Muti dirige “Le Nozze di Figaro” e ci riscopriamo mozartiani

La presente recensione fa parte di un reportage interamente dedicato all’edizione 2019 della Riccardo Muti Italian Opera Academy in prossima pubblicazione.

RAVENNA – La quinta edizione della Riccardo Muti Italian Opera Academy è prossima alla chiusura e il Teatro Alighieri alza il sipario sul primo dei due concerti conclusivi. Mercoledì 31 luglio è proprio il padrone di casa a tenere a battesimo la produzione, quest’anno dedicata a Le Nozze di Figaro di Mozart, primo titolo non verdiano dell’Academy: Riccardo Muti fa il suo ingresso per ultimo, quando già orchestra e cantanti avevano preso posto di fronte a una sala grande gremita.

L’attacco dell’Overture – l’incipit della «folle giornata» – è leggero, breve: per l’orchestra, dietro a quel gesto ci sono sette giorni di prove aperte, l’alternarsi di sei bacchette diverse (cinque delle quali di studenti), e un lavoro sotterraneo estremamente esteso. Tuttavia vengono restituiti al pubblico solo la leggerezza, la follia, i dubbi, le ombre, il gioco, in altre parole gli elementi principali con cui Mozart ha costruito il primo “episodio” della sua trilogia italiana. All’Overture si inanellano i due duetti tra Figaro e Susanna (Cinque, dieci, venti e Se a caso madama), seguiti poi dalla “rivoluzionaria” Cavatina. Dopo l’uragano di applausi scatenato dalla pomposa aria di Bartolo – La vendetta! – è giunto il momento della prima aria di Cherubino, un incubo di sfumature e di delicatezze per qualsiasi orchestra. Al di là della (strepitosa) qualità dell’esecuzione, quest’aria unita ai precedenti numeri musicali – e in particolare la ripresa della Cavatina di Figaro Se vuol ballare, signor contino – ha mostrato con chiarezza l’intento del M° Muti: più che il tempo, certe entrate e tutte le frattaglie che di solito ingombrano il gesto di un direttore d’orchestra, il Maestro ha diretto i colori della partitura. All’inizio di Non so più cosa son, cosa faccio, Muti ha somministrato quei pochi gesti essenziali all’orchestra per capire tempo e carattere del brano e poi si è arrestato, portando la sua attenzione e il suo gesto tutta sui colori, sulle sfumature. È impossibile vedere un approccio del genere e non pensare istintivamente a ciò che un giorno Carlos Kleiber confidò al Maestro: che il suo sogno era «dirigere senza dirigere».

Un momento del concerto

Quando si ode il tema del Farfallone amoroso si leva dal pubblico un brusio di soddisfazione, ma l’aspetto più curioso dell’intero concerto (da parte del pubblico, beninteso) è il silenzio: raramente capita di sentire un teatro pieno in assoluto silenzio, il tipo di silenzio che ha accolto la Cavatina del II Atto della Contessa e la successiva Arietta di Cherubino, la splendida Voi che sapete. C’è grande attenzione per il Terzetto ma soprattutto per il monumentale Finale del II Atto, il momento del concerto in cui si concretizza maggiormente il profilo drammaturgico delle Nozze di Figaro: è qui che il Maestro esalta – ancora una volta – i colori della partitura, che in questo Finale sono così mutevoli e caratteristici. Pregevole la rimozione dal testo di tutte le incrostazioni dovute a tradizioni d’oltralpe (che, per una volta, per lo meno non significano puntature ad libitum) e la differenza è notevole, poiché il testo musicale risulta assai più compatto, la logica più rigorosa, il carattere né svenevole né sfacciatamente sentimentale. In una parola: mozartiano.

Le selezioni dagli Atti III e il IV mettono in luce le doti dei solisti, sotto il duplice profilo della vocalità e della recitazione. Si apprezza molto la tendenza – a onor del vero necessaria – a restituire al testo la sua natura drammaturgica, benché si tratti di una selezione di brani (che quindi elimina i nessi logici tra un numero musicale e l’altro). Il cast è stato assolutamente all’altezza delle aspettative, specialmente nelle formazioni e nei concertati, anche grazie all’ottima caratterizzazione che ognuno è riuscito a fornire al proprio personaggio al pari di una rappresentazione teatrale. In questo hanno giocato un ruolo fondamentale i comprimari: Riccardo Benlodi (Don Curzio) e Adriano Gramigni (Antonio) hanno fornito un solido supporto per i colleghi; molto promettente Letizia Bertoldi (Barbarina), dotata di una vocalità dalla delicatezza di una trina.
Accostandosi al mosaico degli otto personaggi principali è d’obbligo iniziare dalla brava Isabel De Paoli, una Marcellina salace e «piccante»; interessante il timbro limpido del tenore Matteo Falcier, leggero e dal volume esile: senz’altro un ottimo Basilio e un valido interprete per i ruoli tenorili settecenteschi. Particolarmente acclamato Bartolo, qui impersonato dal ben noto Carlo Lepore: da segnalare il suo approfondito studio del testo teatrale, interpretato con gusto e con le giuste inflessioni nei punti salienti (un esempio su tutti, nell’aria La vendetta!).

Serena Gamberoni è senz’altro una valida Contessa (peraltro interpretata con successo a Cagliari nel 2017), ma in questo concerto non appare al massimo della forma: nota per i piani e per le sfumature, ha mostrato una vocalità a volte pesante nel registro acuto, specialmente nel Terzetto del II Atto e nel recitativo E Susanna non vien. Probabilmente il ruolo non è adatto alla sua vocalità. Peccato.
Sorprendente il soprano Damiana Mizzi: la sua Susanna è dotata di una voce morbida e raffinata, una dote che ha avuto ampio risalto nella meravigliosa aria dell’Atto IV Deh vieni non tardar; apprezzabile anche la sua evidente attitudine scenica. Il baritono Alessio Arduini (Figaro) dimostra fin da subito grande carisma e pieno controllo delle proprie capacità vocali – davvero interessante nel piano – e raccoglie ampi consensi già nella Cavatina del I Atto, un buon banco di prova per mostrare la propria preparazione e soprattutto le molte sfumature della vocalità.

Una menzione speciale la merita il mezzosoprano Paola Gardina, interprete di Cherubino. Con le sole due Ariette ha dato prova di una straordinaria ars canora, di un’intensità emotiva sconvolgente, capace di far vibrare corde davvero profonde. In questo caso la palma va a lei, divisa ex aequo con il Conte d’Almaviva, portato sulle tavole dell’Alighieri dal baritono Luca Micheletti: carismatico, appassionato, vive il proprio personaggio con ardente nobiltà. È un peccato non poterlo ammirare nel ruolo completo, ma nelle sue apparizioni cattura l’attenzione del pubblico fin dalle prime battute e brilla nella grande Aria del III Atto Hai già vinta la causa… Ah no, lasciarti in pace. Da segnalare anche la perfetta dizione e l’attenzione al dettaglio linguistico, come la minacciosa allitterazione in R dell’Aria sopracitata.

L’Orchestra Giovanile Cherubini – in questo caso eccezionalmente arricchita dalla presenza di Li-Kuo Chang, prima viola della Chicago Symphony Orchestra – si è confermata una volta di più (se ancora ce ne fosse bisogno) un’orchestra di livello, capace di dare al M° Muti esattamente ciò che richiede: le ombre, i timbri diafani, gli accenti ispidi, i bruschi passaggi dai piani ai forti, l’Orchestra Cherubini risulta uno strumento eccellente nel mostrare la ricchissima tavolozza impiegata da Mozart nelle Nozze di Figaro.

Photocredit: Facebook @RiccardoMutiOfficial; Instagram @riccardomutimusic By courtesy of riccardomutimusic.com

lfmusica@yahoo.com

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