Io sto con la sposa

Io sto con la sposa

(Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry, 2014)

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A Milano, centro di smistamento internazionale dell’immigrazione clandestina, arrivano da Lampedusa un ragazzo sopravvissuto a una tragica traversata, una coppia di dissidenti politici e un bambino aspirante rapper accompagnato dal padre. Grazie all’aiuto dei tre registi, o meglio di un regista, Antonio Augugliaro, un giornalista, Gabriele Del Grande e un poeta siriano, Kahled Soliman Al Nassiry, che si dichiarano “prestati” al cinema, nonché a quello della credibile sposa Tasneem Fared, e anche grazie alla cooperazione di un gruppo di amici italiani e siriani, i cinque protagonisti saranno tirati a lucido e vestiti di tutto punto a comporre con gli altri un insospettabile e pittoresco corteo nuziale. L’insolita compagnia attraverserà l’Europa lungo un percorso alternativo a quello pericoloso e costoso dei trafficanti clandestini. La meta agognata è la Svezia, dove sperano di ottenere lo status di rifugiati politici e quindi il diritto di residenza.

Quando sono particolarmente credibili, si usa dire che i personaggi prendono forma per uscire dalla storia. In questo caso il percorso è inverso e non vi è frontiera netta (pare che i registi proprio non le concepiscano) tra il dentro e il fuori, il prima e il dopo. Interessante è la storia di come è nato il film. Abdallah (Abdallah Sallam), il ragazzo di cui si parla all’inizio, interpreta se stesso ed è il suo arrivo alla stazione di Milano Porta Garibaldi, il 20 ottobre 2013, che determina il viaggio. Egli è solo, in attesa di un treno per la Svezia che non prenderà mai. Qui incontra per caso i registi che, nell’intento di sottrarlo agli odiosi Caronte di professione, concepiscono l’idea del finto corteo nuziale. Durante la ricerca di collaboratori per il viaggio e le riprese (autofinanziate) si aggregano al gruppo gli altri quattro rifugiati, siriani e palestinesi. In meno di un mese la partenza per un viaggio di tremila chilometri in quattro giorni. L’obbiettivo si concretizza, l’idea funziona. Funziona a tal punto che s’innesca un incredibile susseguirsi di eventi per cui 2617 finanziatori “dal basso” nel giro di due mesi decidono di contribuire alla post-produzione e alla distribuzione con una somma che si aggira attorno ai 100mila euro. Il film viene ultimato in tempo per sbarcare a Venezia (fuori concorso, sezione Orizzonti) con un flash mob che ruba la scena a Belen e ad Al Pacino, trasformando il Lido in uno white-carpet.

io sto con la sposaIo sto con la sposa è un documentario con sfumature di fiction, deviazioni dall’itinerario dei trafficanti “ufficiali” dovute più all’arricchimento delle riprese, e di una trama altrimenti scarna, piuttosto che alla necessità logistica di evitare zone soggette al motivo ricorrente della storia: i controlli delle autorità. Non aspettatevi escalation di tensione in stile Argo. Suggestive le riprese della prima frontiera varcata a Grimaldi, paese al confine franco-italiano dove non troppo tempo fa i nostri emigranti, ebrei e fascisti in fuga, sono transitati, e al quale è stato reso omaggio con il passaggio saliente attraverso una grotta, le cui scritte incise sulle pareti testimoniano la continuità del tema della fuga clandestina nella storia dell’uomo e la sua scottante attualità.

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Miracolo del crowdfunding, Io sto con la sposa prima che un documentario è un’azione politica, un atto di disubbidienza civile contro ogni frontiera e ogni limitazione alla libera circolazione. Se è vero che a ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria, i “trafficanti” rischiano il carcere, i clandestini, invece, di essere rispediti in Italia. Al momento non sono in atto processi e la Svezia stessa, dichiara il regista, non ha fornito risposte politiche a questa azione.

Perché vedere il film? Innanzitutto per una questione di libertà. Vista la prepotente rilevanza mediatica dei tagliagole dell’Isis rispetto allo sterminio dei Curdi o ai bombardamenti sui civili, o anche semplicemente alle singole storie di persone in fuga dal proprio Paese, questo documentario è uno spunto per recepire informazioni circa una realtà della quale, giocoforza, conosciamo solo ciò che ci viene mostrato. Poi, per una questione di partecipazione: i 50mila spettatori costituiscono una barricata umana al rischio che tuttora le persone di questo film corrono. È la differenza che passa tra uno sconsiderato gesto isolato e una protesta collettiva.

Ci piace concludere con un estratto dal blog di Gabriele Del Grande, “Fortress Europe“, dove si affronta l’argomento delle vittime delle frontiere e che consigliamo di visitare per approfondire:

“[…] La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere.

Leo D’Arrigo

Tomas Ticciati
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