Il Diario di Anna Frank

Pagine da ricordare – Il diario di Anna Frank

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“Vietato l’ingresso ai ragni e ai Visigoti”. Così, nel film La vita è bella, Roberto Benigni sdrammatizza col piccolo Giosuè (Giorgio Cantarini) che, esposto sulla vetrina di un negozio, legge un cartello con la scritta “Vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”, e ne chiede il perché al babbo.

Un bambino, si sa, fa mille domande ai genitori, la maggior parte delle quali sono domande imbarazzanti. E i grandi, si sa, sono spesso disarmati di fronte all’ingenuità dei bambini. Ancor più disarmato doveva essere un padre ebreo di un figlio ebreo nell’Italia fascista delle Leggi Razziali: come rispondere a una domanda così terribile? Be’, semplicemente che “ognuno fa quello che gli pare”, e che nella loro libreria vieteranno, per tutta risposta, l’ingresso a ragni e Visigoti!


La vita è bella, una scena del film

Parlare di Olocausto, però, dare delle risposte, non è mai così facile. E c’è un giorno dell’anno, il 27 gennaio, che lo è ancor meno. È il giorno in cui, nel 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa aprirono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, liberando i superstiti della follia nazista e, simbolicamente, l’umanità intera. È il Giorno della Memoria.

Un’altra bambina, di qualche anno più grande di Giosuè, dal 12 gennaio 1942 (giorno del suo tredicesimo compleanno) al 1° agosto 1944 era china sulle pagine del suo diario, ad appuntare e parlare di quanto accadeva nella clandestinità di quel rifugio di Amsterdam. Perché ebrea figlia di genitori ebrei. E non avrebbe più potuto finire la revisione di quelle pagine in vista della pubblicazione, iniziata accogliendo con entusiasmo l’invito radiofonico del governo olandese in esilio a custodire e tramandare la memoria scritta dell’occupazione.

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‘Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora.’

Non avrebbe più potuto finire la sua revisione perché, a differenza del suo più fortunato amico nella finzione cinematografica, sarebbe morta insieme alla sorella Margot, per gli stenti e per il tifo, nel campo di Bergen-Belsen, nel febbraio del 1945, proprio qualche giorno dopo quel 27 gennaio, quando cioè il mondo cominciava a svegliarsi dal suo incubo peggiore.

I fatti, con buona pace della follia negazionista, sono ormai noti. Ma le parole. Le parole sono una responsabilità immane, soprattutto se vogliono raccontare un dolore senza confini. Nel Giorno della Memoria i membri delle Nazioni Unite hanno preso l’impegno, con la Storia e con la Vita, di parlare di Olocausto, o Shoah, così come si parla di una colpa che è come un peccato originale, e allo stesso tempo di un agghiacciante torto subìto che travolge prepotentemente ogni essere umano.

Parlare del folle sterminio di sei milioni di persone, dei rastrellamenti, dei corpi scheletrici, dei cadaveri ammassati e gettati come immondizia, non è facile. A quei milioni di cadaveri – milioni – si sarebbe aggiunto il corpicino senza vita di Anna Frank. Una bambina, che alle pagine del suo diario confessava la sua paura, e accanto ai suoi sogni di bambina (quelli non poteva toglierglieli nessuno) e all’amore per Peter, parlava dei disagi patiti in quell’alloggio segreto, del cibo che scarseggiava, dei turni per andare in bagno, delle condizioni igieniche sempre più precarie, con le conseguenti malattie. E in tutto questo, una sola domanda grida prepotente da quelle pagine: perché?

Dal primo gennaio 2016, ossia a settant’anni dalla morte di Anna Frank, sono scaduti i diritti d’autore, e poche ore dopo lo scoccare della mezzanotte è stato pubblicato online il testo integrale della prima edizione del Diario, in lingua olandese, stampata ad Amsterdam nel 1947 e curata dal babbo di Anna, Otto Frank, lui sopravvissuto alla deportazione nel campo di Auschwitz.

Otto Frank

Otto Frank

O meglio, i diritti sarebbero dovuti scadere. La pubblicazione, infatti, è stata piuttosto un atto di protesta di due francesi, il professore universitario Olivier Ertzscheid e la parlamentare Isabelle Attard, contro la recente decisione della fondazione svizzera Anne Frank Fonds, che gestisce i diritti d’autore del Diario, la quale ha stabilito che Otto Frank, finora considerato semplice curatore dei diari della figlia, sarebbe in realtà coautore della prima edizione, in questo modo rimandando la scadenza dei diritti al 2051, ossia a 70 anni dalla morte dell’uomo, avvenuta nel 1980.

Ma queste polemiche, che giungono peraltro alla vigilia del Giorno della Memoria, e cui faranno quasi sicuramente seguito azioni giudiziarie, perdono di qualsiasi significato di fronte a un’incredibile testimonianza, che ci parla dell’Olocausto con gli occhi (e con le parole) di una bambina – soltanto una bambina – che quell’orrore l’ha dovuto vivere sulla propria pelle, fino alla morte, e che nel 2009 l’UNESCO ha inserito nell’Elenco delle Memorie del mondo.

Piuttosto fa riflettere, ma in un certo senso anche rabbrividire, il fatto che proprio nel 2016 scadano anche i diritti d’autore di un altro libro, pagine diametralmente opposte al Diario di Anna Frank: Mein Kampf, il manifesto ideologico e politico di Adolf Hitler, scritto tra il 1923 e il 1924 e pubblicato nel 1925, quando si trovava agli arresti per il tentato colpo di Stato di Monaco, e che ora potrà essere ristampato, tra forti polemiche, in particolare della comunità ebraica dell’Alta Baviera.

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Anna Frank fu ammazzata nel 1945 proprio come il suicida Adolf Hitler, folle burattinaio e principale responsabile di tutto. Tuttavia, questa concomitanza non può essere solo una macabra beffa del destino, e anzi va considerata per il suo risvolto edificante: quando parliamo di Memoria, accanto al ricordo delle vittime come Anna Frank, ma anche dei tanti benefattori e in generale dei grandi uomini della Storia, è bene ricordare anche i grandi folli come Hitler, perché è anche guardando agli esempi negativi che l’uomo può migliorare e salvarsi, evitando di ricadere in basso e ripercorrere gli stessi spregevoli errori che hanno causato così tanta sofferenza, distruzione, morte.

Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità.

Il Diario di Anna Frank

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Si parla molto, e soprattutto dopo i recenti attentati di
Parigi
, di terrorismo islamico come di un pericolo reale che colpisce l’Occidente. Ebbene, parlare di Olocausto significa, tra le altre cose, ricordare che proprio nel nostro Occidente, nell’Europa impreparata e messa sotto scacco dal clima di terrore che gli jihadisti hanno insinuato nella nostra quotidianità, cova ancora, sotto le ceneri di uomini e donne e bambini cremati in forni che sono ancora lì a ricordarcelo, la brace mai spenta dell’antisemitismo, della xenofobia e del razzismo, fenomeni altrettanto pericolosi poiché, allo stesso modo del terrorismo islamico, hanno ucciso e continuano a uccidere crudelmente, senza una ragione comprensibile, ammesso che per farlo ve ne possa essere una.

TuttoMondo ha scelto di dedicare non solo il 27 gennaio bensì tutto il mese di gennaio per parlare del valore della Memoria, per riaprire ferite come l’assurdità di quel massacro che anzi sarebbe meglio lasciare aperte tutto l’anno, per sempre, affinché il dolore dell’anima che ne scaturisce possa guidare l’uomo a non delirare mai più.

È dalla memoria di questo passato, e dalle macerie di errori che riguardano tutti noi, che potremo costruire insieme il nostro futuro, un futuro edificato sulla tolleranza, sull’accoglienza e sul rispetto reciproco. Non è facile, ma di Olocausto bisogna parlare, e ricordare. Sempre. Proprio perché, oggi e per sempre, non restino soltanto le parole affidate alle pagine di un diario…

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Statua commemorativa di Anna Frank a Barcellona

Francesco Feola

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