Come già accennato prima, in una tempestosa notte dell’estate del 1816 uno sparuto gruppetto britannico – annoiato a morte della forzata permanenza nella Villa Diodati – decise di scrivere, per gioco, delle storie dell’orrore. Una di quelle storie divenne poi Frankenstein, o il moderno Prometeo, l’opera più celebre di Mary Shelley. Eppure, il Mostro di Frankenstein, la Creatura, non fu il solo orrore a nascere quella notte.
Frankenstein fu l’unica delle opere uscite dal gruppetto a raggiungere la fama, ma ora dovrebbe sorgere una domanda: gli altri cosa hanno scritto? Percy Shelley scrisse Gli Assassini (dall’eloquente sottotitolo Frammento di un romanzo), Lord Byron un interessante racconto – non completato – intitolato Un frammento, ma noto anche come La Sepoltura. A dare piena forma a questo nuovo, secondo orrore, fu il medico di Byron: il dottor John William Polidori scrisse un racconto che più tardi avrebbe arricchito e ampliato fino a farlo diventare un romanzo. Il romanzo s’intitolava Il vampiro.
Il romanzo di Polidori non è un granché, però ha due meriti innegabili: innanzitutto è il primo romanzo moderno sui vampiri ad essere pubblicato, inoltre è il primo testo che delinea – seppur in modo ancora un po’ impreciso – la figura del vampiro come la intendiamo oggi. Il mito del vampiro è uno dei più antichi al mondo, già esistente ai tempi della cultura mesopotamica, ma i tratti che identificano il vampiro nell’immaginario collettivo attuale iniziarono ad essere fissati proprio con l’opera di Polidori, che costituisce l’antesignano del romanzo che canonizzò definitivamente la figura del vampiro europeo: Dracula, il capolavoro dell’irlandese Bram Stoker. Eppure, forse bisogna prendere in considerazione l’eventualità che il merito di aver aperto la strada a Stoker non sia solo del dottor Polidori.
Come già detto, il romanzo di Polidori non è un granché, ma è pure sfacciatamente simile al racconto di Byron. In effetti si può ben dire che Polidori abbia basato il proprio lavoro su quello del suo immensamente più dotato paziente. La Sepoltura ci è giunto incompleto, monco della conclusione, ma tra gli appunti di Byron e quelli dello stesso Polidori sappiamo diverse cose: innanzitutto che il protagonista del frammento byroniano, dopo essere stato falciato da una misteriosa malattia e sepolto dall’io narrante, avrebbe dovuto risorgere dalla tomba come vampiro, inoltre Polidori modellò il proprio vampiro sulle fattezze caratteristiche del byronic hero. Le somiglianze tra La Sepoltura e Il Vampiro sono tante e talmente profonde da causare tra Byron e Polidori un aspro litigio prima e una definitiva rottura poi. Polidori aveva ventun’anni quando scrisse il racconto che sarebbe divenuto poi il suo romanzo più celebre, pubblicato nel 1819. Il Vampiro ebbe un buon successo commerciale, tale da spingere Polidori ad abbandonare la professione medica per quella di scrittore a tempo pieno; purtroppo l’ex dottore si rivelò non solo un mediocre scrittore ma anche un pessimo giocatore d’azzardo: sommerso dai debiti di gioco, colla reputazione ormai distrutta, si comportò da perfetto gentleman e la fece finita con un colpo di rivoltella.
È assai probabile – quasi certo, per la verità – che Bram Stoker lesse il romanzo di Polidori e che lo avesse in mente quando scrisse il suo Dracula. Ovviamente non si tratta né di plagio né di omaggio, era solo la naturale evoluzione di un genere che dopo aver mosso i primi passi si rese conto di avere gambe abbastanza robuste per iniziare a correre: la narrativa e la letteratura dell’orrore. Allo stesso modo è arcinoto che la figura del Conte Dracula è modellata (con diverse licenze) su quella di Vlad III di Valacchia, noto anche come Vlad Țepeș ovvero Vlad l’Impalatore, visto sotto l’ottica del byronic hero. È quindi possibile che non solo il romanzo di Polidori abbia fornito a Stoker lo spunto per il proprio capolavoro, ma che l’abbia anche spronato a fare di meglio (difatti il romanzo di Stoker è drasticamente superiore a quello del buon dottore). Ma il fatto che Polidori abbia basato il proprio romanzo sul lavoro – seppur incompiuto – di Byron, rende quest’ultimo l’antenato del più celebre Conte di tutta la letteratura dell’orrore. A proposito di questo, esistono due curiose coincidenze: Vlad III è uno degli eroi nazionali della Romania, celebre per essere stato capace per lungo tempo di arginare l’invasione turca… e Byron morì nel 1824 mentre combatteva a fianco dei Greci insorti contro i Turchi, solo otto anni dopo il bizzarro tea party ginevrino (una morte di cui Vlad si sarebbe veramente compiaciuto); l’altra coincidenza riguarda il più celebre ritratto di Vlad Țepeș e quello che Lord Byron si fece fare indossando un abito tradizionale albanese. La somiglianza è piuttosto curiosa.
Due delle più celebri forme dell’orrore, tanto forti oggi come allora, sono quindi nate sotto lo stesso tetto, in una notte buia e tempestosa a Ginevra, dove un gruppo di amici annoiati decise di iniziare a inventare storie dell’orrore. Una notte che avrebbe causato incubi a tutte le generazioni a venire.
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