In occasione della mostra di Palazzo Blu dedicata a Salvador Dalì, è doveroso compiere un’analisi dello stile, del registro figurativo, della filosofia e delle possibili influenze di altre correnti artistiche che possono aver inciso sullo stile pittorico del principale protagonista del Surrealismo. Dalì, nativo della Catalogna, si avvicina molto presto all’ambito pittorico, avendo dimostrato una particolare predisposizione al disegno sin da bambino. Nel 1922 Salvator si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Madrid, per dare un fondamento tecnico alla sua già spiccata abilità pittorica, ma ben presto viene espulso a causa di contrasti con il corpo docente, accusato di mediocrità intellettuale e provincialismo. Nella città, però, Dalì incontra Federico Garcia Lorca e Luis Bunuel con cui sperimenterà il Surrealismo nel cinema.
I primi passi mossi da Dalì ripercorrono le orme dei maggiori artisti della pittura contemporanea, ossia Pissarro, Monet, Cezanne e dei cubisti spagnoli, uno su tutti Picasso. Nella fase iniziale, più sperimentale, l’artista fa tesoro della lezione del Cubismo, prediligendo come soggetti i paesaggi di Figueras e Cadaquès, pur proponendone una versione originale che tende a scomporre l’immagine. Sovvertendo le norme visive che regolano gli oggetti nello spazio, l’immagine risulta alterata e distorta, in grado di suscitare nello spettatore un pacato senso di alienazione.
Nonostante la sua arte sia volta principalmente all’interiorità e alla psicologia, Dalì risente molto dell’esempio dei grandi maestri del passato come Goya, Velasquez e Ingres ma soprattutto dei maggiori esponenti del Rinascimento italiano che pare abbiano avuto una grande influenza sul suo distintivo tratto pittorico. Oltre a Raffaello e Michelangelo, il caso più degno di nota è quello che vede Piero di Cosimo, artista fiorentino attivo intorno alla metà del Quattrocento, come il più incisivo nel lessico figurativo surrealista. Per certi aspetti un ulteriore aspetto di comunanza dei due artisti, Piero e Salvador, pare trovarsi in un generale atteggiamento di diffidenza, una sorta di ottusità mentale dovuta allo stile eccessivamente eccentrico e un lessico figurativo troppo originale per gli altri esponenti artistici delle rispettive epoche storiche. Incompreso dai suoi contemporanei, infatti, Piero riscosse poi ammirazione da artisti della generazione successiva, quindi romantici e surrealisti.
Alla visione antropocentrica tipica di Michelangelo, che mette in rilievo la tensione muscolare e il corpo umano, Piero di Cosimo contrappone i tranquilli scenari della Grecia arcaica, sinonimo di civiltà e coscienza umana. La vicinanza alla filosofia di Platone, che traspira nelle sue composizioni, pone l’attenzione su altre tematiche. La felicità si raggiunge liberandosi dai vizi e dalle emozioni negative e vivendo in armonia con la Natura. L’aspetto psicologico della vita è un elemento ripreso e diversamente analizzato anche da Dalì, che esprimeva, riprendendo Breton, la volontà di liberare il pensiero da qualsiasi controllo, privandolo di giudizi estetici e morali.
La contemplazione della Natura, intesa non come spazio fisico ma come forza suprema, è elaborata da Piero grazie a giochi di luce e di colore, tanto da far trascendere l’aspetto vero della realtà. Georg Pudelko vide in Piero di Cosimo l’artefice di un paesaggio cosmico, un pittore di miti in chiave moderna. Secondo lo studioso, l’inclinazione personale del pittore dovette risultare incomprensibile e impossibile da ammirare, tanto che lo stesso Vasari, nelle sue Vite, comincia quella dedicata a Piero mettendo in evidenza la sua vena folle e la sua tendenza a condurre una vita dissoluta e depravata. Tuttavia, questo risulta essere un atteggiamento costante, come di trattasse di una giustificazione dovuta a chi si dimostra inquieto e voglioso di sperimentare.
Il celebre ciclo di Piero dedicato alla Preistoria umana, caratterizzato da tinte sgargianti e da un contesto paesaggistico onirico, costituisce una delle più importanti fonti di ispirazione rinascimentale per lo stile di Dalì. Gli alberi scheletrici e spezzati, i colori quasi elettrici pongono la scena in un’altra dimensione, fantastica e poco attinente alla realtà. Di pari importanza è la tela dal titolo La liberazione di Andromeda, in cui il mito è rappresentato in un contesto quasi fiabesco e ricco di simbologie. In questa ottica, quindi, si può parlare di un stile eclettico difficilmente inquadrabile in schemi stilistici precostituiti e, per questo, sempre evasi per seguire una modalità espressiva personale.
È come se dalle sue tele si potesse trarre la percezione psicologica della vita, più che la visione effettiva. In opere come Satiro che piange la Ninfa, o La morte di Procri, l’atmosfera è resa in maniera quasi rarefatta: i colori chiari e lividi sembrano voler conferire all’insieme un senso di astrazione, come se lo spettatore stesso venisse coinvolto nel triste dolore dei protagonisti. La porzione centrale del dipinto è occupato dal corpo della ragazza e sapientemente bilanciato ai lati dalle figure scure del satiro e del cane che la stanno vegliando. Il paesaggio costiero che emerge sullo sfondo, desertico e disabitato, sembra richiamato in quello realizzato da Dalì ne La persistenza della memoria. In questo caso, la scena è abitata da oggetti e non da persone che, però, appaiono ricoprire le stesse posizioni della precedente composizione. Centrale, infatti, è un distorto autoritratto dello stesso Dalì, un corpo anche in questo caso quindi, cui è appoggiato un orologio molle, quasi liquefatto. Di nuovo, la scena è bilanciata ai lati da una struttura su cui sono appoggiati altri orologi molli e da una porzione vuota di tela, ma scura, che riesce a equilibrare la visione complessiva.
In questo senso, quindi, l’uso dei colori, la brillantezza delle tinte, le sue invenzioni e, di conseguenza, la sua bizzarria, fanno di Piero di Cosimo un’inesauribile fonte di ispirazione per il Surrealismo. Non giustamente apprezzato in un clima culturale che prediligeva uno stile in linea con le modalità espressive dettate da Leonardo e Michelangelo, Piero di Cosimo è stato rivalutato dai rappresentanti di correnti artistiche successive di almeno un paio di generazioni. La bizzarria e l’eccentricità, un lessico libero e privo di controllo sono stati poi i vessilli del Surrealismo, avanguardia che ha voluto inibire la rappresentazione della realtà per dare spazio alla visione soggettiva del mondo, attraverso un processo creativo interiore.
Dalì riuscì a valorizzare la potenzialità del Surrealismo grazie al cinema. La dimensione cinematografica, infatti, crea una condizione ottimale di isolamento rispetto al mondo, poiché nella sala lo spettatore è messo in condizione di lasciarsi andare al sogno e all’immaginazione, abbandonando la concretezza imposta dalla vita quotidiana. Quanto rappresentato sullo schermo è appunto “surreale”, simbolo della volontà di contrastare il mondo contemporaneo e i suoi falsi valori, in favore di una condizione astratta dettata dall’inconscio.
Cristina Gaglione
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