Si amplia il dibattito aperto da Alda Giannetti.
Claudio Proietti interviene sull’identità del Teatro Verdi
Pisa – Il 2 novembre scorso pubblicando la lettera aperta di Alda Giannetti in cui lanciava un grido di allarme sul ruolo e sul futuro del Teatro Verdi di Pisa, la nostra rivista auspicava che la pubblicazione fosse foriera di un ampio dibattito cittadino sulle questioni di cui era oggetto.
Dobbiamo dire che l’aspettativa non è caduta nel vuoto. Una parte del dibattito è sì rimasta confinata sui social – ma non per questo è meno importante – ma, successivamente alla nostra pubblicazione, la lettera aperta di Alda Giannetti è stata ripresa anche dalla stampa locale, sappiamo che in città si sta preparando un’importante iniziativa su questi temi, e adesso siamo felici di ospitare sulle nostre pagine un nuovo e significativo intervento.
Claudio Proietti, personalità di spicco nel settore, riprende e approfondisce le questioni lanciate da Alda Giannetti. Anche questa volta, vogliamo lasciare lo spazio alle parole dell’autore e ci auguriamo che il dibattito si arricchisca ancora di ulteriori contributi
La lettera aperta sul Teatro di Pisa scritta da Alda Giannetti qualche settimana fa ha avuto non solo il merito di raccogliere il grido di dolore lanciato dai dipendenti del Teatro con il comunicato sindacale dell’8 ottobre scorso (in realtà solo l’ultimo di una serie di appelli che dura da mesi), ma anche quello di fotografare i nodi reali della questione con lo sguardo obiettivo e preciso proprio di un’eccellente professionista della vita teatrale quale lei è stata per molti anni.
Mi pare quindi opportuno proporre alcune ulteriori riflessioni sullo stesso tema perché la discussione non si fermi e anzi serva da stimolo a un’auspicabile mobilitazione civica in proposito.
La nascita e la veloce affermazione del Teatro di Pisa come uno fra i più importanti teatri lirici “di tradizione” italiani è stata sempre accompagnata dal suo fortissimo legame identitario con la città, intesa come amministrazione pubblica e come cittadinanza. Lungo l’arco di alcuni decenni a cavallo del secolo, il Verdi seppe costruire e valorizzare alcuni tesori molto preziosi: un radicamento profondissimo nella città e nel suo tessuto culturale, educativo e sociale; un’ eccellente capacità di elaborazione progettuale in vari settori – che andavano dalla produzione artistica alle attività di educazione e formazione – grazie alla quale si collocava in posizioni di avanguardia sia in Italia che in Europa; una forte coesione e un marcato senso di appartenenza di tutto il personale verso l’istituzione e i suoi progetti.
Chi, come me, non partecipò direttamente alla prima fase di questa evoluzione ma la osservò da spettatore, non poteva non notare immediatamente come queste caratteristiche collocassero il Teatro di Pisa in posizione di netto rilievo rispetto ad analoghe istituzioni di città vicine e lontane. Ciò determinò il fatto che esso poté giocare un ruolo centrale sui tavoli decisionali e di discussione in ambito regionale e spesso anche nazionale.
Vale la pena di citare alcuni aspetti (scelti fra i moltissimi disponibili) di questa “identità” del Teatro che possano simbolizzarne il significato:
- l’apertura fisica degli spazi del Verdi che quotidianamente era abitato dalla mattina presto fino a notte fonda da centinaia e centinaia di utenti di tutte le età per lezioni, laboratori, spettacoli, incontri, seminari;
- la percezione sociale del Teatro come di un luogo sicuro di incontro e di confronto, come una “piazza” alla quale le scuole e le famiglie affidavano volentieri i propri ragazzi tanto che per un certo periodo le scuole di Pisa, consorziate fra loro, divennero “socie” della Fondazione ed ebbero un loro rappresentante nel Collegio di indirizzo;
- l’elaborazione progettuale raffinata e continua, spesso fortemente innovativa, che portò, sia in campo artistico che formativo, a riconoscimenti decisivi (per esempio ripetuti finanziamenti europei, collaborazioni di altissimo rilievo nazionale e internazionale, l’affidamento di importanti responsabilità organizzative) e all’assegnazione di premi prestigiosissimi (come il “Premio Abbiati” al progetto Opera Studio);
- la garanzia qualitativa fornita dall’efficienza della struttura in tutte le sue articolazioni tecniche (produzione, palcoscenico, comunicazione, amministrazione);
- la reale condivisione dei dipendenti di tutte le fasi, positive e negative, della vita del Teatro che portò anche a sacrifici e rinunce economiche.
Ebbene questa “identità” del Teatro di Pisa è stata progressivamente destrutturata e infine smantellata pezzo per pezzo.
All’inizio ciò avvenne in base a motivazioni di natura economica – l’alleggerimento del bilancio, i costi di gestione troppo alti – con azioni che però miravano anche al completo rinnovamento del gruppo dirigente sia amministrativo che artistico.
Successivamente, invece, la strategia politica (o la mancanza di strategia dovuta, temo, a incompetenza e ignoranza nel settore) fu quella di rinunciare agli obiettivi prima di tutto qualitativi per puntare alla quantità (nel numero di spettatori e di produzioni) con il risultato che la mediocrità divenne standard e finì per tagliare quasi tutte le storiche relazioni di collaborazione con i teatri di tradizione italiani.
Contemporaneamente furono abbandonate la preziosa specificità progettuale e gestionale del lavoro di formazione sui giovani cantanti e, sempre relativamente alla lirica, tutte le importantissime relazioni con il mondo della scuola pisana. Il risultato è che, nonostante gli sforzi eroici di qualcuno, l’isolamento del Teatro di Pisa è pressoché totale. Lo è per le relazioni artistiche e istituzionali sia internazionali che nazionali, lo è sul piano dei rapporti con il tessuto cittadino (scuole, associazioni, istituzioni culturali), lo è perché non è più perseguita in alcun modo l’idea di un teatro vitale, fonte di stimoli per la città, capace di attrarre i cittadini non solo come luogo di svago e di effimero divertimento.
Un tempo il Teatro di Pisa era considerato e vissuto (e da qualcuno faticosamente “sopportato”) come la maggiore istituzione di produzione culturale, accanto all’Università, della città. Oggi si fatica anche a riconoscerne il profilo culturale e, nel settore della lirica, si assiste sgomenti a operazioni contrassegnate dall’approssimazione e dalla superficialità. E poiché esse spesso non raggiungono i requisiti minimi degli standard professionali, vengono spacciate per nuove frontiere della produzione operistica. Senza dimenticare che fanno pure carneficina delle residue, e sempre preziose, risorse umane professionali di cui il Teatro dispone.
È una situazione che lascia sgomenti gli appassionati ma che è anche assai meno innocua di quanto si possa pensare. Sappiamo bene tutti infatti che il teatro è una finestra dalla quale la città guarda sul mondo, ma è altrettanto vero e inevitabile che la stessa finestra sia anche quella attraverso la quale il mondo può guardare la città. E ciò che ora lascia vedere è veramente penoso.
Claudio Proietti, musicista, è stato Direttore delle attività didattiche e formative per il settore musica del Teatro di Pisa dal 1997 al 2010, nonché Direttore artistico del medesimo teatro nel biennio 2009/10 e Direttore musicale dell’orchestra e del coro CittàLirica fra il 2002 e il 2004. per saperne di più su Claudio Proietti
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