Michele Catelani si racconta

 

imageQuando Michele Catelani, classe 1989, era un bambino, non sognava ancora di fare il regista. La sua passione da cineasta la scoprì solo in seguito ad un drammatico incidente automobilistico nel quale fu coinvolto e che lo costrinse a letto per alcuni mesi. «Non avevo altra scelta che leggere, leggere e ancora leggere» Spiega Catelani.

L’interesse per la fotografia, il teatro e la scrittura è alla base della sua prima esperienza come giovane regista esordiente. È così che, nel 2013, nasce Impasse, il suo primo cortometraggio. «All’epoca avevo una videocamera e una ragazza per la parte da protagonista: Carolina Caschìli. Decisi di unire le mie conoscenze sulla nouvelle vague con le conoscenze tecniche del mio amico fotografo Roberto Ballini che mi aiutò con le riprese» Il risultato? Una visione – per gran parte – in bianco e nero, di temi socialmente riconoscibili come il conflitto generazionale, il conflitto interiore e la poesia dell’anima che quasi sempre esce allo scoperto quando si respira aria di guerriglia in famiglia. Impasse è la storia di un’adolescente di buona famiglia che vorrebbe scegliere per sé un futuro da umanista ma che viene direzionata dalla rigida e veramente tanto borghese madre, verso lo studio dell’economia. Seguono momenti di introspezione e di sfogo attraverso il mezzo teatrale – grande passione della protagonista – che nel momento della diegesi occupa lo spazio di una digressione. La narrazione prosegue tra il suono rassicurante di un carillon, l’immagine di un diario personale e inquadrature dall’alto che giudicano ancora una volta l’agire della protagonista; il finale inaspettato, non è che il risultato di un treno perso.
«Ballini mi aiutò con le riprese» – spiega Catelani – «da lì abbiamo iniziato a creare una sceneggiatura forte con una produzione altrettanto forte. Inizialmente non avevo previsto di puntare così tanto sulla sceneggiatura e sulle inquadrature, tutto era nato come una cosa a perdita di tempo ma da lì tutto diventò serio piano piano e si formò una vera e propria squadra!»

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Dopo Impasse Michele Catelani si mette in gioco: sperimenta, idealizza, fantastica su un nuovo modo di fare corti, tutto incentrato sulla qualità narrativa, tralasciando la poesia dell’immagine fotografica bella e pulita e preferendo l’utilizzo di strumenti meno sofisticati, ma a vantaggio di una riflessione profonda sulle cose della vita mai sacrificata, anzi sempre ricercata.
Nel 2014 Catelani si dedica alla realizzazione del suo secondo corto cinematografico: “In principio la Rosa”. Il progetto, interamente girato nella città natale di Catelani, a Massa, in Toscana, prende spunto dall’incontro del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry con la sua rosa. In questo secondo lavoro, Catelani immagina un finale che si distacca dal testo originale e che si chiude eludendo l’aspettativa del protagonista, proprio come accade spesso nella vita vera.

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Nel “Piccolo Principe” c’è la rosa ad aspettare il protagonista, ma se invece lui tornasse senza trovarla più lì ad aspettarlo? Nel mio corto immagino un finale chiuso: quando il protagonista torna indietro, la sua rosa non c’è più.

Viene spontaneo chiedersi se ci sia del pessimismo dietro il lavoro di Michele Catelani ma lui ci tiene a precisare:

 Sono un pessimista dietro la camera, ma non nella vita: guai a me!

Conosciamo meglio questo giovane autore:

Come mai hai scelto di esprimerti proprio attraverso il cinema?

Sono stato spinto dall’interesse che avevo per la nouvelle vague: amo il modo di raccontare di Godard, soprattutto nel suo primo periodo – la mia tesi di laurea era su quest’argomento – mi piace il suo modo di unire narrazione a spazi poetici allontanandosi dalle regole narrative.
Per me è stato più facile iniziare l’avventura cinematografica, rispetto a quella teatrale, ad esempio. Ho iniziato ad appassionarmi a livello più profondo: non guardavo più i film come una semplice storia ma analizzavo i livelli narrativi della diegesi.

Quali sono i tuoi film preferiti?

“Idioti” di Von Trier, “Il bandito delle ore 11 (Pierrot le fou)” di Godard, e poi “Shame”: adoro Steve McQueen.

Oggi sono tanti gli artisti emergenti: tu cosa fai per distinguerti?

Faccio sempre quello che sento, non mi pongo il problema, non ci penso proprio

Cosa vuol dire essere un regista oggi?

Penso che, in fondo, tutti siamo registi. Io ho iniziato ad esserlo leggendo: quando leggi ti immagini le situazioni, nella tua testa nasce un vero e proprio film!

Com’è l’inquadratura ideale?

Deve riuscire a raccontare nel miglior modo possibile quello che ha di fronte, deve trasmettere in modo specifico l’idea del suo creatore. Amen.

Fai degli schemi?

Sì, disegno sempre le mie inquadrature.

Nel tuo lavoro c’è un’attenzione al linguaggio?

Sì, ci tengo molto. Il linguaggio ha certamente un suo peso perché dentro ogni opera artistica se ne serve di uno suo specifico per esprimere determinati contenuti. Nella fotografia, e quindi anche nel cinema, il linguaggio del corpo è fondamentale, come anche quello verbale: c’è da esplorare sempre un sottotesto a livello più profondo.
Anche i costumi hanno un loro peso, mi aiutano a proiettare un’idea finale che rispecchi la mia visione totale.

C’è una componente ironica nel tuo lavoro?

No, nel mio lavoro non c’è dell’ironia: l’unica cosa che interessa a me è la narrazione. Non voglio dare un messaggio, voglio soltanto mostrare le cose per come le vedo io, non mi interessa dare una morale, voglio essere soltanto un menestrello, un cantore di storie, un aedo.

Parlami del rapporto tra attore e regista per come lo intendi tu.

Mi relaziono agli attori come un uomo normale, mi metto sul suo stesso piano, chiedo loro di fare quello che vorrei io ma attraverso quello che sono loro, li faccio esprimere in modo che alla fine ciò che emerge è la mia idea.

Quindi il regista è un egocentrico?

Sì, decisamente. Si parla di collaborazione ma è lui l’ideatore, alla fine tanto i problemi quanto le soddisfazioni bussano alla sua porta. Io piego la personalità dell’attore alla mia volontà.

Il tuo attore ideale ha alle spalle un’esperienza più teatrale o cinematografica?

L’artista di teatro sa creare una realtà interiore che l’artista di cinema difficilmente possiede.

A cosa paragoneresti l’attività del regista?

A quella di una specie di psicologo della realtà. La visione del regista è quella di una lente che si modula sulla realtà: si dilata o si restringe, non la riproduce quasi mai in modo fedele. È una visione solipsistica: la realtà non esiste in modo oggettivo, chi ha detto che esiste l’oggettività è qualcuno che l’ha deciso quindi è già qualcosa di soggettivo. Noi siamo qui, adesso e stiamo parando perché io lo vedo attraverso me. Viviamo la vita attraverso la nostra percezione della realtà che può certamente essere un ostacolo ai rapporti tra le persone ma anche un vantaggio!
io vorrei arrivare a fare il regista come mestiere, adesso lo faccio soltanto per passione e interesse personale però vorrei riuscire a farlo diventare un mestiere.

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Credi in te stesso?

Sì.

C’è qualcuno che ti aiuta?

Il mio alter ego.

Sei un solitario?

No. Spesso l’ispirazione la trovo in compagnia, spesso mi stacco dal momento sociale per indagare ciò che mi circonda

Chi è il tuo spettatore ideale?

Non faccio film per sensibilizzare socialmente o film politicizzanti, viviamo in un’epoca nella quale vestono di politica anche quello che mangi: se mangi vegano, ad esempio, è già politica perché attraverso le tue scelte e le tue azioni, descrivi la tua idea del mondo. C’è chi non mangia i prodotti delle multinazionali,ad esempio. Io non mi interesso di questi problemi sociali, voglio solo raccontare storie nel modo che più mi piace.
Vorrei indagare le passioni umane a livello inconscio sotto la pura apparenza della vita, mi interessano i lati più nascosti oscuri e perversi, i miei registi preferiti sono Von Trier e Steve McQueen. Welles diceva «La gente mi ha chiesto per trent’anni come facessi a far conciliare x e y. Io non lo faccio, dentro noi c’è sempre un assassino e un esteta, dentro ognuno di noi.» La cosa che mi interessa di più è indagare l’animo umano andando sotto l’apparenza delle cose.

Progetti per il futuro?

Sarò impegnato con tre video ricerca e poi ad ottobre dovremmo girare “Double eye”, un nuovo corto sulla doppia personalità.

C’è qualcuno che vorresti ringraziare?

No.

G. Buona fortuna per il futuro.

Grazie, altrettanto!

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Giulia Buscemi

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