I Segni della Guerra a Palazzo Blu

“I segni della guerra”, a Palazzo Blu una città nel primo conflitto mondiale.

Palazzo Blu torna al consueto appuntamento di primavera con la mostra “I segni della Guerra”, inaugurata lo scorso 27 marzo. La rassegna è dedicata al primo conflitto mondiale e commemora il centenario dall’ ingresso in guerra dell’Italia.

L’esposizione, curata dal Professor Antonio Gibelli dell’Università di Genova, coadiuvato dal Dr. Carlo Stiaccini e, per le ricerche su Pisa, dal Dr. Gianluca Fruci, ripercorre le tappe che caratterizzarono il conflitto: dalla controversa attesa, alla mobilitazione militare, civile e umanitaria, fino ai segni lasciati ai posteri, in memoria degli eventi. «Nell’ampio panorama di mostre, in Italia e in Europa, allestite in occasione del centenario dall’inizio della Prima Guerra Mondiale, “I segni della guerra. Pisa 1915-1918: una città nel primo conflitto mondiale” – affermano i curatori – è la prima, di una certa ampiezza, che racconti gli influssi della Grande Guerra sulla vita di un’importante città italiana, sulla sua popolazione e sulle sue istituzioni».

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Trincea e Industria, I segni della guerra, Palazzo Blu

 

 

La mostra è articolata in sei sezioni. Le prime tre trattano dell’aspro confronto ideologico che precedette l’intervento italiano e della guerra in trincea. Attraverso la stampa periodica locale, e i manifesti provenienti dall’importante collezione dell’Istituto Mazziniano di Genova, sono testimoniati il dibattito sull’intervento italiano nel conflitto e la propaganda per il consenso e il sostegno della popolazione. I cimeli esposti, provenienti da prestiti privati e pubblici, tra cui il Museo della guerra di Rovereto, ricostruiscono l’equipaggiamento in dotazione ai militari. Le uniformi, gli armamenti e gli strumenti documentano il livello tecnologico raggiunto e lo sforzo produttivo dell’industria, a cui contribuirono moltissime donne.

La terribile e alienante esperienza del fronte, con il crescente bisogno dei soldati di mantenere un legame con la normalità quotidiana, è invece testimoniata dalla corrispondenza dei militari pisani, esposta e consultabile anche in formato digitale.

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Memoria, I segni della Guerra, Palazzo Blu

Le sezioni seguenti descrivono il progressivo coinvolgimento di Pisa nel conflitto. Nonostante la sua posizione periferica rispetto al teatro di guerra, gli effetti del conflitto divennero sempre più concreti e tangibili. Segni iniziano a disegnarsi sul territorio sotto forma di campi di volo, dove si formeranno gli assi dell’aviazione italiana. Dopo la sconfitta di Caporetto, invece, l’ombra dei tragici eventi fu presente ovunque: negli ospedali brulicanti di feriti, nei campi di accoglienza dei profughi in fuga dal Veneto e dal Friuli, nelle aule universitarie e nella vita quotidiana attraverso la propaganda, la censura e il crescente dissenso. Infine, con il bilancio, l’eredità e la memoria, seguirono le intitolazioni ai caduti di vie e piazze, e la retorica di una narrazione tesa ad oscurare la catastrofe, esaltando l’ aspetto eroico del sacrificio.

Per l’allestimento della mostra si è resa necessaria una ricerca ex novo, che ha impegnato i curatori nell’inventario e nell’esplorazione di giacimenti documentari, archivistici, bibliotecari, collezionistici, di stampa periodica locale, tra cui fondamentali sono stati l’Archivio di Stato di Pisa e l’Archivio del Cardinale Pietro Maffi, all’epoca Arcivescovo di Pisa. Una ricerca condotta anche fuori dal territorio, presso istituzioni come l’Archivio della Presidenza della Repubblica, dove sono presenti documenti della Casa Savoia, compresi quelli riferiti alla tenuta reale di San Rossore, l’Ufficio storico dell’Aeronautica, che conserva documenti sulle scuole di volo pisane e il Museo storico dell’Aereonautica militare di Vigna di Valle.

Come sottolinea Cosimo Bracci Torsi, Presidente di Palazzo Blu, la mostra non intende «celebrare l’intervento ma ricordarlo come una catastrofe, ma anche come un evento di enorme portata storica, che introdusse il nostro paese nella modernità». Un evento epocale che segnò l’ingresso dell’Italia nel “Secolo breve”: il periodo che lo storico britannico Eric J. Hobsbawm racchiude tra la Grande Guerra e il dissolvimento dell’Unione Sovietica (1914 – 1991).

Cosa resta oggi di quegli eventi, oltre al ricordo? Quale tangibile riverbero ne conserva la nostra società?

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Strumenti di guerra, I segni della Guerra, Palazzo Blu

La Grande Guerra impegnò i soldati in nuove modalità di combattimento, spesso costringendoli a trascorrere lunghi mesi in attesa di un nemico invisibile, al di là delle trincee: strutture praticamente inespugnabili, se non a prezzo di migliaia di vite umane.

La propaganda a favore della guerra, facendo leva sulla scarsa conoscenza del nemico, influenzò l’opinione pubblica fornendone un’immagine terrificante o vile. Noam Chomsky, a proposito della sempre più incisiva e sofisticata “fabbrica del consenso”, scrive: «Accadde durante l’amministrazione di Woodrow Wilson, che fu eletto presidente [degli Stati Uniti] nel 1916 con un programma intitolato “Pace senza vittoria”. La Prima Guerra Mondiale infuriava, e la popolazione americana era decisamente pacifista: riteneva che non ci fosse alcun motivo per farsi coinvolgere in un conflitto europeo. L’amministrazione Wilson invece era favorevole alla guerra, perciò doveva trovare un modo per ottenere il consenso popolare al proprio interventismo. Fu dunque istituita una commissione governativa per la propaganda, la Commissione Creel, che nel giro di sei mesi riuscì a trasformare una popolazione pacifista in un popolo fanatico e guerrafondaio, deciso a distruggere tutto quanto appartenesse alla Germania, a trucidare i tedeschi, a entrare in guerra e a salvare il mondo. […] Il dispiegamento di mezzi fu ingente; per esempio, furono divulgate terribili storie sulle atrocità commesse dai tedeschi, cronache di bambini belgi con le braccia strappate e altri orrori di ogni sorta, che si trovano ancora nei libri di storia. Molte di quelle invenzioni erano frutto del Ministero della Propaganda britannico, […] miravano a controllare il pensiero dei membri più intelligenti della comunità statunitense, che avrebbero poi diffuso la propaganda da loro escogitata e convertito un paese pacifista all’isteria di guerra. Funzionò. Funzionò tutto perfettamente, e fu una lezione: la propaganda di stato, quando è appoggiata dalle classi colte e non lascia spazio al dissenso, può avere un effetto dirompente. Una lezione che Hitler e molti altri appresero a fondo e di cui si tiene conto ancora oggi».

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Propaganda di guerra, i segni della Guerra, Palazzo Blu

Dal punto di vista mediatico la mostra offre un’esperienza attraverso l’animazione di due personaggi realmente esistiti: Antonio Ceccotti, mezzadro di Casciana, socialista e pacifista e Ivo Stojanovich, studente di giurisprudenza, nazionalista, volontario. I dilemmi e gli esiti del loro dramma, incarnati dai monologhi di due attori, si basano sui testi autobiografici dei personaggi, pervenutici in forma di manoscritto e a stampa. Dilemmi che il cinema ha rappresentato in opere di orientamento pacifista e antimilitarista spesso censurate, come Uomini contro (1970) di Francesco Rosi. Protagonisti sono il tenente Ottolenghi (Gian Maria Volonté), veterano con idee socialiste e il sottotenente Sassu (Mark Frechette), ex studente interventista. Tra ordini ingiusti non eseguiti e atti di insubordinazione troveranno la morte: il primo in uno dei tanti assalti insensati, il secondo davanti al plotone di esecuzione del suo generale.

Oltre agli incontri organizzati da Palazzo Blu, a corollario della mostra, il Cineclub Arsenale propone una rassegna di film d’Autore, che raccontarono la Grande Guerra, in epoche e climi culturali differenti. Sarà possibile rivedere sul grande schermo rarità come il film muto Maciste alpino (1916) di Luigi Maggi, definito il miglior film di propaganda prodotto in Italia sulla Grande Guerra, che sarà proiettato nella versione restaurata presentata all’ultimo Festival di Venezia; capolavori spesso censurati come Addio alle armi (1932) di Frank Borzage, con Gary Cooper; La grande illusione (1937) di Jean Renoir, con Jean Gabin e Erich von Stroheim; Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, con Kirk Douglas; e l’indimenticabile La Grande Guerra (1959) di Mario Monicelli, con Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Bernard Blier e Silvana Mangano.

Uniformi, I segni della Guerra, Palazzo Blu

Uniformi, I segni della Guerra, Palazzo Blu

Infine, torneranno i prati (2014) di Ermanno Olmi, il cui titolo è scritto tutto minuscolo, minimo come la storia che racconta. Nel film, infatti, non ci sono scene madre, ma silenzi, piccoli oggetti, volti anonimi che ritrovano l’identità soltanto quando il loro nome viene pronunciato alla consegna della posta. Su quel “limitar di Dite”, sepolti dalla neve, alcuni personaggi si rivolgono a noi, ormai coscienti dell’inganno in cui sono caduti. Sono mossi dal timore che il sacrifico possa essere stato inutile, come il soldato che dice: «di quel che c’è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero».

Il film, come dichiara il registra, invita a interrogarsi sul ruolo della memoria, perché torneranno i prati dopo l’immane tragedia, ma seguirà anche il silenzio della normalità. È un omaggio a milioni di giovani verso i quali abbiamo un debito in sospeso, ai quali non abbiamo ancora chiesto scusa.

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Corrispondenza, I segni della Guerra, Palazzo Blu

Enzo Lamassa

BLU | Palazzo d’Arte e cultura

Lungarno Gambacorti, 9 | Pisa

I segni della guerra

Pisa 1915-1918: una città nel primo conflitto mondiale

28 marzo – 5 luglio 2015

ingresso libero

dal martedì al venerdì, orario: 10.00 – 19.00 (18.30 ultimo ingresso)                 sabato e domenica, orario: 10.00 – 20.00 (19.30 ultimo ingresso)

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