“Passaggi” di Silvana Vassallo

Sembra che la gallerista Silvana Vassallo sia riuscita a dar vita a un luogo dove i fermenti delle attività universitarie – realtà con la quale è da sempre in stretto contatto – incontrano quelli della produzione artistica più contemporanea. Affascinati dalla sua importante personalità, abbiamo avuto il piacere d’intervistarla.

Oggi, pensando alle gallerie d’arte, non si può far a meno d’immaginare un luogo circondato da pareti bianche, riempito da parole vaghe, forme indefinite, discorsi tendenzialmente abbigliati seguendo le più basilari regole dell’irriverente buonsenso e, in definitiva, tanto marketing. Come se la comunicazione fosse il fine di un’incessante febbre di potere economico.

Ma è ancora importante che qualcuno s’interessi a tutto ciò che gli artisti sanno, parafrasando il titolo dell’ultima personale dell’artista Mariagrazia Pontorno, che ha trovato a Pisa, nella galleria Passaggi della Vassallo, un luogo fatto sì di pareti bianche, ma fertile di idee, proposte, suggestioni e scambi.

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Passaggi. Partiamo da qui: da dove nasce l’idea? Come mai la scelta di questo nome per la tua galleria d’arte?

Quando il progetto di aprire una galleria ha cominciato a concretizzarsi, mi sono immaginata il suo  spazio come un contenitore dinamico di opere, persone, emozioni e  riflessioni. Così è nata l’idea di “passaggi”, un termine che tra i suoi significati include la dimensione fisica del “transitare” in un luogo, abitarlo temporaneamente, condizione che caratterizza la modalità di fruizione di uno spazio espositivo. Passaggi rimanda anche a una dimensione mentale, suggerisce incursioni in territori liminali, un’esperienza che l’arte rende possibile. Inoltre, è un termine che ritrovo in tanti testi e opere che ho amato: I passages di Parigi di Walter Benjamin, Passage to India di Edward Morgan Foster, Passages di Henri Michaux, il video Passage di Bill Viola, lo splendido interludio Time Passes, all’interno di Gita al Faro di Virginia Woolf.  Tanti i riferimenti letterarari, ma è una parte importante del mio bagaglio culturale.

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M. Pontorno, “Tutto ciò che so”, galleria Passaggi, 2015

 

Pensiamo all’universo delle gallerie d’arte: luoghi dove un tempo avvenivano importanti scambi di natura commerciale e ideologica, talvolta empatica. Oggi, nell’era di internet e della digitalizzazione, dell’estrema facilità nella diffusione di notizie e degli acquisti on-line l’opportunità di dar vita ad una realtà di questo genere conosce dei limiti? Se sì, come si superano?

Quello che dici è vero, le gallerie hanno in parte perso il ruolo di luoghi di aggregazione. Spesso l’afflusso di pubblico si concentra alle inaugurazioni o ai finissage, privilegiando “l’evento” a una frequentazione più assidua. Per un gallerista che voglia entrare in contatto con il mondo dei collezionisti diventa sempre più importante partecipare a fiere nazionali e internazionali, appuntamenti tra il commerciale e il curatoriale in grado di attirare, con la loro offerta differenziata, i protagonisti del variegato popolo dell’arte. Per quanto riguarda il rapporto con gli artisti, è incredibile, ad esempio, la quantità di e-mail che ricevo con richieste di visionare on-line opere e  curriculum per eventuali collaborazioni. Non sempre questo è un modo efficace per stabilire un rapporto professionale con il gallerista, perché, secondo me, il contatto personale e una visione dei lavori dal vivo restano per molti aspetti insostituibili: spesso è difficile giudicare la qualità di una determinata produzione artistica basandosi solo sulle immagini. Ma non voglio demonizzare la tecnologia, che è diventata parte integrante del nostro modo di comunicare, e che in certi casi è uno strumento estremamente utile per diffondere informazioni e raggiungere un gran numero di persone. Solo, bisogna trovare un equilibrio tra dimensione reale e virtuale. Per quanto mi riguarda, sin dall’inizio mi sono immaginata Passaggi come un luogo d’incontro e di condivisione d’interessi, dove poter svolgere un’attività culturale in senso lato, da affiancare all’attività espositiva. E’ in quest’ottica che nell’ambito della mostra di Mariagrazia Pontorno Tutto ciò che so, che si è appena conclusa,  ho invitato due artisti, Dacia Manto e Fabrizio Prevedello, a confrontarsi con il tema del rapporto natura/artificio, centrale nella loro poetica così come in quella della Pontorno. Gli incontri sono stati organizzati in collaborazione con l’Associazione Culturale Multiversum Art (che ho contribuito a fondare un paio di anni fa) e il Comune di Pisa, ed hanno suscitato interesse e partecipazione: ciò mi incoraggia a continuare su questa strada.

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M.Pontorno, installazione per “Tutto ciò che so”, galleria Passaggi, 2015

 

È importante, per te e per la tua galleria, stabilire un legame col territorio o preferisci aprire finestre sulla scena internazionale, puntando una lente su artisti e temi non necessariamente legati allo scenario pisano?

Vorrei mantenere saldo il rapporto con il territorio e allo stesso tempo fare in modo che questa sia una ricchezza in più per aprirsi a esperienze di collaborazioni a livello nazionale e internazionale. Ritengo che in questa prospettiva, stabilire forme di collaborazione tra istituzioni pubbliche e private è una pratica che andrebbe incentivata. Pisa è una città con un’antica tradizione culturale e sede di prestigiose istituzioni: l’Università, il CNR, la Scuola Normale Superiore, la Scuola Superiore Sant’Anna. Operare in un contesto così ricco di stimoli, dove la considerevole presenza di giovani rende vitale il confronto con i temi della contemporaneità, rappresenta  a mio avviso una grande risorsa per riflettere sulle proprie radici, confrontandosi al contempo con altre culture e altri paesi. Riuscire a coinvolgere un pubblico giovanile è un aspetto a cui tengo molto, per cui ho attivato una convezione con l’Università  per la realizzazione di tirocini formativi. Mi ha fatto anche molto piacere che alcuni docenti abbiano portato i loro studenti a visitare la galleria, dimostrando interesse per la mia attività, e sostegno.

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Varcando la soglia di Passaggi si ha da subito l’impressione di trovarsi in un luogo che vive sospeso in una dimensione ideale, dove storia, poetica e ricerca delle opere in mostra accolgono con grande gentilezza la curiosità di chi decida di lasciarsi travolgere dall’intima atmosfera del posto. Questa l’impressione durante la fruizione di Tutto ciò che so, l’ultima esposizione dedicata all’opera di Mariagrazia Pontorno. Nel raggiungimento di un tale equilibrio, quanto conta il dialogo tra gallerista e artista? Quale criterio adotti nella selezione dei tuoi artisti?

Prima di tutto ti ringrazio per le tue impressioni “sull’atmosfera” di Passaggi, per me queste sono verifiche importanti. Per quanto riguarda il criterio di selezione degli artisti, direi che essenzialmente si basa su rapporti di apprezzamento del loro lavoro e di condivisione di “forme di attenzione”, per usare un’espressione di Sabrina Mezzaqui, un artista a cui devo molto e con cui ho inaugurato l’attività della galleria, il maggio scorso.

 

Nella dichiarazione d’intenti leggo una certa volontà nella promozione di eventi interdisciplinari e cross-mediali. A cosa fai riferimento?

In parte ho già risposto parlando della “doppia anima” della galleria, come luogo di esposizione ma anche di produzione e riflessione sull’arte e la cultura contemporanea. Questo per me implica un potenziale coinvolgimento di discipline diverse, che esulano dall’ambito strettamente artistico.

 

Quali progetti per il futuro? 

Nel mese di marzo organizzerò, in collaborazione con Multiversum Arte, due eventi: il 15 marzo un incontro con l’artista Tatiana Villani (di cui dal 10 al 21 marzo saranno allestiti alcuni lavori in galleria), a cura di Alessandra Ioalè;  il 28 marzo la presentazione del libro di Sandra Burchi Ripartire da casa. Lavori e reti dallo spazio domestico, che sarà accompagnato da un intervento artistico di Beatrice Meoni. Ad aprile, poi, inaugurerò una mostra di Darren Harvey-Regan, giovane artista inglese il cui lavoro indaga i confini tra fotografia e scultura.

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Nel 1936 veniva pubblicato per la prima volta L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin, dove si poteva leggere:

Uno dei compiti principali dell’arte è sempre stato quello di creare esigenze che al momento non è in grado di soddisfare.

E’ con queste parole che auguriamo a Silvana Vassallo di poter sempre continuare al meglio nel seguire il suo lavoro nella ricerca e nella proposta di qualcosa che valga quantomeno la pena di una visita nella sua Passaggi, rispondendo al bisogno di soddisfare quelle esigenze create da un’arte che fatichiamo sempre più a definire tale.

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Giulia Buscemi

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