Le meraviglie del Grand Tour, il viaggio in Italia e i suoi souvenir

Chi si avventurava nel Grand Tour (e ogni gentiluomo degno di questo nome doveva compierlo almeno una volta nella vita) voleva e doveva riportare a casa immagini bellissime e pittoresche dell’Italia, attraversata da Nord a Sud durante questo lungo e faticoso viaggio di formazione. Visioni pacifiche dei laghi lombardi, i grandi palazzi veneziani che sembravano sorgere come un sogno dalle acque della laguna, Palazzo Vecchio con la sua austera mole, le rovine di Roma nell’ora incantata del tramonto, le dolcezze dei Castelli romani, Napoli con il suo temibile Vesuvio, lo Sterminator Vesevo di Leopardi. E poi le rovine misteriose di Pompei ed Ercolano, la dolcezza languida della Costiera amalfitana e infine la Sicilia, con le sue luci aspre e forti così diverse dalle luci basse e timide del Nord, di quei paesi dai quali provenivano i nobili e colti viaggiatori che attraversavano l’Europa intera per arrivare in Italia.

C. Corot, Il Lago di Nemi, 1843

 

Di questo viaggio di formazione, che ebbe il suo apice fra il XVII secolo e l’inizio del XIX, l’Italia era il clou, ricca com’era di reperti archeologici, città antiche e monumenti, una natura ancora non domata, luoghi bellissimi e luce calda, situazioni pittoresche ma anche pericolose. Era un incredibile museo all’aperto a disposizione del viaggiatore, ricca altresì di antiche biblioteche che traboccavano di tomi preziosi, e di teatri in cui l’emozione del bel canto all’italiana faceva fremere i cuori. Tutto l’insieme delle esperienze e delle conoscenze acquisite durante il tour formavano in maniera indelebile il carattere dei viaggiatori, ed era considerato così importante da far dire al poeta e letterato settecentesco Samuel Johnson: «Colui che non ha viaggiato in Italia soffrirà sempre di un senso di inferiorità perché non avrà visto ciò che ogni uomo dovrebbe vedere».

La definizione di Grand Tour venne usata per la prima volta nel 1670 dal canonico inglese Richard Lassels, nel suo libroThe Voyage of Italy, frutto delle osservazioni fatte durante i suoi cinque viaggi in Italia. Oltre che descriverne il patrimonio artistico e culturale, l’autore offriva anche notizie sulle caratteristiche del popolo italiano, e consigli pratici sulle difficoltà del viaggiare. In tantissimi seguirono le sue indicazioni, e per soddisfare la voglia di riportare a casa un ricordo delle emozioni provate durante quest’epico viaggio nacque la pittura da Grand Tour.

Gouache, acquarelli e oli luminosi riproducevano i luoghi più affascinanti visitati. Uno stuolo di pittori si specializzò in tal senso. Spesso si trattava di artisti stranieri che, giunti in Italia per sviluppare la loro formazione a contatto diretto con la bellezza e la storia, decidevano poi di rimanervi per anni o per tutta la vita, avvinti dalla bellezza dei monumenti e della natura, dalla luce così diversa rispetto a quella dei paesi natali, e dalla fascinazione di un popolo libero e irruente. Così iniziarono a vendere le loro opere proprio ai connazionali, che negli anni scendevano sempre più numerosi nel paese dove fioriscono i limoni, come diceva il grande Johann Wolfgang Goethe.

Goethe nella campagna romana di J.H.W. Tischbein

 

Molto della nostra memoria visiva dell’Italia fra ’600 e  ’800 è frutto di questi dipinti. Oggi ci sembrerebbe incredibile pensare il centro di Roma percorso dalle greggi, che brucano intorno al Colosseo e alle rovine disseminate in paesaggi agresti, se non avessimo dei dipinti a testimoniarlo. La campagna romana, ormai sostituita dall’incredibile espansione urbanistica della Capitale, era un luogo romantico e selvaggio, reso con tratti frementi dall’inglese John Robert Cozens. Le vedute di Camille Corot, dalle struggenti vibrazioni di luce, ci riportano a una bellezza ormai perduta, che oggi riaffiora solo in parte fra la confusione la volgarità, così come non c’è più la Roma ritratta con pennellate vorticose e nebbiose, come in un sogno, dal grande William Turner. Questa era l’Italia che affascinava il resto d’Europa.

J. M. W. Turner, Roma dall’Aventino, 1819

 

Se volete avere un’idea della vita e dell’atmosfera che trovavano i viaggiatori dell’epoca, andate in via Condotti, sedetevi in una delle salette interne del Caffè Greco, ordinate un caffè e guardatevi intorno: le pareti sono tappezzate dai dipinti lasciati dagli artisti che frequentavano le sue sale, ed è facile lasciarsi trasportare nel passato, immaginando Roma com’era e pensando di essere anche voi un viaggiatore del Grand Tour.

Altra tappa imprescindibile del lungo viaggio lungo la penisola era il Golfo di Napoli, che sarebbe divenuto ben presto uno dei luoghi topici del paesaggismo sei-settecentesco: l’olandese Gaspar Van Wittel ne fu uno dei primi cantori, facendo della città e dei suoi incantati dintorni una delle capitali del vedutismo. Uno stuolo di epigoni fece in seguito delle vedute napoletane un commercio ampio e diffuso, che attraverso i viaggiatori raggiungeva tutto il nord Europa. Spesso le richieste dei committenti erano molto convenzionali, e i pittori meno ispirati producevano più souvenir che arte (con la classica veduta panoramica del golfo, il pennacchio del Vesuvio fumante sullo sfondo). Alcuni però riuscirono a rielaborare le vedute più usuali con un sentire del tutto originale, come Jacob Philipp Hackert che le adattò allo spirito neoclassico dell’epoca, mentre il francese Joseph Vernet procedeva con un approccio più pittoresco enfatizzando i fenomeni atmosferici, e lo svizzero Louis Ducros nelle sue vedute sembrava preannunciare il romanticismo.

Eruzione del Vesuvio

 

Molti dei viaggiatori si fermavano a Napoli, non osando continuare fino a raggiungere la Sicilia, considerata luogo primitivo e pericoloso, e furono le parole di Goethe a far scoprire a molti la bellezza scabra dell’isola e le sue molte emergenze artistiche: «Senza veder la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. La Sicilia è la chiave di tutto».

La Costiera Napoletana

 

Altre tappe canoniche, all’inizio o al termine del viaggio, erano i laghi lombardi e Venezia. Come non riportare, allora, almeno l’immagine di una delle tante ville affacciate sulle sponde del lago di Como, o dei bellissimi giardini, o del lago solcato dalle leggere “Lucie”, le caratteristiche barche del Lario. I pittori locali, spesso con ingenuità espressiva, si specializzarono in vedute del lago e delle sue verdi sponde.

 

Il lago di Como

 

Di Venezia è quasi superfluo parlare, è sempre stata una meta imprescindibile del viaggio in Italia. Luogo unico, irreale, sorta di sogno tra acqua e cielo, che da Canaletto in poi è stato ritratto da tutti i pittori che vi sostavano, e i cui epigoni riproducono ancor oggi le stesse vedute. Oltre a quelle di Canaletto e dei Vedutisti, tantissime sono le immagini di Venezia create da altri pittori di grande spessore, come Gaspar van Wittel, che dell’Italia amava tutto, per arrivare fino ai disegni di John Ruskin. Nel suo Le Pietre di Venezia Ruskin raccoglie e descrive il fascino cadente della città, in una sorta di elegia della sua bellezza e della sua fragilità.

 

J. Ruskin, Venezia

 

A questo punto spero che vi sia venuta voglia di fare almeno un Petit Tour, alla scoperta di quello che ancora è rimasto dei luoghi che vi ho descritto. Io l’ho fatto e molto di quello che potevano vedere i nostri viaggiatori c’è ancora, bisogna solo sapersi muovere con accortezza fra la folla dei turisti (privilegiando le ore non canoniche, e mai nei giorni di festa!), e soprattutto osservare con occhi ancora pronti a stupirsi.

 

 

 

Claudia Menichini
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