Scuola, rabbia e letteratura

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I libri raccontano storie che ci accompagnano per la vita. Le incontriamo ad un tratto del nostro percorso e loro ci plasmano, stimolano il nostro pensiero, raccolgono i nostri sogni, ci incoraggiano.

I romanzi che leggiamo tra i banchi di scuola poi, soccorrono quel bisogno di risposte che muove l’età dell’adolescenza. Sono storie di gioie semplici e di inquietudini profonde, di delusioni e solitudine, ma anche di ostinate rincorse verso la felicità.

Tra quelle righe c’è sempre una bussola di cui ci accorgiamo anni dopo, quando con nostalgia risfogliamo quelle pagine e ci rinnamoriamo dei loro protagonisti.

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Io la sento nei piedi la vita, nel va e vieni di ogni giorno. Sono le sette e mezzo e sono pronta. Il liceo non si è ancora svegliato: la campanella delle otto e mezzo è al suo primo sbadiglio. Però la preferisco così questa scuola, senza gli urletti e le moine delle ragazze, senza pantaloni bassi frangette lisce. La preferisco così, silenziosa come un mucchio di cemento che dorme).

Ce lo racconta così il liceo, la protagonista di Ma le stelle quante sono di Giulia Carcasi, una storia, anzi due, sulla vita complicata di Alice e Carlo, appena diciottenni. Il percorso difficile della crescita, acutizzato dalla diversa sensibilità dei due ragazzi,  il rapporto difficile con i genitori, che fa emergere il senso di abbandono e la delusione difronte alla vulnerabilità di chi credevamo infallibile.

Il liceo è un contesto stereotipato, dove l’autorità dei professori finisce per sgretolarsi, svelandone le debolezze e l’incapacità di rappresentare una vera guida per gli studenti.

La scuola, tuttavia, a questa età talvolta fa solo da sfondo. È una ricetta fatta di ingredienti strani che non sempre ti servono a crescere. Quello che la vita ti mette davanti resta spesso fuori, come ciò di cui abbiamo davvero bisogno per diventare grandi.

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Io credo che uno di questi giorni ti toccherà scoprire dove vuoi andare.
E allora devi metterti subito in marcia.
Ma immediatamente.
Non puoi permetterti di perdere un minuto.

 

E chi di noi non ha sognato di seguire l’esempio di Holden Caulfield, cogliendo al balzo l’occasione di essere stati buttati fuori dalla scuola – la sua era quella prestigiosa di Pencey – per tornare a casa con qualche giorno di anticipo. Così ne Il Giovane HoldenJerome D. Salinger ci racconta di un sedicenne che decide di tornare a New York dopo essere stato espulso, ma i suoi genitori non ne sanno nulla, per cui una volta arrivato, decide di trovarsi un alloggio provvisorio e di rimanere lì finché non arrivino le vacanze di Natale. L’opera di Salinger, un vero e proprio romanzo di formazione, getta luce sulla crescita interiore del giovane Holden, attraverso gli incontri di un intenso fine settimana. IL Giovane Holden è la storia di un ragazzo, della sua trasformazione e della difficoltà di affrontare un modo caratterizzato da un forte e spiazzante vuoto di valori.

Il bisogno di evasione, quella del nostro Giovane Holden è quasi un comun denominatore dell’adolescenza, uno dei sintomi della ribellione che domina gli anni della scuola, in cui tutto appare imposto dall’esterno e ci si sente costretti in un ruolo, quello degli studenti o dei figli che devono apprendere e rispettare delle regole senza poterne mettere in discussione forme e contenuti. La letteratura non di rado infatti lascia emergere una scuola che non è fatta dai ragazzi, quanto un ambiente costruito ad hoc per loro, per riuscire a gestirli, arginarli e imporsi.

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Interessante, per il tema, La disubbidienza di Alberto Moravia, il racconto della ribellione adolescenziale  verso mondo, una ribellione spinta oltre i limiti e messa in atto scrupolosamente da Luca, il protagon

ista. Dopo la disubbidienza all’infanzia, con l’addio a tutti i ricordi, Luca abbandona ogni legame con la scuola, coi compagni di classe, riducendo al limite i contatti con i genitori. Culmine di questo addio alla società è infine la rinuncia ai soldi.

Nel suo romanzo, Moravia procede a sradicare puntualmente tutte le ancore che tengono aggrappato l’uomo alla società, per sottoporla a una critica aspra e dura, tanto più perche espressa attraverso la sensibilità di un adolescente.

Ho fatto una lista delle cose che non ti insegnano a scuola. Non ti insegnano come amare qualcuno. Non ti insegnano come diventare famoso. Non ti insegnano come essere ricco o povero. Non ti insegnano come lasciare qualcuno che non ami più. Non ti insegnano a capire cosa passa nella testa degli altri. Non ti insegnano cosa dire a qualcuno che sta morendo. Non ti insegnano niente che valga la pena sapere.

Sarà vero allora, quello che scrive Neil Gaiman in Sandam Vol. 9?

Forse, ma non del tutto. La classe, i banchi di scuola posso diventare un microcosmo, un piccolo universo che ci costringe al confronto con gli altri, a imparare sul campo le regole della vita.

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È così per Susan Julia Caraway, una ragazza che potremmo definire “particolare”. Susan è la protagonista di Stargirl di Jerry Spinelli, un’eccentrica e compassionevole vegetariana anticonformista, che entra nella sua nuova scuola indossando strambi vestiti colorati e portando sulla spalla un topolino. Stargirl, questo il nome che la ragazza si è dato da sola, si aggira sorridendo, danzando, cantando e suonando l’ukulele sotto gli occhi attoniti e incuriositi degli altri ragazzi, diventando presto il bersaglio delle loro cattiverie.

Inizialmente indifferente al giudizio degli altri, è Leo Borlock, il ragazzo di cui Stargirl si è innamorata, a farle sentire il perso del giudizio, a renderla cosciente di ciò che significa essere o non essere come gli altri. Stargirl allora è un romanzo sulla paura dell’indifferenza, di essere invisibili agli occhi degli altri e sul bisogno di farsi notare per attestare il proprio statuto di esistenza.

Una diversità che appare insormontabile, invece, è quella raccontata dalla penna di Fred Uhlman ne L’amico ritrovato, storia ambientata nella Stoccarda agli albori del nazismo, negli anni in cui il nazionalsocialismo entra nelle scuole. La diversità di cui parla Uhlman è una diversità imposta dall’ ideologia e dalla vuota retorica di una Germania che assiste immobile all’avvento del Nazismo. Diversità, quella dei protagonisti, che inciderà profondamente sulla salda amicizia che lega Hans Schwarz, ragazzo ebreo di sedici anni, e Konradin von Hohenfels.

La salita di Hitler al potere costringerà i due a separarsi, salvo poi ritrovarsi, in un modo del tutto speciale, dopo molti anni.

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Ho esitato un po’ prima di scrivere che “avrei dato volentieri la vita per un amico“… ma sono convinto che non si trattasse di un’esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l’avrei fatto quasi con gioia.

Dalle pagine di Fred Uhlman,  oramai un classico della letteratura, emerge come siano le relazioni con altri  il momento più forte di crescita di ognuno di noi. Tutti noi siamo o diventeremo grandi attraverso l’incontro con anime in grado di parlarci e trasformarci. La scuola, in tal senso, è un ambiente sociale, luogo di incontro e a volte di scontro. La vita tra i banchi di scuola si fa luogo eletto in cui le esperienze di vita si incrociano per raccorgliene le differenze.

Questo ci mostra Brunella Gasperini nel suo Rosso di Sera, dove il tempo della scuola è il tempo in cui ogni problema sembra insormontabile: ci si trova a dover capire l’amore, scartandolo come una caramella dai falsi miti che lo avvolgono e lo fanno sembrare tanto bello quanto effimero e a decifrare le sensazioni che vengono dal cuore e dal corpo. Tradurre gli avvenimenti, scomporli per riuscire ad affrontarli.

Umberto Galimberti scrive : “Quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna”.

Parole calzanti per descrivere ciò che molti di noi sono stati o che sono o presto diventeranno. L’adolescenza è come essere un acrobata che si muove in bilico su un filo quello che unisce voglia di non guardare il vuoto sotto di sé e desiderio di attraversarlo per conquistare il proprio spazio di mondo. Ma a pensarci bene, essere adolescenti è una categorie dell’anima, ancor prima che un’età anagrafica; ogni qual volta, e capita, non ne ho dubbi, in cui ci perdiamo per ritrovarci, nella voglia di cambiare o creare qualcosa che prima non c’era, ecco, in quel preciso momento, ognuno di noi torna quella ragazzo/a che spendeva il suo tempo tra aule, libri con quelle amicizie che, allora, più che mai, sembrano destinate a durare per sempre.

Alessia Rosati

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