FIRENZE – 2 Ottobre 2016. Dopo circa cinque mesi si è conclusa la mostra patrocinata dal Comune di Firenze dal titolo Jan Fabre. Spiritual Guards, che ha visto come protagonista l’opera dell’artista belga, uno dei più rivoluzionari e considerevoli del panorama contemporaneo. L’esposizione si articolava tra il Forte del Belvedere, Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio. La rassegna d’arte, preannunciata come la mostra più importante dell’anno a Firenze, rappresenta sicuramente una delle più complesse esposizioni che si sono allestite in Italia sull’artista fiammingo. Il successo che ha avuto è stato più che soddisfacente per gli organizzatori, i quali hanno visto staccare circa 180000 biglietti, per non parlare dell’ascolto che avuto anche tra i media italiani e d’oltralpe. Il Forte del Belvedere, l’antica fortezza medicea, ha assunto la veste di centro per l’arte contemporanea. Ciò rappresentava uno degli obiettivi prefissati dall’amministrazione, dalle curatrici Melania Rossi e Joanna De Vos così come dal direttore artistico del progetto Sergio Risaliti.
I visitatori hanno avuto modo di vedere circa 100 opere realizzate da Fabre tra il 1978 e il 2016, tra cui molte installazioni e sculture, alcune delle quali pensate e realizzate appositamente per l’evento.
Le “guardie spirituali”, da cui il titolo della mostra, hanno per Fabre il ruolo di mediatore tra la natura e lo spirito, sono creature, figure e animali, che si pongono come illustri cavalieri e simboliche guide, convinto che la principale missione dell’artista si quella di assumere il ruolo di guardia spirituale.
Il mondo animale ha sempre affascinato Fabre il quale spesso utilizza, sia come soggetto che come oggetto e materiale tecnico-artistico, insetti e altri animali come gatti e cani per la realizzazione di opere creative dal carattere spettacolare e dissacrante. La mostra fiorentina è solo l’ultima di una serie al cui interno sono state esposte opere che vedono animali come protagonisti incontrastati.
L’artista a volte crea queste forme con materiali artificiali ma molto spesso si serve di animali o parti di essi provenienti dal mondo naturale. Fabre è convinto gli animali siano gli esseri più naturali e disinibiti i quali utilizzano al massimo i cinque sensi durante le attività principali della loro vita, molto più degli uomini.
Questa “mania” nasce dalla passione di Fabre per gli scritti e le ricerche condotte dall’entomologo e naturalista francese Jean-Henri Fabre (1823-1915), del quale l’artista dice di essere il nipote. Al di là della presunta discendenza è innegabile la singolarità dell’omonimia. A dire il vero, secondo gli storici e i critici, i due sarebbero agli antipodi riguardo il rapporto con gli animali in quanto il celebre studioso francese era un naturalista che rispettava il loro habitat, i loro bisogni, e non ne ha mai fatto oggetto di ricreazione o esibizionismo come invece ha fatto l’artista belga il quale è noto per l’uso e, come direbbero alcuni, l’abuso, di animali durante alcune live performances. Voler aumentare esponenzialmente la cifra visiva dei suoi spettacoli spesso ha portato Fabre ad ottenere l’effetto contrario. Questo è ad esempio ciò che è accaduto ad Anversa, sua città natale, nel 2012 quando sulle scale del municipio della città ha messo in scena un numero in cui un gruppo di persone era intento a lanciare letteralmente gatti per aria, molti dei quali, secondo alcuni testimoni, caddero malamente per terra. I presenti prima e gli animalisti poi si sono infuriati per le violenze inflitte sui felini al punto tale che alla fine della sua performance è stato malmenato e aggredito da alcuni spettatori irritati. Al termine dell’evento è dovuta intervenire la polizia e Fabre, nonostante le pubbliche scuse, ha ricevuto due denunce per maltrattamento sugli animali.
Non era la prima volta che l’artista faceva uso di gatti o di altri animali domestici per il suo raccapricciante fare artistico: nel 2007 creò un’istallazione dal titolo Il reclamo dei gatti randagi morti in cui, al centro di una scarna scenografia composta da un fondo nero, dall’alto scendevano appesi ad alcuni ganci da macelleria i corpi imbalsamati di nove gatti in posizioni diverse. Quest’opera aveva un precedente analogo, infatti nel 2006 aveva già indignato il popolo animalista quando al Museo delle Belle Arti di Anversa realizzò l’installazione Il carnevale dei cani randagi morti, dove in questo caso al posto dei gatti furono appesi i corpi morti di alcuni cani ricoperti da stelle filanti, con indosso i tipici cappellini a forma di cono che si utilizzano nel periodo di carnevale, all’interno di un ambiente pieno di coriandoli. Il tutto faceva pensare ad una macabra festa di carnevale.
La provocazione di Fabre consiste nell’intento cosciente di suscitare una reazione di shock nel pubblico. L’artista, con opere come queste intendeva “mostrare” e denunciare pubblicamente l’ipocrisia borghese, l’incoerenza psicologica di molta gente che egoisticamente abbandona gli animali, causandone la loro morte e che poi prova sdegno e indignazione alla vista dei loro corpi esposti.
Bisogna comunque specificare che Fabre si è sempre fornito di animali già morti prima per cause naturali o stenti e poi imbalsamati o impagliati.
A tal proposito l’artista ha dichiarato: “Non ho mai né ucciso né fatto del male a un solo animale per la mia arte. Gli animali mi stanno profondamente a cuore. Quelli che utilizzo, come lo scoiattolo esposto a Palazzo Vecchio, sono certificati come morti per cause che non c’entrano niente col loro utilizzo nell’arte. In Belgio, gli animalisti mi hanno fatto molte cause ma le hanno perse tutte”.
Nella dichiarazione Fabre fa riferimento ad un’altra delle opere esposte a Firenze, quella del 2012 intitolata Teschio con scoiattolo, dove un teschio rivestito di scarabei dal carapace cangiante tiene in bocca il corpo di uno scoiattolo. I coleotteri rappresenterebbero il passaggio dalla vita alla morte, tutti sanno quanto fossero considerati sacri dagli Egizi in tal senso. All’interno della stessa mostra, in una sala di Palazzo Vecchio, Fabre ha esposto un mappamondo gigante la cui superficie è stata ricoperta interamente degli stessi scarabei.
Nonostante i ragionamenti artistici e i procedimenti tecnici relativi giustifichino la creazione di opere d’arte come queste, la visione di esse suscita spesso un certo polemico interesse, a volte scalpore, forse perchè i generali principi di morale ed etica impongono una certa cifra di giudizio nella quale tutti si impegnano a riconoscersi.
Dario Lauria
- I sacri animali di Jan Fabre: uso o abuso? - 28 Ottobre 2016