Enrico Bimbi, passione sommelier

sommelier

Enrico Bimbi cammina su e giù dietro al bancone del suo negozio a La Rotta, frazione del comune di Pontedera. «Il vino è un’emozione – dice – è un essere vivente che si evolve nel tempo, cambia nella botte e anche nel bicchiere. E quando te ne accorgi è un incanto». È titolare di uno storico Tabacchi, ma nel passo misurato, nell’eleganza dei vestiti e nell’eloquio forbito, Enrico tradisce la propria seconda identità: quella di raffinato sommelier, esperto di vini e organizzatore di eventi culinari.

Negli anni ha collaborato con diversi comuni, fra cui quello di Pontedera, dove coordina i Giovedì del gusto, serate dedicate all’abbinamento di pietanze e vini per la diffusione di una cultura della degustazione consapevole. «Abbinare correttamente vini e pietanze» ci spiega infatti Enrico «significa ampliare le possibilità di godimento, di digestione, e dunque di benessere psicofisico».

Nel corso di una lunga chiacchierata racconta a TuttoMondo le regole dell’abbinamento perfetto, chiarisce alcuni aspetti del mestiere di sommelier e spiega perché un buon vino è in grado di esaltare la nostra percezione degli alimenti. In questa prima parte ripercorriamo le origini di una passione, l’esordio nel mondo dell’enogastronomia e i segreti del mestiere, con qualche suggerimento da portare sulle vostre tavole.

«Ho scoperto la passione quand’ero molto piccolo. A vent’anni già andavo per cantine, in cerca di buon vino» attacca Enrico, e sua madre gli fa subito eco: «Da piccino beveva l’acqua tinta, cioè vino annacquato». Enrico conferma con un sorriso: «Se ad attrarmi, inizialmente, era la soddisfazione di berlo, col tempo ho scoperto nel vino una materia inesauribile, dalle mille sfaccettature: nonimage esiste una ricetta unica e ripetibile per farne uno buono, ogni hanno il produttore incontra problematiche diverse, perciò è la sua sensibilità a fare la differenza.» Per un sommelier, questa si traduce in una vera forma d’arte: «Si tratta di un lavoro prima di tutto materiale» puntualizza il commerciante, che ogni tanto si interrompe per servire un cliente, e poi torna a passeggiare riprendendo il filo del discorso. «Un’arte, nel senso della composizione, che dunque richiede determinate competenze per essere apprezzata al massimo». Lui queste competenze le ha acquisite con lo studio: negli anni ’90 frequenta lezioni della Fisar e diventa sommelier. Tre corsi, un esame scritto e uno orale. «Ci vogliono costanza e tecnica per diventare intenditori» continua Enrico «non è questione di talento, ma di allenamento».

L’allenamento consiste nel raffinare e potenziare le vie percettive: «Le percezioni gustative fondamentali della bocca sono quattro: dolce, salato, acido e amaro. Conoscere le zone delle lingua dove
sono ubicate permette di indagare al meglio ogni sapore». Queste percezioni, se pur importanti, devono essere integrate da altre, antecedenti e successive, che ci trasmette l’apparato olfattivo in due step: «In primis troviamo l’olfazione, cioè l’inalazione diretta con il naso degli odori. L’altro momento fondamentale quello della sommelierretro-olfazione, cioè una risalita, dopo mangiato o bevuto, delle sostanze volatili. Ecco perché non si è finito di gustare un cibo, o un vino, dopo aver masticato e deglutito». Il bello arriva dopo: «Il cervello possiede una memoria olfattiva che va allenata durante il giorno, concentrandosi per distinguere gli odori». Il sommelier diventa così una specie di “cane da tartufo” capace di isolare e codificare gli aromi presenti nel vino degustato. «A volte faccio a gare con mia moglie» scherza Enrico. «Ormai sono in grado di riconoscere tutti i prodotti per la pulizia della casa».

Nel ’91 Enrico Bimbi entra nel consiglio direttivo della Fisar di Pontedera, dove è rimasto per due anni, organizzando eventi basati sull’abbinamento vino-pietanza. «Oggi li considero inscindibili, due facce della stessa medaglia che si completano a vicenda: se si sposano, il connubio moltiplica il godimento dei sensi». Ecco allora le tre regole per un matrimonio perfetto:

Prima regola: «Dall’accostamento devono nascere sensazioni inedite, che sono la fusione dei due elementi, cibo e vino».

Seconda regola: «Il vino non deve mai essere “inferiore” al piatto».

Terza regola: «Il vino deve agevolare il godimento, esaltando i sapori e smussando i difetti o le “interferenze” del piatto».

Quest’ultima regola vale anche a proposito del dolce, il quale «deve essere inseguito dal vino che l’accompagna». In altre parole: «Uno spumante secco su un dessert è un controsenso, e un profitterol alla panna va bene con bollicine dolci che lo sgrassano, come un moscato piemontese, o un San Colombano di Fauglia, per restare in casa».

In questo articolo applichiamo le regole a un pranzo completo. Il prossimo mese parleremo dei Giovedi del gusto.

IOFilippo Bernardeschi

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