La notte in cui nacque l’orrore – Parte I

Il 1816 fu un anno davvero strano. Ancora oggi è conosciuto come l’Anno senza Estate. Dal 5 al 15 aprile 1815 il vulcano Tambora aveva seguitato a scagliare nell’atmosfera tonnellate di polveri e detriti che andarono a sommarsi a quelli del vulcano Mayon e del vulcano Soufriére, non ancora depositati; il risultato fu che nel 1816 l’estate, effettivamente, scomparve. Quelli che dovevano essere i mesi del raccolto, quelli della primavera e dell’estate, furono fortemente anomali: piogge continue e clima insolitamente rigido devastarono le colture, costringendo milioni di persone alla fame e costringendo anche un ristretto gruppo di persone a rimanere chiuso in casa. Come nella notte in cui nacque l’orrore.

Claire Clairmont aveva appena iniziato una relazione con Lord Byron e, inaspettatamente, era rimasta incinta. Decidendo cosa fare con il nascituro, i due decisero di intraprendere un viaggio alla volta di Ginevra, in Svizzera; Claire, però, volle che ad accompagnarli ci fossero anche la sorellastra Mary Shelley e il futuro marito Percy. Oltre a questi quattro, nel gruppo c’erano il figlio di Mary e Percy e il medico di Lord Byron, il dottor John William Polidori, che raggiunse il gruppo il 25 maggio. Byron e Polidori erano alloggiati nell’aristocratica Villa Diodati, mentre gli Shelley – giunti a Ginevra il 14 maggio – affittarono una casa chiamata Maison Chapuis. Come ricorda anche la stessa Mary, quell’anno l’estate fu «piovosa e poco clemente», fredda, tanto che il gruppetto passò buona parte del suo tempo nella villa di Lord Byron, attorno al fuoco.

Per combattere la noia, inizialmente il gruppo passava il tempo chiacchierando, discorrendo di cose particolari o insolite, ad esempio degli esperimenti condotti da Erasmus Darwin (sì, il nonno di quel Darwin) sulla rianimazione della materia morta, del galvanismo, finché una sera non decisero di leggere racconti del terrore contenuti in un libro. Quel libro, oggi facilmente acquistabile in qualsiasi libreria, si chiamava Fantasmagoriana ed era un’antologia di storie tedesche di fantasmi. A questo punto, il dottor Polidori annota nel suo diario: «Alle dodici, dopo il the, cominciammo veramente a parlare di fantasmi. Lord Byron lesse alcuni versi da Christabel di Coleridge, la parte in cui si parla del seno della maliarda; quando sopraggiunse il silenzio, Shelley improvvisamente cacciò un urlo, si portò le mani al viso e si precipitò fuori dalla stanza con una candela. Gli spruzzammo dell’acqua sulla faccia e gli facemmo annusare l’etere. Ci raccontò che stava guardando la signora Shelley, quando improvvisamente l’aveva colto il pensiero di una donna, di cui aveva sentito parlare, con gli occhi al posto dei capezzoli; il che, tornatogli in mente, l’aveva inorridito».
Questo è precisamente il momento in cui il destino iniziò ad arrotare la propria ascia. I racconti e la reazione inconsulta di Shelley fecero scattare una scintilla in Byron, che propose ad ogni membro della compagnia di cimentarsi nella scrittura di un racconto del terrore. Quella notte ebbe esiti ben al di là delle prospettive di Byron e del suo gruppetto.

Ognuno si mise al lavoro, le idee sembravano germinare direttamente nell’aria, tutti scrivevano con una facilità mai riscontrata prima… tutti. Tranne Mary.Mary Shelly fu l’unica a non avere un briciolo di idea per la propria storia del terrore. Questo fino ad un’altra, fatidica, notte.
Mary si svegliò urlando a squarciagola, appena riemersa da uno spaventoso incubo, un incubo tanto agghiacciante da fornirle il soggetto giusto per la storia dell’orrore. «Vedevo – raccontò Mary – il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla “cosa” che aveva messo insieme. Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo».

In una notte buia e tempestosa del giugno 1816 nacque Frankesntein, o il moderno Prometeo, una delle storie dell’orrore più famose di tutti i tempi, e l’orrendo sogno di Mary viene riversato nei capitoli quattro e cinque del libro. Certo, all’inizio era molto diverso da come lo conosciamo oggi: il manoscritto era un racconto di un centinaio di pagine, ma Percy spronò la futura moglie a lavorarci ancora, ad ampliarlo (alcuni passi si sospetta siano stati scritti o pesantemente rimaneggiati dallo stesso Shelley), finché il suo Prometeo non raggiunse le dimensioni e le fattezze di un romanzo. Un romanzo che, nei decenni a venire, avrà un’eco vastissima.

Frankenstein è l’opera letteraria che più d’ogni altra è stata utilizzata come soggetto per il cinema (Bibbia compresa). La sua eccezionale forza sta nel fatto che tocca il nervo scoperto delle nostre paure più ancestrali, e dal fatto che quello che ci viene proposto è un orrore senza spiegazione alcuna e che non ricerca spiegazioni. Molti critici – e a ragione – accostano in questo Frankenstein a uno degli apici della letteratura inglese, Paradise Lost di John Milton: in entrambi esiste una “caduta”, un abbandono, ed esiste altresì un rapporto conflittuale col creatore. Solo che, come dice la stessa Creatura, «Satana aveva i suoi compagni che lo ammirassero e incoraggiassero; ma io sono solo»; analogamente, in Frankenstein non esiste un’invettiva analoga a quella di Adamo contro Dio: «Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla di crearmi uomo, ti chiesi io dall’oscurità di promuovermi?». La Creatura, abbandonata dal suo creatore immediatamente dopo la sua “nascita”, inseguirà Viktor pretendendo da lui molto ma mai una spiegazione. Né un nome. 

La più celebre opera di Mary Shelley ha totalmente rivoluzionato il concetto di orrore, divenendo un qualcosa di gran lunga superiore alla corrente che l’ha generato, ossia il romanzo gotico… ma non è l’unico mostro nato quella notte a Ginevra.

 

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