Mirko Paolucci e i retroscena del Rock toscano

Conversazione con Mirko Paolucci, fondatore del Totem Rock Club e local promoter

Mirko Paolucci

Mirko Paolucci

«Il rock è uno stile di vita. Significa essere pronti a infrangere le convenzioni e a mettersi in gioco». Mirko Paolucci incrocia le gambe. Arriccia il lungo pizzetto ondulato, stretto in un cordino. Mentre il fiume Era, accanto a noi, s’immette nell’Arno in uno sfolgorio di scintille, parla della musica che gli ha segnato la vita. «Soprattutto – continua – non può piacere a tutti, altrimenti è pop… non rock!»

Forse non lo vedremo impazzire e scuotere la lunga criniera – che peraltro non possiede – a un concertone dei Metallica, ma l’uomo che mi siede davanti sorseggiando una bottiglia d’acqua ha scritto un pezzo di storia nella scena musicale toscana, portando sul palco nomi di rilievo come Motorpsyco, Verdena, Banda Bardò, Modena City Ramblers e tanti altri.

Diretto, incline alla battuta caustica, appassionato. Citando Pulp Fiction si definisce «una specie di Mr. Wolf cui viene data la possibilità di risolvere problemi e raggiungere risultati». Mirko è anche il fondatore del Totem Rock Club – storico locale di Castelfranco – dove ha collaborato con numerose celebrità, gestendo l’ambito organizzativo di festival e concerti.

Frugare nei suoi ricordi è come sbirciare dietro le quinte di uno spettacolo in attesa dei musicisti: ci vedi il duro lavoro, le scartoffie burocratiche e gli imprevisti. Ma anche i retroscena piccanti di chi ha potuto intrattenersi con le star prima e dopo l’esibizione.11693030_10206832147228043_1510435063_n

Il suo percorso inizia nel ’96, quando, insieme a Stefano Rossi, bassista dei Tossic, apre una sala prove nelle Quattro Strade di Bientina. «Una delle prime – specifica – perché a quel tempo si suonava ancora nei cascinali». L’attività dura tre anni e si aggiunge Leonardo Bianchi, altro musicista. Poi la svolta nel mondo del service: «Durammo poco, gli impianti erano pesanti, il lavoro faticoso. Allora decidemmo di buttarci nell’organizzazione».

Il trio comincia a collaborare con l’Easy Rider di Castelfranco, per il quale coordinano la prima stagione. «Forse era il 1999, non ricordo… il rock confonde le date! – scherza – comunque andò bene, ma il locale, che era in difficoltà, una volta ripreso ci scaricò e noi ripiegammo sul Ciack di Navacchio organizzando un fitto calendario: da settembre a maggio ospitammo gente come Daniele Silvestri, i Subsonica o gli Africa United. Il vero colpo furono i Verdena: ancora poco conosciuti quando siglammo l’accordo, poco prima del concerto uscì il demo e facemmo il botto».

Mirko Paolucci durante un crowd surfing

Mirko Paolucci durante un crowd surfing

Un anno dopo il locale passava a Mirko e ai suoi amici diventando Totem Rock Club. Riassumere cinque anni di eventi non è possibile e allora Mirko ne estrae solo alcuni dal mazzo dei successi: «Abbiamo organizzato il primo Rock FM Party d’Italia, con circa duemila presenze. Abbiamo avuto i Linea, gli Afterhours e Caparezza, quest’ultimo intercettato prima che uscisse con Sono fuori dal Tunnel e spiccasse il volo. Il concerto più importante, per me, è stato quello dei Motorpsycho, un gruppo alternative rock norvegese: fu come ascoltare i Pink Floyd, ma senza pagare 80 euro di biglietto. Il video è disponibile su youtube».

Come sono, i veri rockers, prima d’imbracciare la chitarra o agguantare l’asta del microfono? D’esperienze ai confini della realtà Mirko ne ha vissute parecchie. Ride, aggiusta gli occhiali da sole e per ovvie ragioni glissa sul nome dei protagonisti: «Ricordo il componente di una band italiana indie-rock: non ho mai capito come potesse portare a termine i concerti scolandosi mezza bottiglia di whisky prima e l’altra metà durante l’esibizione. Eppure suonava da Dio. C’è poi un aneddoto indimenticabile. Riguarda un artista italiano degli anni ’80, tornato spesso in auge. Un vero folle. Si portò appresso tre truccatrici transessuali che parcheggiarono l’auto sulla Toscoromagnola, chiudendo inavvertitamente le chiavi nel bagagliaio. Si creò una fila apocalittica. Credo ne risentirono fino a Modena».

Il Totem ha chiuso i battenti con la stagione 2005/2006. L’avvento dell’euro e poi la crisi hanno cambiato le carte in tavola e lavorare come Local Promoter (organizzatore freelance di concerti) è diventato un azzardo quantomai privo di garanzie: «La professione è morta con la nuova moneta – spiega Mirko – perché i costi sono schizzati fuori budget e ottenere ricavi è arduo. Solo chi usufruisce di contributi speciali può sostenere certe spese a cuor leggero».

Oggi è tutto il panorama musicale contemporaneo a lasciarlo perplesso: «Prima un artista faceva il suo percorso individuale, produceva un disco e, se piaceva, otteneva successo. I Talent hanno invertito il paradigma: mettono in scena un teatrino innescando un meccanismo d’idolatria e imitazione. Se prima era la qualità del prodotto a decretare il successo, ora si parte da quest’ultimo». Non c’era da aspettarsi un giudizio meno impietoso da chi ha mangiato pane e chitarra elettrica per anni. E da bravo rocker, a chi volesse buttarsi in una carriera come la sua, dà questo consiglio provocatorio: «Non fatelo… almeno finché ci sono io in giro».

FilippoFilippo Bernardeschi

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