le tavole in un’edizione di gran lusso. Guardandole oggi tutte assieme ne percepiamo invece tutta la forza e l’adesione profonda alla poetica dantesca: la complessità e la carica emotiva di alcune immagini evocano mirabilmente la complessità e l’angoscia dei canti dell’Inferno, non da meno sono le immagini create per il Purgatorio, ancora colme di dolore, mentre uno schiarimento della tavolozza segna le più limpide illustrazioni per il Paradiso.

Nei due anni che dedica all’illustrazione dantesca tiene la famosa conferenza su Perché ero sacrilego, perché sono mistico e porta a termine il suo Manifesto Mistico, in cui ribadisce la sua ammirazione per la pittura rinascimentale e la pittura religiosa, dipinge il famoso Cristo di San Giovanni della Croce, purtroppo non presente in mostra, e prosegue il suo avvicinamento alla chiesa cattolica. Nei dipinti di questo periodo raffigura spesso l’amato paese di Portlligat e Gala, moglie e musa, ora trasfigurata in angelo, santa o madonna.

I prìncipi della valletta fiorita, Purgatorio, vol.I, canto VII, Figueres, Fundaciò Gala-Salvator Dalì

I prìncipi della valletta fiorita, Purgatorio, vol.I, canto VII, Figueres, Fundaciò Gala-Salvator Dalì

Quindi una mostra da vedere, per capire e approfondire la complessa personalità di Dalì e la sua validità artistica, non sempre compresa e a volte nascosta da un’apparente superficialità, da forti contraddizioni, da una teatralità eccessiva che spesso ha oscurato le sue grandi capacità e la sua profondità.

Claudia Menichini

Francesco Bondielli
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